Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-01-2013) 01-02-2013, n. 5165

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Svolgimento del processo

Con ordinanza del 30.5.2012, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Velletri rigettò la richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari presentata da P.E. e P. G., indagati per i reati di estorsione consumata e tentata, detenzione e porto di congegni esplosivi incendiari e incendio.

Con ordinanza del 4.7.2012 il Tribunale di Velletri ha rigettato la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare avanzata dai predetti imputati.

Avverso entrambi i provvedimenti gli imputati proposero appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen..

Con ordinanza 28.6.2012 il Tribunale di Velletri, fra l’altro, rigetto l’istanza di revoca o sostituzione della custodia cautelare in carcere proposta da Po.Gi. imputato dei reati sopra indicati.

Avverso tale provvedimento l’imputato propose appello, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen..

Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 14.9.2012, respinse le impugnazioni proposte nei procedimenti riuniti.

Ricorrono per cassazione i difensori degli imputati.

Il difensore di P.E. e di P.G. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta attualità delle esigenze cautelari; avrebbe dovuto essere valutato il decorso di oltre 9 mesi nei confronti di soggetti incensurati ed alla loro prima esperienza processuale sotto il profilo dell’efficacia deterrente; non sarebbe state indicate le specifiche esigenze di salvaguardia dell’acquisizione delle prove;

2. mancanza di motivazione in ordine alla idoneità degli arresti domiciliari a salvaguardare le ritenute esigenze cautelari, nonostante la specifica doglianza svolta nell’atto di appello.

Il difensore di Po.Gi. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta attualità delle esigenze cautelari; avrebbe dovuto essere valutato il decorso di oltre 9 mesi nei confronti di soggetti incensurati ed alla loro prima esperienza processuale sotto il profilo dell’efficacia deterrente; non sarebbe state indicate circa il pericolo di inquinamento delle prove;

2. mancanza di motivazione in ordine alla idoneità degli arresti domiciliari a salvaguardare le ritenute esigenze cautelari.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di P. E. e P.G. ed il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Po.Gi. sono infondati.

Il Tribunale ha motivato la sussistenza del pericolo di reiterazione di reati sulla scorta della considerazione che si tratta di fatti plurimi ed ha ritenuto tale esigenza cautelare non elisa nè dallo stato di incensuratezza nè dal tempo trascorso.

Tale motivazione appare adeguata, alla luce del principio affermato da questa Corte, secondo il quale in tema di esigenze cautelari, la modalità della condotta tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto. (Cass. Sez. 6 sent. n. 12404 del 17.2.2005 dep. 4.4.2005 rv 231323).

Adeguata appare anche la motivazione in punto di pericolo per l’acquisizione delle prove, posto che il Tribunale del riesame ha rilevato la persistenza del pericolo originariamente individuato, sicchè da un lato vi è il richiamo all’ordinanza cautelare (oltre che a quelle impugnate con l’appello) e dall’altro non era necessario specificamente individuarle essendo già state precisate.

Il secondo motivo proposto nell’interesse di P.E. e P.G. ed il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Po.Gi. sono infondati.

La motivazione sopra richiamata appare anche adeguata a spiegare la scelta della custodia cautelare in carcere quale unica misura idonea a prevenire il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie alla luce dell’orientamento di questa corte, condiviso dal Collegio, secondo il quale: in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonchè dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo superata e assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle subordinate misure cautelari. (Cass. Sez. 1A sent. n. 45011 del 26.9,2003 dep. 21.11.2003 rv 227304).

I ricorsi devono pertanto essere rigettati.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento.

Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà dei ricorrenti, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui gli imputati si trovano ristretti perchè provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato art. 94.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen..

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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