T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 20-01-2011, n. 566

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame, il ricorrente ha impugnato il provvedimento n. 3/4/0338028 con il quale il ministero della difesa lo ha escluso dal concorso per l’immissione in servizio nel ruolo dei volontari di truppa in servizio permanente nell’esercito.

L’amministrazione ha escluso il sig. B. dal concorso perché destinatario, costui, di un decreto penale di condanna al pagamento di una pena pecuniaria per avere fornito false generalità a pubblico ufficiale (esclusione disposta ai sensi dell’art. 2, c. 1, lett. d) e 2 del bando di concorso). Il decreto è stato opposto.

L’interessato ha dedotto le seguenti censure:

a)nel caso di specie, il ricorrente non risulta destinatario di alcuna condanna penale come si evince dal certificato dei carichi pendenti da cui emerge solo la pendenza di un procedimento penale di primo grado;

b)avverso il decreto penale di condanna è stata proposta opposizione;

c)a seguito di opposizione il decreto di condanna deve considerarsi come mai emesso;

d)l’esclusione decretata solleva una questione di legittimità costituzionale per contrasto tra l’art. 2, c. 1 lett. d) del D.D. 28/8/2009 e l’art. 27, c. 2 Costituzione.

Prima di entrare nel merito della controversia, giova premettere che non spetta a questa autorità giudiziaria svolgere un giudizio di valore e/o di merito sui presupposti fondanti la responsabilità penale del ricorrente, ancor più in mancanza di una querela civile di falso avverso i verbali con i quali i carabinieri avevano accertato l’infrazione commessa dal ricorrente ed il cui contenuto (id est, dichiarate false generalità) ha dato la stura all’imputazione dei reati ascritti al sig. B..

Ed invero, rileva, nel presente giudizio, il solo fatto storico della esistenza di un decreto penale di condanna.

Ciò che si chiede al giudice amministrativo è di stabilire se correttamente l’intimata amministrazione ha escluso il concorrente dal concorso sulla base di un decreto penale di condanna.

Il ricorso è infondato.

Il decreto penale di condanna va equiparato alla sentenza di condanna ai fini dell’esistenza del fatto da valutare come significativo dell’esclusione. Anche se non produce gli stessi effetti della sentenza passata in giudicato, il decreto penale di condanna ha pur sempre valore decisorio dell’esistenza del fatto penalmente contestato (T.A.R. Liguria, sez. II, 15 aprile 2002, n. 432). L’art. 460 c.p.p. prescrive che il decreto debba contenere l’enunciazione del fatto, delle circostanze e delle disposizioni di legge violate nonché la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata. Una volta esecutivo, l’accertamento contenuto nel decreto è perciò suscettibile di essere utilizzato per tutte le valutazioni conseguenti, senza la possibilità di discussione del suo valore probatorio in analogia al giudicato esterno (Cass. civile, sez. lav., 9 giugno 1981, n. 3733; 27 aprile 1981, n. 2539).

Con riguardo agli effetti che il decreto penale di condanna può avere sulle vicende amministrative (id est, gare d’appalto), si è pronunciata nello stesso senso anche Consiglio di stato, sez. IV, n. 7195/2006.

Le medesime considerazioni possono valere avuto riguardo anche ai concorsi pubblici attesa la medesima ratio che accomuna i due tipi di procedimento, entrambi a valenza competitiva e/o selettiva.

Anche la giurisprudenza penale ha equiparato il decreto penale di condanna, quanto anche agli effetti che ne possono derivare sul piano amministrativo, alla sentenza di condanna (cfr. Cass. Penale, sez. III, 22 maggio 2007 n. 24265).

La circostanza (evidenziata oralmente in camera di consiglio dal difensore del ricorrente) per cui il decreto penale di condanna non fa stato nei giudizi civili e amministrativi è affatto inconferente trattandosi, nella fattispecie, di un procedimento amministrativo e non di un giudizio.

E’ vero che il ricorrente si è opposto al decreto penale di condanna al fine di ottenere, del caso, l’assoluzione piena e rimuovere per tal via il pregiudizio arrecatogli dalla pronuncia in esame. Sennonché, tale circostanza non rimuove l’ostacolo alla partecipazione concorsuale ostandovi, in tal caso, sempre e comunque, l’esistenza storica e giuridica del decreto penale di condanna (assimilato alla sentenza), ancorché quest’ultimo meramente inefficace a seguito dell’opposizione e fino alla sua decisione.

Quanto alla dedotta questione di (il)legittimità costituzionale, la stessa è palesemente inammissibile non potendosi sollevare avverso un atto amministrativo (il decreto dirigenziale 28/8/2009).

In conclusione, il provvedimento impugnato è stato legittimamente adottato sul presupposto della impossidenza in capo al ricorrente di un preciso requisito indicato nel bando di concorso.

Ebbene, accertato, in via ricognitiva, la carenza di siffatto requisito, niente altro doveva fare l’amministrazione che procedere alla esclusione del candidato, senza alcuna valutazione di interessi (pubblici) in gioco essendosi esaurita, siffatta discrezionalità, ad un livello più alto e generale di esercizio (bando di concorso).

L’attività in parola, in altri termini, era del tutto vincolata nell’an e nel quid, non residuando all’amministrazione margini di discrezionalità. Ed è noto che in ambito di attività vincolata l’unico vizio che rileva è l’errore nella decisione, ovvero la non corrispondenza dell’atto alla fonte paradigmatica di riferimento: verifica di conformità che ben può fare anche il giudice recando ad oggetto, questo tipo di giudizio, non più l’atto bensì il fatto a fronte di una attività non valutativa né opinabile.

Nel caso di specie, il ricorrente, come sopra detto, è stato escluso per impossidenza di un requisito soggettivo. Il giudizio portato all’attenzione del Collegio (con un’azione sostanzialmente di accertamento) ha confermato la corrispondenza dell’atto al suo paradigmafonte di riferimento, sicché, le ragioni addotte dal ricorrente a sostegno dell’errore assertivamente commesso dall’amministrazione non hanno trovato fondamento.

Il ricorrente, in prossimità della camera di consiglio, ha depositato la sentenza resa dal Tribunale di Napoli all’udienza del 24 settembre 2010, depositata in cancelleria il successivo 6 ottobre, con la quale egli è stato assolto dal GOT perché il fatto non costituisce reato.

La circostanza, invero, è del tutto irrilevante e non modifica le rassegnate conclusione dovendosi fare applicazione, alla fattispecie, dei noti principi regolatori dell’azione amministrativa; tempus regit actum e par condicio competitorum.

E’ pacifico che nei confronti dell’odierno ricorrente era stato emesso un decreto penale di condanna per delitto non colposo alla data (di pubblicazione del bando di concorso, nonché) di scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione alla selezione concorsuale.

Non può esimersi il Collegio dall’osservare (confermando la giurisprudenza della Sezione: cfr sentenza n. 2245 del 2006) come rientri nella scelta discrezionale del Legislatore la predeterminazione di requisiti particolarmente rigorosi per il reclutamento del personale delle Forze Armate.

Se è vero che la mera pendenza di procedimento penale non vale a vincere la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 della Costituzione, tuttavia tale elemento può assumere negativa rilevanza sotto il profilo dell’assenza dei requisiti per l’accesso nelle Forze Armate.

Nel rilevare come la previsione del possesso dei requisiti di partecipazione al concorso de quo, a pena di esclusione, come indicata nel bando di concorso, costituisca diretta applicazione di fonte normativa primaria, va ribadito che l’Amministrazione procedente, in quanto priva di alcun margine di apprezzamento discrezionale, ha assunto l’impugnata determinazione di decadenza in vincolata applicazione di norma del bando, laddove è prevista, tra i requisiti per l’arruolamento, l’assenza di sentenze di condanna (cui viene equiparato il decreto penale di condanna) o di procedimenti penali (come potrebbe darsi nel caso di opposizione al decreto) per delitti non colposi.

Il provvedimento impugnato è affatto coerente con la normativa applicabile al bando di concorso de quo.

Va, ulteriormente, osservato che il medesimo bando consentiva all’Amministrazione l’accertamento del possesso – o meno – dei prescritti requisiti soggettivi anche in data successiva all’arruolamento.

Deve escludersi, pertanto, ogni rilevanza alla pronunzia di assoluzione resa nei confronti del ricorrente in esito al summenzionato procedimento penale, atteso che siffatta sentenza risulta essere intervenuta successivamente alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda di ammissione (alla quale va univocamente ricondotto il possesso dei requisiti di partecipazione alle pubbliche selezioni concorsuali).

Una eventuale rilevanza postuma della sentenza in questione finirebbe, altresì, per violare, come sopra anticipato, il principio di par condicio competitorum rimettendo, peraltro, in discussione, rapporti ormai definiti e stabili con conseguente pregiudizio per la loro certezza giuridica.

Ne consegue, per quanto sin qui argomentato, l’infondatezza del ricorso tutto che va, pertanto, respinto mentre le spese di giudizio, liquidate in dispositivo seguono la soccombenza.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di giudizio che liquida in Euro 1.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Elia Orciuolo, Presidente

Franco Angelo Maria De Bernardi, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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