Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-07-2012, n. 13375

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Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 617 cod. proc. civ. F.R. proponeva opposizione avverso l’ordinanza emessa in data 19.11.2003 dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento di espropriazione mobiliare promosso in suo danno dalla Impresa F.lli A. di A. G. & C. s.n.c., lamentando che l’esecuzione fosse stata sospesa, anzichè dichiarata estinta, nonostante fosse venuta meno l’efficacia del titolo giudiziale azionato, a seguito di provvedimento di sospensione ex artt. 283 e 1351 cod. proc. civ..
Resisteva la parte creditrice opposta, sostenendo che non era venuta meno la validità del titolo, essendone solo stata sospesa l’esecutorietà.
Con sentenza in data 26.03.2006, il Tribunale di Ascoli Piceno rigettava l’opposizione e confermava l’ordinanza impugnata, condannando l’opponente al pagamento delle spese processuali.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione F. R., svolgendo cinque motivi.
Ha resistito l’Impresa F.lli A. di A. G. & C. s.n.c., depositando controricorso.
E’ stata depositata memoria da parte ricorrente.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata, è soggetto alla disciplina di cui all’art. 360 cod. proc. civ. e segg. come risultanti per effetto del D.Lgs. n. 40 del 2006. Si applica, in particolare, l’art. 366 bis cod. proc. civ., poichè la norma, introdotta dal cit. D.Lgs., art. 6 resta applicabile, in virtù dell’art. 27, comma 2 del medesimo decreto, ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione, a far tempo dal 4 luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 283 e 385 cod. proc. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che la sospensione dell’esecutorietà della sentenza azionata in sede esecutiva non comportasse la dichiarazione di estinzione del giudizio, ma solo un arresto del procedimento di esecuzione. A corredo del motivo si formula quesito di diritto, chiedendo a questa Corte "se la sospensione dell’esecutorietà della sentenza da parte del giudice del gravame a norma degli artt. 283 e 351 cod. proc. civ. determini l’estinzione del processo esecutivo intrapreso in forza del titolo oggetto della sospensione o solamente la sospensione del motivo".
1.2. Prima di ogni altra valutazione occorre rilevare l’inadeguatezza del "quesito", conducente, a mente dell’art. 366 bis cod. proc. civ., all’inammissibilità del motivo. Invero, secondo i canoni elaborati da questa Corte, il quesito inerente ad una censura in diritto ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., prima parte – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile; e, dovendosi risolvere in una sintesi logico-giuridica della questione, non avulsa dai rilevanti elementi fattuali della fattispecie concreta, non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo, occorrendo che risulti individuata la discrasia tra la ratio decidendi della sentenza impugnata, che deve essere indicata, e il diverso principio di diritto da porre a fondamento della decisione invocata (v. Cass. SS.UU. 10 settembre 2009, n. 19444 e 14 febbraio 2008, n. 3519). In altri termini il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere (tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339) sia la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;
sia la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; sia ancora la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.
Orbene il quesito sopra riportato difetta del requisito essenziale della specifica, diretta ed autosufficiente formulazione di un interpello alla Corte di cassazione sull’errore di diritto asseritamente commesso dai giudici del merito e sulla corretta applicazione della norma quale proposta nella specie dalla ricorrente; per cui il motivo è inammissibile.
1.3. Pur considerato il carattere assorbente delle considerazioni che precedono, non si ritiene superfluo aggiungere che il motivo è, comunque, manifestamente infondato alla luce del disposto dell’art. 626 cod. proc. civ. che – riferendosi all’ipotesi in cui "il processo (esecutivo) è sospeso" e prevedendo che in tal caso "nessun atto esecutivo può essere compiuto, salvo diversa disposizione del Giudice dell’esecuzione" – rimanda implicitamente alle varie ipotesi individuate nell’art. 623 cod. proc. civ. e, quindi, anche a quella in cui la sospensione sia disposta "dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo"; e in tale ambito è sicuramente riconducibile la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado da parte del Giudice d’appello, ai sensi dell’art. 283 cod. proc. civ., cui allude parte ricorrente.
Orbene il principio espresso dalla norma è che la sospensione determina esclusivamente l’arresto del processo esecutivo, posto che nessun atto esecutivo (id est alcun atto funzionale alla realizzazione della pretesa esecutiva) può essere compiuto, implicitamente, ma inequivocamente confermando che gli atti del processo esecutivo posti in essere anteriormente, viceversa, restano validi ed efficaci, come è confermato dalla stessa circostanza che è riconosciuta al Giudice dell’esecuzione la possibilità di disporre diversamente, cioè di autorizzare comunque il compimento di atti esecutivi ulteriori (cfr. Cass. 19 dicembre 2008, n. 29860 in motivazione).
2. Il secondo, terzo e il quinto motivo di ricorso si riferiscono tutti ad un’ordinanza diversa da quella che risulta essere oggetto della presente opposizione agli atti esecutivi, facendo riferimento ad un’ordinanza in data 27 maggio 2004 (cfr. però pag. 9 ove la stessa ordinanza viene individuata come datata 24 maggio 2004), con la quale – ad integrazione della disposta sospensione – il G.E. avrebbe disposto che il datore di lavoro, terzo pignorato, cessasse di provvedere ad eseguire le trattenute del quinto. In particolare:
2.1. con il secondo motivo si denuncia violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (art. 360 c.p.c., n. 4) per avere il giudice di primo grado omesso la pronuncia su specifica richiesta avanzata in via subordinata; a conclusione del motivo si chiede a questa Corte, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., se il giudice debba pronunciarsi su tutte le domande e/o eccezioni proposte in giudizio e se l’omessa pronuncia su una domanda autonomamente proposta, sia pure in via subordinata, determini la nullità della sentenza e, comunque, un vizio della medesima per la violazione dell’art. 112 c.p.c..
2.2. con il terzo motivo si denuncia violazione, falsa ed errata applicazione degli artt. 134, 279, 487 e 618 cod. proc. civ. (art. 360 c.p.c., n. 4) per avere il giudice di primo grado omesso la pronuncia sull’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 618 cod. proc. civ.; a conclusione del motivo si chiede a questa Corte, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., se l’omessa pronuncia del giudice dell’esecuzione sulla correttezza dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 618 c.p.c., e, quindi, l’omessa conferma, modifica o revoca della stessa con la sentenza emessa al termine del giudizio di opposizione agli atti esecutivi determini la nullità della sentenza e, comunque, un vizio della medesima per la violazione del combinato disposto degli artt. 134, 279, 487 e 618 c.p.c..
2.3. con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per essere la sentenza del tutto priva di motivazione su una questione rilevante; al riguardo si formula il seguente quesito: se l’omessa motivazione in merito alla conferma, modifica o revoca di un’ordinanza emessa nel corso di un procedimento di opposizione agli atti esecutivi determini la violazione dell’art. 132 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
3. I suddetti motivi sono inammissibili per un duplice ordine di considerazioni.
Innanzitutto i quesiti non rispondono ai canoni sopra precisati sub 1.2. in relazione al disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., risultando incomprensibili ad una lettura autonoma dal motivo e risolvendosi in un interrogativo meramente circolare, che già presuppone la risposta o la cui risposta non consente, comunque, di risolvere il caso all’esame.
3.1. Gli stessi motivi sono inammissibili anche per difetto del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 cod. proc. civ., che impone, a pena di inammissibilità del ricorso, la specifica indicazione degli atti e documenti sui quali il motivo è fondato.
Si rammenta che sull’interpretazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 sono intervenute le SS.UU. di questa Corte (cfr. sentenze 2 dicembre 2008, n. 28547 e 25 marzo 2010, n. 7161), stabilendo che, ai fini dell’assolvimento dell’onere previsto dalla norma cit., è necessaria la specificazione dell’avvenuta produzione in sede di legittimità, accompagnata dalla doverosa puntualizzazione del luogo all’interno di tali fascicoli, in cui gli atti o documenti evocati sono rinvenibili.
Orbene parte ricorrente ha omesso di precisare ove sia rinvenibile l’ordinanza in data 27 (o 24) maggio 2004 su cui si fondano i motivi all’esame e neppure ne ha ritrascritto il contenuto nel ricorso. E che tali indicazioni fossero necessarie ai fini della specificità delle censure appare evidente solo che si consideri che i suddetti motivi poggiano, in buona sostanza, sul presupposto che il rigetto della principale richiesta di estinzione del processo esecutivo, formulata con l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza del 19.11.2003, implicasse l’esigenza di confermare o meno l’altra ordinanza del 27 (o del 24) maggio 2004, nonchè sull’ulteriore considerazione che una richiesta di tal fatta fosse implicita in quella, formulata in via subordinata e riportata nell’epigrafe della sentenza impugnata, di dichiarare la sospensione del pignoramento.
Senonchè – ove si consideri che l’opposizione agli atti esecutivi aveva ad oggetto l’ordinanza del 19.11.2003, con cui era stata disposta la sospensione dell’esecuzione (sul presupposto che, invece, il processo dovesse essere estinto) – deve ritenersi che il rigetto dell’opposizione avverso l’ordinanza in questione comportasse, per forza di cose, la conferma della sospensione del processo esecutivo:
id est, la sospensione dell’esecuzione non poteva costituire una richiesta subordinata, per giunta implicita, perchè altro non era che l’interfaccia del rigetto della domanda principale.
4. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere il giudice omesso di pronunciarsi su una richiesta di integrazione dell’ordinanza in data 19.11.2003. In relazione a detto motivo viene formulato il seguente quesito di diritto: se il giudice debba pronunciarsi su tutte le domande e/o eccezioni proposte in giudizio e se l’omessa pronuncia del giudice dell’esecuzione su una domanda comunque ricavabile dal contesto dell’atto determini la nullità della sentenza e, comunque, un vizio della medesima per la violazione dell’art. 112 c.p.c..
4.1. Anche il suddetto quesito si risolve in una mera tautologia, risultando come tale inidoneo a risolvere la fattispecie concreta, con conseguente inammissibilità del motivo.
Per mera completezza si osserva che, per quanto è dato comprendere dalla confusa esposizione del motivo, parte ricorrente si duole che non fosse stato assegnato un termine per la prosecuzione del giudizio di merito, assumendo che, a tal fine, era stata formulata la richiesta di integrazione dell’ordinanza del 19.11.2003. Orbene – a prescindere dall’incongruità della qualificazione della fattispecie nell’ambito dell’opposizione all’esecuzione e del conseguente riferimento all’art. 616 cod. proc. civ. – ritiene il Collegio che delle due l’una: se parte ricorrente si duole che il giudice dell’opposizione non si sia pronunciato sulla questione, e allora è errata la tipologia di vizio, che non andava prospettato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., bensì in relazione ai nn. 3 o 5 della stessa norma, dal momento che il giudice dell’opposizione una risposta sul punto l’ha data, ritenendo che l’ordinanza dovesse essere impugnata, anche per questa ragione, con l’opposizione agli atti esecutivi; se, invece, la stessa parte ricorrente intende denunciare il fatto che il giudice dell’esecuzione non abbia fissato un termine per la prosecuzione del giudizio di merito, la questione non è prospettabile con il ricorso per cassazione, dal momento che, a fronte di una tale mancanza, è possibile chiedere l’integrazione dell’ordinanza con istanza ai sensi dell’art. 289 cod. proc. civ. ovvero alternativamente introdurre o riassumere il giudizio di merito di propria iniziativa nel termine di legge.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.500,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

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