Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-07-2012, n. 13374

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Svolgimento del processo
p.1. Il 17 giugno 2005 il Sig. M.D. intimava precetto a G.B., S.M. e C.C., quali condomini del Condominio di (OMISSIS), all’Avvocato T.E., quale amministratore dello stesso Condominio, e alla società E. Av s.r.l..
Il precetto si fondava su titolo esecutivo rappresentato da un’ordinanza ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c., emessa in data 3 ottobre 2001 dal Tribunale di Avellino nel corso del giudizio di opposizione avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dal M. contro il Condominio, per il pagamento del corrispettivo di un contratto di appalto per la ricostruzione del Condominio, rimasto distrutto per il terremoto dell’Irpinia del 1980. Il decreto ingiuntivo era stato notificato dal M. all’Avvocato Carmine L., nella qualità di amministratore dell’epoca del Condominio.
L’Avv. L. aveva proposto opposizione nella detta qualità, assumendo la difesa del Condominio.
Anche l’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. veniva notificata in forma esecutiva al L. nella detta qualità in data 26 novembre 2001.
p.1.1. Avverso il detto precetto gli intimati proponevano opposizione dinanzi al Tribunale di Avellino con citazione notificata il 28 giugno 2005.
A sostegno dell’opposizione deducevano: a) con specifico riferimento alla posizione del T., il suo difetto di legittimazione passiva in quanto egli era amministratore non già del Condominio, bensì della sola comunione creatasi sull’area di sedime in conseguenza della demolizione del fabbricato per procedere alla ricostruzione dell’immobile in forza dell’appalto, di modo che il T., nella qualità di amministratore di una comunione aveva solo i poteri di rappresentanza sostanziale e processale conferitigli specificamente dai comunisti, poteri che, però, non gli erano stati attribuiti; b) la non opponibilità del titolo esecutivo nei confronti dei comproprietari precettati, in quanto essi non erano stati parti del giudizio in cui lo stesso si era formato, nè vi erano stati rappresentati dall’Avv. L. quale amministratore del Condominio, o meglio della comunione, in quanto il medesimo era privo del potere di rappresentanza, il che aveva determinato la inesistenza o nullità del decreto ingiuntivo e dell’attività processuale di cui all’opposizione ad esso, ivi compresa l’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.; c) in ogni caso la non debenza di talune delle somme precettate.
p.1.2. Nella resistenza all’opposizione del M., che l’assumeva infondata, adducendo, in particolare, che il Condominio doveva comunque reputarsi costituito ai sensi della L. n. 219 del 1980, art. 12, comma 7, cioè in funzione dell’ottenimento delle provvidenze per la ricostruzione, nonchè nella successione ai condomini precettati della E. A., per essersi essa resa acquirente di tutti i diritti di comproprietà, il Tribunale, con sentenza del 24 ottobre 2006 accoglieva parzialmente l’opposizione limitamento alla sola contestazione relativa ad alcune delle some precettate, mentre la rigettava per il resto.
2. Contro questa sentenza hanno proposto ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, e nel vigore dell’art. 616 c.p.c., nel testo sostituito dalla L. n. 52 del 2006, la E. A. A.A., nella qualità di procuratore ad litem di G.B., entrambi nella qualità di comproprietari dell’area di sedime del demolito fabbricato condominiale, nonchè l’Avvocato T., nella qualità di amministratore della comunione, autorizzato da delibera dei comunisti.
p.3. Al ricorso, che prospetta tre motivi, ha resistito con controricorso il M..
Motivi della decisione
p.1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 474, 186 quater e 615 c.p.c. "in riferimento all’art. 111 Cost., comma 7", ed all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in quanto il giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare d’ufficio l’inesistenza del titolo esecutivo, avendo la pronuncia della sentenza nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (depositata il 20 maggio 2004), avvenuta prima della notificazione del precetto (effettuata il 17 giugno 2005), caducato l’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., come si evincerebbe "oltre che dalla descrizione dei fatti operata in sentenza anche dalla stessa relata di notifica del precetto impugnato, esibito al n. 2 dei documenti inseriti nel fascicolo di parte attrice nel giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino".
In sostanza, si assume che la sopravvenienza della sentenza definitiva del giudizio di opposizione al decreto avrebbe determinato l’assorbimento dell’ordinanza, con la conseguenza che il precetto era stato intimato sulla base di un titolo esecutivo non più esistente.
p.1.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato o improcedibile.
La ragione di inammissibilità è che il motivo non osserva il requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, norma che costituisce il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza nell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione.
Infatti, il motivo non riproduce il contenuto della relata del precetto cui fa riferimento e nemmeno lo riassume indirettamente, indicando in quale parte dell’atto tale contenuto riassunto risulterebbe. In tal modo del tutto inammissibilmente delega la Corte a rintracciare nel relativo documento il contenuto che potrebbe corrispondere a quanto indicato dai ricorrenti, con il rischio che il risultato della ricerca non corrisponda alla prospettazione dei ricorrenti e comunque con la sollecitazione ad un’attività di articolazione del motivo di impugnazione che ad essi competenza.
Nè lo scrutinio del motivo in senso favorevole ai ricorrenti – tenuto conto che parrebbe che la sentenza de qua non fosse stata prodotta nel giudizio di merito e che, dunque, non sarebbe possibile la sua produzione in questa sede nemmeno ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1, pur trattandosi di documento relativo a questione rilevabile d’ufficio da questa stesa Corte, con il limite della non necessità di accertamenti di fatto – è possibile sulla base della sola valutazione dell’emergenza della sentenza impugnata, posto che, se è vero che essa allude al fatto che "risulta altresì dagli atti che la relativa controversia è stata definita con successiva sentenza depositata il 20.5.2004", nessuna specificazione del modo di tale definizione fornisce, sì che non è dato sapere se l’ordinanza venne assorbita (tanto che gli stessi ricorrenti dicono nel ricorso che di essa "però non è dato conoscere il contenuto, eventualmente negativo per il creditore".
Al riguardo, va considerato che il controricorrente eccepisce che in realtà la sentenza in questione, cui si riferisce il Tribunale di Avellino nella sentenza attualmente impugnata a pag. 4, era stata pronunciata all’esito di un diverso giudizio, e, precisamente, di quello avente ad oggetto la risoluzione del contratto di appalto.
Inoltre, sempre il controricorrente ha precisato che il giudizio nel quale venne emessa l’ordinanza sarebbe stato ancora pendente e rimesso per la precisazione delle conclusioni all’udienza 26 settembre 2007.
A tali deduzioni non sono state mosse repliche nè ai sensi dell’art. 378 c.p.c., nè in udienza. Onde esse debbono reputarsi incontestate.
Ove, poi, si ritenesse che la natura della questione prospettata, in quanto volta ad evidenziare l’inesistenza del titolo esecutivo (fin dal momento della minaccia dell’esecuzione con il precetto) e, quindi, una questione rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità avrebbe potuto giustificare la produzione della copia della sentenza de qua (ma la giurisprudenza di queste Corte è contraria: si veda Cass. n. 12843 del 1998 "In sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio quando esse presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto (esame di documenti che non risultano già acquisiti al processo) preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle particolari ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c., tra le quali quella relativa alla nullità della sentenza deve essere riferita esclusivamente alla nullità che inficia direttamente il provvedimento in sè e non già anche quella che sia effetto di altra nullità che riguardi il procedimento"; più di recente, Cass. n. 10437 del 2006), il motivo sarebbe comunque improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, perchè detta sentenza non è stata prodotta.
p.2. Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 474, 615 e 75 c.p.c., nonchè 1105 e 1106 cc in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in quanto il titolo posto a base della procedura esecutiva non era ad essi opponibile, essendosi formato nel corso di un giudizio in cui gli stessi non avevano regolarmente preso parte. Questo perchè, a loro parere, l’Avv. L. non aveva la rappresentanza processuale del Condominio e, quindi, neppure la loro nel giudizio in cui il titolo si è formato, non essendo lo stesso amministratore del Condominio, in realtà inesistente all’epoca del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, per essere esistente invece una comunione ordinaria sul sedime dello stabile condominiale, distrutto dagli eventi sismici del 1980, e per non essere stati del resto concessi al detto avvocato poteri di rappresentanza attiva e passiva della comunione.
Erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto che la doglianza circa l’inesistenza del potere rappresentativo avrebbe dovuto dedursi nell’ambito del giudizio di cognizione in cui il titolo si è formato. Questo principio non poteva valere per i ricorrenti, che non hanno partecipato al giudizio.
Nella parte finale dell’illustrazione si lamenta inoltre che "alcun pregio potrebbe assumere l’ulteriore considerazione del tribunale secondo il quale il titolo emesso nei confronti di un condominio, e quindi anche della comunione, si estende ai singoli condomini, atteso che, tale valido principio, non è applicabile al caso di specie.
Infatti, ciò che si contesta è proprio il presupposto di tale estensione, e cioè una valida partecipazione al giudizio di cognizione della stessa comunione. Infatti, non avendo mai la comunione partecipato al giudizio i questione (dovendosi considerare per quanto evidenziato tamquam non esset le iniziative del falsus procurator avv. L.), mai potrebbe essersi formato in tale sede un valido titolo nei suoi confronti (e quindi dei singoli componenti la comunione)".
p.2.1. Il motivo – riferibile non solo alle posizioni dei condomini qui ricorrenti, cioè la s.r.l. ed il soggetto che essa rappresenta, ma anche a quella dello stesso Condominio – è infondato.
p.2.1.1.Va chiarito che la prospettazione dei ricorrenti, per quel che afferisce alla s.r.l. ed al condomino che Essa rappresenta, è che il titolo formatosi nei confronti del condominio sarebbe stato spendibile nei loro confronti, in quanto un titolo esecutivo che si forma nei confronti di un condominio estenderebbe i suoi effetti nei confronti dei condomini.
Tale prospettazione (conforme a quanto afferma la giurisprudenza della Corte: si veda Cass. n. 20304 del 2004 "Qualora abbia ottenuto sentenza definitiva di condanna al pagamento di una somma di denaro nei confronti del condominio, il creditore è carente di interesse ad agire contro il singolo condominio per il pagamento pro – quota della medesima somma, disponendo già di un titolo esecutivo relativo all’intera somma, azionabile nei confronti del predetto condominio o dei singoli condomini, e verificandosi, in caso contrario, una inammissibile duplicazione di titoli esecutivi") implica irrilevanza dei principi sostenuti, dopo la proposizione del ricorso, da Cass. sez. un. n. 9148 del 2008 nel senso della parziarietà della responsabilità del condomino per i debiti del condominio, parziarietà che opererebbe anche quando si tratti di pretesa esecutiva fondata su tiolo formatosi contro il condominio. Nè potrebbe darsi rilievo d’ufficio ai principi proclamati da detta sentenza, perchè lo si farebbe prescindendo dal motivo. Inoltre la sentenza non è stata neppure invocata.
p.2.1.2. La questione che la Corte deve esaminare appare solo quella sul se, quando venga minacciata al condominio o alla comunione o al condomino o al comunista un’esecuzione forzata sulla base di un titolo esecutivo formatosi in un giudizio fra un terzo ed il condominio o la comunione, che in esso siano stati presenti con la rappresentanza di un soggetto qualificatosi come amministratore senza essere munito dei relativi poteri rappresentativi e, quindi, che abbia agito come falsus procurator, il condominio o la comunione o il condomino o il comunista possano dedurre con l’opposizione al precetto (ma la questione si porrebbe identicamente se si trattasse di opposizione ad esecuzione iniziata e si proponesse opposizione all’esecuzione), come questione di inesistenza o nullità del titolo giudiziale, l’essersi formato esso con la rappresentanza di un falsus procurator e pretendere che per tale ragione il diritto di procedere esecutivamente sia ritenuto inesistente.
Riguardo alla posizione del soggetto, attore o convenuto, ritenuto soccombente in un processo di cognizione nel quale sia stata rappresentato da un falsus procurator e che, quindi, sia divenuto destinatario dell’efficacia di titolo esecutivo del provvedimento di chiusura di tale processo per effetto della gestione del medesimo, com’è noto le posizioni della dottrina circa l’individuazione del mezzo di tutela che può esperire per far valere l’essersi formato il titolo sulla base di detta gestione sono divise fra che individua il mezzo di tutela nell’opposizione di cui all’art. 404 c.p.c., e chi invece considera che la situazione di detto soggetto, in ragione dell’inesistenza del rapporto di rappresentanza, sia riconducibile a quella del contumace involontario e propugna, in conseguenza, che egli sia ammesso ad esperire l’impugnazione prevista avverso il provvedimento sul piano cognitivo, sganciata dal termine c.d. lungo, con applicazione del secondo comma dell’art. 327 c.p.c., comma 2.
La posizione più condivisibile sembra la seconda, perchè la prima opinione realizza un allargamento dell’ambito del rimedio del’art. 404 c.p.c., comma 1, al di fuori di quanto solitamente vi si riconduce, là dove si dice che si tratta di rimedio attribuito al terzo e, quindi, a chi non sia parte nemmeno in senso formale del processo, in ragione della titolarità di un diritto incompatibile ed autonomo rispetto a quello riconosciuto nel provvedimento.
Il soggetto falsamente rappresentato non è a stretto rigore titolare di un diritto incompatibile con quello riconosciuto dalla sentenza, ma è un soggetto nei confronti del quale il diritto non doveva essere riconosciuto, perchè egli non era stato evocato effettivamente in giudizio, essendovi stato coinvolto tramite un falsus procurator. Il diritto di cui con l’opposizione postulerebbe la negazione nei suoi confronti o l’esistenza a suo favore di contro a quanto formalmente ha riconosciuto il provvedimento è lo stesso riconosciuto o negato da esso e ciò anche sotto il profilo soggettivo.
Ricondurre l’ipotesi ad un concetto di contumacia involontaria sostanziale ai sensi dell’art. 327 c.p.c., ed alla relativa tutela sembra più agevole.
In un non recente precedente questa Corte ha privilegiato, pur senza evocare il secondo comma dell’art. 327, la seconda opzione, statuendo che "Non può ritenersi estraneo al processo di merito quel soggetto il quale, pur apparentemente rappresentato da un falsus procurator, che ha istituito un giudizio in suo nome, sia stato coinvolto nella decisione della causa attraverso una pronunzia di condanna, la quale e di per se idonea a conferire all’interessato la qualità di parte ai fini della proponibilità dei gravami consentiti alle parti soccombenti. Pertanto, qualora la sentenza contenga pronunzie e statuizioni a carico di un soggetto non partecipe del giudizio, questo può avvalersi, allo scopo di far eliminare gli effetti a lui pregiudizievoli, non già dell’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., comma 1, sibbene dell’ordinaria impugnazione che sia proponibile contro la sentenza per pervenire alla riforma o all’annullamento di essa". (Cass. n. 1489 del 1969).
Con riferimento al caso di specie, comunque, tanto se si sceglie l’una, quanto se si sceglie l’altra opzione, la critica mossa alla sentenza impugnata, che ha scelto una soluzione vicina alla seconda ipotizzata, appare infondata, sì da comportare il rigetto del motivo.
3. Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 76 del 1990, art. 15, degli artt. 1105, 1106 e 41 c.c., dell’art. 14 preleggi, degli artt. 75 e 77 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in quanto il Tribunale non avrebbe potuto considerare il Condominio esistente a fini diversi da quelli presi in considerazione dalla L. n. 219 del 1981, art. 12, poi trasfuso nell’art. 15 del citato TU del 1990, legge eccezionale che ai sensi del citato art. 14 preleggi, non è suscettibile di applicazione analogica.
Vi si critica la ratio decidendi con cui, dopo avere ritenuto che non poteva farsi valere con l’opposizione il vizio di formazione del titolo, il Tribunale ha anche escluso la sua sussistenza.
p.3.1. La ratio decidendi criticata è stata enunciata dal Tribunale come ulteriore rispetto a quella scrutinata ai fini del secondo motivo: una volta rimasta ferma quella, il suo esame diventa superfluo, perchè, se anche il motivo fosse accolto, il rigetto parziale dell’opposizione al precetto resterebbe giustificato dall’altra ratio.
p.4. Nella parte finale dell’illustrazione del motivo si prospetta, poi, una doglianza – quella relativa alla nullità del precetto nei confronti del Condominio, in quanto indirizzato all’Avvocato T., privo di rappresentanza dello stesso sempre per le ragioni derivanti dalla estinzione del condominio per effetto della demolizione e dalla sostituzione di una comunione.
La questione non è esaminata dal Tribunale e, quindi, deve ritenersi nuova, come tale inammissibile.
p.5. Il ricorso è conclusivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro quattromiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2012

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