Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 30-01-2013) 24-07-2013, n. 32045

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Messina, con sentenza del 7 ottobre 2011 ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina del 17 dicembre 2010 con la quale S.V. e D.D.L. sono stati condannati per il reato di cui all’art. 110 c.p., L. n. 210 del 30 dicembre 2008, art. 6, lett. d), nn. 1 e 2 (esteso alla Regione Sicilia con O.P.C.M. 9 luglio 2010, n. 3887), per avere, in concorso con altri giudicati separatamente, effettuato attività di raccolta e trasporto rifiuti pericolosi senza autorizzazione (a bordo dell’autocarro Fiat targato (OMISSIS), trasportava un ingente quantitativo di rifiuti pericolosi mescolati a rifiuti non pericolosi come indicati nel capo di imputazione, del reato di cui agli art. 110 c.p., art. 6, lett. g) della medesima legge per avere effettuato la sopra menzionata attività di miscelazione di rifiuti, fatto commesso in (OMISSIS), e delle stesse fattispecie, per fatti analoghi relativi ad altro trasporto, accertati in (OMISSIS), con la recidiva reiterata, per entrambi ed infraquiquennale, per il D.D..

2. Gli imputati, per mezzo del loro difensore, hanno proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per i seguenti motivi: 1) Violazione di legge e motivazione mancante ed illogica in relazione agli artt. 42 e 43 c.p., per quanto attiene all’elemento psicologico del reato, in quanto i ricorrenti al momento del controllo erano in possesso di autorizzazione amministrativa del D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 256 che gli consentiva il trasporto di materiali ferrosi ed erano caduti in errore, poichè gli oggetti rinvenuti avevano componenti ferrose; 2) Violazione di legge, motivazione mancante ed illogica in relazione alla confisca dell’autocarro, in quanto si sarebbe trattato di violazione colposa nell’ambito di un’attività autorizzata, per cui la confisca non sarebbe possibile atteso che non si tratta di criminalità organizzata; 3) Omessa motivazione e contraddittorietà in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; 4) Violazione di legge, motivazione mancante in relazione all’art. 133 c.p..

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso risultano infondati. Com’è stato più volte affermato da questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv.

223061), quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente, e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo. Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica, allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).

2. Nel caso di cui si tratta l’integrazione è ben possibile, in quanto la sentenza di appello ha espressamente richiamato la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto, ma ha poi anche sviluppato un’autonoma motivazione, evidenziando i profili relativi alla sussistenza dell’elemento psicologico dei reati come accertati: se anche il titolare della ditta di trasporto S. era munito di provvedimento autorizzatorio al trasporto di materiale ferroso, la stessa oggettività del materiale rinvenuto escludeva che il titolare dell’autorizzazione potesse essere caduto in errore sulla tipologia degli oggetti trasportati (carcassa di autovettura comprensiva di motore, bombole di gas, lavastoviglie e scaldabagni): si trattava infatti di elettrodomestici, di carcassa di auto, di batterie, ossia di oggetti composti o contenenti da componenti diverse dal mero materiale ferroso e notoriamente inquinanti, non confondibili con la categoria dei rifiuti non pericolosi e del materiale ferroso.

3. L’assunto dei giudici è corretto in quanto va affermato il principio che colui che gestisce in via professionale un’attività di raccolta e trasporto di rifiuti – nel caso di specie non pericolosi – e chi contribuisce alla gestione con il proprio automezzo – come nel caso di specie l’imputato D.D. – è tenuto a conoscere la disciplina dell’attività stessa al fine di rispettare i contenuti dell’autorizzazione. Inoltre la Corte di appello ha sottolineato anche la reiterazione delle condotte illecite ( (OMISSIS)) quale chiaro elemento confermativo della sussistenza del dolo in capo agli autori dei fatti come contestati.

4. Anche il secondo motivo è infondato, in quanto la confisca è prevista ai sensi della L. n. 210 del 2008, art. 6, comma 1 bis essendo i reati stati perpetrati con l’autocarro di proprietà dell’imputato D.D., sequestrato in occasione del secondo accertamento.

4. Per quanto attiene agli ultimi due motivi, gli stessi non sono ammissibili, trattandosi di motivi nuovi, non inclusi nell’impugnazione di appello e come tali non proponibili per la prima volta innanzi al giudice di legittimità. Pertanto il ricorso va rigettato e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *