Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 30-01-2013) 28-06-2013, n. 28258

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Il ricorrente impugna per cassazione la sentenza di cui in epigrafe, resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., che gli ha applicato, secondo la concorde richiesta delle parti, per due reati ex art. 479 c.p. e sette reati ex art. 314 c.p., commessi nella qualità di notaio, la pena di anni due, mesi sette e giorni quindici di reclusione, in aumento ex cpv. art. 81 c.p. sulla pena di mesi otto di reclusione inflitta per il reato, ritenuto più grave, con la sentenza, divenuta definitiva della Corte d’appello di Torino del 16.11.2005, oltre alle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dalla professione notarile per anni cinque.

Deduce:

– l’insussistenza del reato di falso relativo alla mendace attestazione delle modalità di pagamento di immobili oggetto di rogito, sia perchè il riferimento alla girata degli assegni ai venditori voleva indicare semplicemente la consegna degli stessi, sia perchè tale attestazione non era obbligatoria;

– l’illegittima applicazione delle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dalla professione notarile per la durata di anni cinque, dovendosi fare riferimento, al riguardo, solo al reato base ritenuto più grave.

Motivi della decisione

Va premesso che nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti all’accordo tra imputato e pubblico ministero su qualificazione giuridica della condotta contestata, concorrenza e comparazione di circostanze ed entità della pena, fa riscontro il potere dovere del giudice di controllare la correttezza giuridica del patto e la congruità della pena richiesta, applicandola previo accertamento della non emersione, in modo evidente, di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p..

Ne consegue che – una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena ex art. 444 c.p.p. – l’imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie perchè essi sono coperti dal patteggiamento.

Alla stregua di tanto è evidente che il motivo di ricorso con cui si contesta la sussistenza del reato di falso è inaccoglibile, atteso che, da un lato, il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato a quanto contenuto nell’accordo tra le parti, escludendo la ricorrenza dei presupposti dell’art. 129 c.p.p. e così adeguatamente soddisfacendo il suo obbligo di motivazione, in relazione alla ricordata speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti (v. fra le altre Cass. Sez. un., u.p. 27 marzo 1992, ; Sez. un., u.p. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un., u.p. 25 novembre 1998, Messina), e, dall’altro, col detto motivo il ricorrente intende in sostanza rimettere in discussione l’interpretazione e la valutazione di elementi fattuali inerenti alla condotta del prevenuto. Fondata è invece la doglianza relativa alle pene accessorie.

E’ stato, infatti, chiarito in giurisprudenza che, in tema di patteggiamento, ai fini dell’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici deve tenersi conto, in caso di riconosciuta continuazione tra più reati, della determinazione in concreto della pena, quale individuata per il reato più grave, e quindi dell’incidenza delle circostanze attenuanti e del bilanciamento eventualmente operato con le circostanze aggravanti, oltre che della diminuente per il rito speciale. (Sez. 6, n. 22508 del 24/05/2011, , Rv. 250500). Ha sicuramente errato dunque il Tribunale a prendere a riferimento, per l’applicazione della pena accessoria, la pena complessiva risultante dal cumulo di quella di mesi otto inflitta per il reato più grave con quelle aggiunte ad essa come aumento a titolo di continuazione.

Non solo, ma, considerato che nella specie la pena relativa al reato più grave era stata inflitta con altra sentenza, nessuna competenza aveva in materia il giudice del procedimento di cui in causa, spettando essa solo al giudice dell’esecuzione. Quanto poi alla pena accessoria di cui all’art. 30 c.p., parimenti applicata nella immotivata misura di anni cinque, è evidente che, in relazione alla funzione professionale pubblica notarile, essa resta assorbita dalla pena accessoria delle interdizione dai pubblici uffici.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie, che esclude. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2013
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