Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 30-01-2013) 06-06-2013, n. 24795

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 7 dicembre 2011, la Corte d’appello dell’Aquila – in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Sulmona del 2 aprile 2011, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, riconosciuta l’ipotesi attenuata di cui al comma 5 dello stesso articolo, per avere ceduto ad altro soggetto identificato ed avere detenuto eroina e 8 pasticche di Subutex – ha assolto l’imputato limitatamente alla detenzione delle pasticche di Subutex, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, ha ordinato la restituzione della somma di denaro confiscata all’imputato e ha confermato nel resto la condanna.

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo: 1) l’erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, perchè il quantitativo di sostanza stupefacente sequestrata era inferiore ai limiti massimi fissati dalla legge e l’imputato era notoriamente in stato di tossicodipendenza, nè vi era prova della cessione dello stupefacente all’acquirente; 2) la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, perchè l’imputato aveva dato una spiegazione completa dello svolgimento dei fatti e il preteso cessionario aveva affermato che la sostanza stupefacente gli era stata data da una donna straniera, mentre i carabinieri non avevano visto materialmente lo scambio dello stupefacente, nè avevano accertato che la sostanza sequestrata all’imputato e quella sequestrata all’acquirente fossero dello stesso tipo; nè rivelerebbe la presenza di una somma di denaro nelle mani dell’imputato, perchè essa era frutto di una vincita effettuata in una sala scommesse; 3) la violazione del principio della prova, in base a ragioni analoghe a quelle già esposte sub 2).

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è inammissibile, perchè diretto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della sentenza impugnata;

rivalutazione preclusa in sede di legittimità. Il ricorrente si limita, infatti – con i tre motivi di impugnazione – a prospettare interpretazioni alternative dello svolgimento dei fatti, sostenendo che il quantitativo di stupefacente in suo possesso era al di sotto dei limiti di legge e che non vi era prova della cessione dell’altro quantitativo al potenziale acquirente, nè della provenienza del denaro a lui sequestrato dall’attività di spaccio.

La motivazione del provvedimento impugnato risulta, del resto, ampiamente sufficiente e logicamente coerente, con riferimento a tutti i profili di doglianza prospettati nel ricorso, laddove evidenzia che: a) i carabinieri avevano personalmente assistito alla consegna di eroina dall’imputato all’acquirente ed avevano, subito dopo, trovato addosso al primo un’altra dose uguale, per quantità, qualità e confezionamento, a quella consegnata al secondo, oltre ad una somma di denaro; b) anche la seconda dose era stata portata fuori dell’abitazione e, dunque, verosimilmente destinata la cessione a terzi non al consumo personale; c) l’assoluzione per la detenzione delle pasticche di Subutex non incide sul trattamento sanzionatorio, perchè questo è già stato determinato nel minimo edittale; d) non vi è prova che la somma di denaro sequestrato all’imputato fosse provento dell’attività di spaccio e, anzi, è risultato dimostrato che essa aveva provenienza lecita, ma tale circostanza non fa venire meno quanto direttamente accertato dai carabinieri circa l’avvenuta cessione dello stupefacente.

A fronte di una siffatta motivazione, le censure del ricorrente si risolvono -come anticipato – nella richiesta di una reinterpretazione del quadro probatorio, che si concretizza in un riesame del merito del provvedimento impugnato, precluso in sede di legittimità. Deve, infatti, farsi richiamo alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 cod. proc. pen. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096).

4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013
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