Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-07-2012, n. 13565

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Svolgimento del processo
Con decreto in data 17 febbraio 2010 il giudice delegato del concordato preventivo della B.I.S. s.r.l.
rigettava l’istanza dei soci D.A., G. G., T.E. e B.N. volta ad ottenere la restituzione della somma di Euro 380.000,00 da essi versata in esecuzione dell’impegno assunto per consentire il soddisfacimento delle spese di procedura, dei crediti privilegiati, nonchè dei crediti chirografari nella misura del 5% e condizionato all’omologazione del concordato preventivo della società:
restituzione, da essi richiesta sul presupposto che si trattasse di un’obbligazione di garanzia, ormai estinta dopo che la proposta concordataria aveva avuto regolare esecuzione con il raggiungimento degli obiettivi indicati, ed anzi con un residuo attivo di Euro 635.000,00.
Motivava che si trattava, in realtà, di conferimenti a fondo perduto, finalizzati all’approvazione ed omologazione del concordato preventivo.
In accoglimento del successivo reclamo, il Tribunale di Roma disponeva che la somma anzidetta non fosse oggetto di riparto ai creditori da parte del liquidatore giudiziale, dal momento che era stata corrisposta a garanzia dell’esecuzione del concordato preventivo fino alla percentuale di soddisfacimento prevista: a nulla rilevando, in contrario, che essa fosse stata testualmente qualificata "a fondo perduto" e che nella relazione di accompagnamento dell’esperto, di cui alla L. Fall., art. 161, comma 3, si ipotizzasse anche il superamento delle percentuali promesse per effetto del versamento in questione.
Avverso il provvedimento, comunicato a cura della Cancelleria il 21 ottobre 2010 al liquidatore giudiziale ed il 28 Ottobre 2010 al commissario giudiziale della B.I.S. s.r.l., ed altresì notificato ad istanza di parte in data 27 Ottobre 2010, entrambi gli organi della procedura proponevano, congiuntamente, ricorso per cassazione, notificato il 23 Dicembre 2010, sulla base di due motivi di censura.
Resistevano con controricorso i sigg. D., G., T. e B..
La successiva relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ. del giudice designato – che concludeva per l’inammissibilità del ricorso – era contrastata dai ricorrenti con memoria; ed il ricorso, nell’adunanza in camera di consiglio del 23 Febbraio 2012, era rimesso alla pubblica udienza del 17 luglio 2012: quando, depositate dalle parti memorie illustrative ex art. 378 c.p.c., passava in decisione sulle conclusioni del Procuratore generale e dei difensori, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata rilevata l’inammissibilità, per tardività, del ricorso per cassazione del liquidatore giudiziale, notificato il 22 dicembre 2010: e cioè, oltre il termine breve di 60 giorni dalla comunicazione del decreto del Tribunale di Roma in sede di reclamo, curata dalla Cancelleria in data 21 ottobre 2010 (art. 325 c.p.c., comma 2). Nella memoria di replica il liquidatore giudiziale assume che la L. Fall., art. 26, nella sua formulazione novellata, con espressa previsione della decorrenza del termine perentorio per impugnare dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento (d.lgs. 9 gennaio 2006 n.5, emendato, in parte qua, dal D.Lgs. 12 settembre 2007 n. 169), sarebbe riferibile al solo reclamo al tribunale o alla corte d’appello; ma non pure al ricorso per cassazione, tuttora soggetto, senza deroghe, al criterio generale di cui all’art. 326 c.p.c., che prefigura come dies a quo la notificazione del provvedimento (avvenuta, di fatto, il 28 ottobre 2010): con la conseguente tempestività della presente impugnazione, notificata in data 23 Dicembre 2010.
La tesi non ha pregio.
L’espressa previsione della decorrenza del termine per impugnare dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento contenuta nella L. Fall., art. 26, in linea con l’analoga disciplina delle impugnazioni allo stato passivo (L. Fall., art. 99), non costituisce deroga ad una regola generale (come tale, soggetta al canone di stretta interpretazione); bensì, espressione di un principio informatore della lex specialis, consentaneo con la natura concorsuale dei diritti fatti valere.
In tesi generale, la notificazione del provvedimento è, infatti, atto di impulso volitivo e discrezionale della parte vittoriosa che si attaglia ad un rapporto processuale tra parti definite, destinatane esclusive della pronuncia ed arbitre insindacabili della scelta di accelerare la definizione del processo, mettendo in moto il termine breve per l’impugnazione (art. 326 c.p.c.). Laddove, la potenziale efficacia riflessa di un provvedimento L. Fall., ex art. 26, sull’intero ceto creditorio, nell’ambito di una procedura concorsuale caratterizzata da esigenze di speditezza, appare incompatibile con i tempi legati all’ordinaria iniziativa di parte e giustifica, quindi, la decorrenza del termine per impugnare già a partire dalla conoscenza legale acquisita con la comunicazione di cancelleria (art. 136 c.p.c.: Cass., sez. 1, 10 Giugno 2011, n. 12732). Senza spazio alcuno per distinzioni tra i vari mezzi ordinari di impugnazione, all’insegna di un eclettismo disarmonico con la ratio sottesa alla disciplina speciale.
Alla luce di tali principi, appare dunque precluso da tardività il ricorso per cassazione del liquidatore giudiziale, notificato il 62 giorno dalla comunicazione del decreto del tribunale, senza ricorrenza di proroghe di diritto (art. 155 c.p.c.).
La relazione ex art. 380 bis c.p.c., ha contestualmente negato la legittimazione attiva del commissario giudiziale: nei cui confronti non opera, invece, la medesima decadenza dall’impugnazione, in difetto di comunicazione della cancelleria.
Sul punto, il ricorrente replica che la sua legittimazione deriva dalla qualità di parte rivestita in sede di reclamo; e comunque assume di godere di legittimazione autonoma, attiva e passiva, trattandosi di controversia concernente l’interpretazione della proposta concordataria omologata.
Sotto il primo profilo, l’obiezione non coglie nel segno.
Non vi è corrispondenza biunivoca tra qualità di parte formale, per effetto di un’iniziativa processuale propria o altrui, e legittimazione ad impugnare: come reso palese, del resto, dalla costante giurisprudenza di legittimità che riconosce l’officiosità della verifica, in ogni stato e grado, della legittimazione in senso tecnico: rigorosamente distinta dalla titolarità della situazione soggettiva sostanziale – che è questione di merito – che le è spesso impropriamente assimilata nel linguaggio empirico della prassi (Cass., sez. 2, 23 Maggio 2012, n. 8175; Cass., sez. 2, 27 Giugno 2011, n. 14177; Cass., sez. 3, 30 Maggio 2008, n. 14468).
Non è quindi risolutiva l’effettiva partecipazione, per effetto di vocatio, al reclamo ex artt. 164-26 legge fallimentare promosso dai soci della B.I.S. s.r.l.: che lascia, di per sè, impregiudicata la questione dell’effettiva legittimazione attiva del commissario giudiziale, quale portatore degli interessi della società debitrice e della massa dei creditori nella controversia in esame.
Neppure dirimente, in questo senso, appare l’ulteriore qualificazione di parte formale necessaria del procedimento di omologazione, tenuta alla costituzione in giudizio (L. Fall., art. 180, comma 2), che rende il commissario giudiziale litisconsorte necessario anche nei gradi di impugnazione (Cass., sez. 1, 18 novembre 1998, n. 11.604);
dal momento che ad essa corrisponde un’eterogenea posizione giuridica di ausiliario del giudice: e non di parte in senso sostanziale, nemmeno nella veste di sostituto processuale (Cass., sez. 1, 9 maggio 2007 n. 10.632).
E tuttavia, i predetti rilievi non chiudono la problematica, come assumono le parti resistenti.
Al riguardo, si osserva infatti come le funzioni di vigilanza e controllo assegnate al commissario giudiziale nel corso della procedura, prima e dopo l’omologazione (L. Fall., artt. 172, 173 e 185), non ne esauriscano il potere di iniziativa processuale. In almeno un caso la sua legittimazione attiva è espressamente prevista: e cioè, ai fini dell’annullamento del concordato preventivo omologato in caso di scoperta postuma dell’esagerazione dolosa del passivo o di sottrazione o dissimulazione di parte rilevante dell’attivo, ai sensi del combinato disposto della L. Fall., art. 186, u.c., e art. 138. La prima norma sostituisce espressamente al curatore il commissario giudiziale, quale (unico) organo della procedura abilitato ad agire in giudizio, in concorso con i creditori: a differenza che nell’ipotesi, contestualmente prevista, della risoluzione del concordato preventivo, in cui la legittimazione attiva compete solo a questi ultimi.
In entrambi i casi, senza menzione del liquidatore giudiziale.
Quest’ultima notazione è di particolare interesse ai fini in esame, perchè pone in risalto speculare il ruolo preminente, se non esclusivo, del commissario giudiziale in una fattispecie che, seppur venuta alla luce nella fase esecutiva, a seguito della scoperta del dolo del debitore, riguarda retrospettivamente l’originaria proposta concordataria, con l’allegato piano: già oggetto del suo vaglio critico nella relazione, (L. Fall., art. 172, comma 1), e nel parere (L. Fall., art. 189, comma 2). Ne discende che la L. Fall., art. 186, u.c., appare, quindi, idoneo riferimento normativo di un’opzione ermeneutica rispondente all’esigenza di assicurare l’effettivo contraddittorio anche sulla domanda in esame, la cui causa petendi risiede nella stessa proposta di concordato, sulla quale il commissario giudiziale si è istituzionalmente espresso.
Se dunque la corretta interpretazione di quest’ultima si pone come passaggio cognitivo essenziale di un’azione di annullamento, in ipotesi di comportamento decettivo del debitore, appare coerente confermare la legitimatio ad causam del commissario giudiziale su iniziative processuali comunque suscettibili di forzare o snaturare il contenuto della proposta e del piano così come interpretato in sede omologativa.
Trattandosi di interpretazione negoziale ex tunc (a differenza dell’interpretatio ex nunc propria della legge), il commissario giudiziale – e non il liquidatore, intervenuto successivamente – si palesa come legittimo e necessario contraddittore, dotato di un bagaglio cognitivo che ne fa il rappresentante naturale degli interessi della procedura nel resistere ad una domanda suscettibile di alterare le clausole dell’accordo omologato. Tanto più che il suo eventuale travisamento esegetico della proposta potrebbe perfino essere causa di responsabilità, se idoneo a fuorviare lo stesso voto dei creditori, in ragione dell’affidamento riposto.
Ne consegue che la dr.ssa R.P., commissario giudiziale della B.I.S. s.r.l. in concordato preventivo, è legittimata a ricorrere per cassazione nel caso in esame; in cui si tratta, appunto, di stabilire se la proposta concordataria prevedesse, o no, l’acquisizione definitiva all’attivo di versamenti promessi "a fondo perduto" ed effettivamente eseguiti dai soci:
questione, suscettibile, com’è ovvio, di interferenza negativa sulle posizioni dell’intero ceto creditorio, nonchè sulle operazioni di liquidazione, con gli adempimenti connessi (Cass., sez. 1, 29 settembre 1993, n. 9758).
Ancora in via pregiudiziale di rito, si deve senz’altro riconoscere natura definitiva e decisoria – premessa per l’ammissibilità del presente ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 della Costituzione (del resto, da nessuna delle parti messa in discussione) – al decreto L. Fall., ex art. 26, del Tribunale di Roma, che ha accertato la spettanza della somma di Euro 380.000,00 ai soci e non alla procedura; in tal modo, sottraendola definitivamente al riparto ai creditori.
Del tutto erronea, sotto diverso profilo, è poi l’eccezione di inammissibilità delle censure attinenti a vizi della motivazione, dopo l’estensione generalizzata del sindacato di legittimità ad opera della novella di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 (art. 2).
Ancora: il rilievo che si tratta di una domanda di restituzione di somma versata alla procedura – e non, quindi, di un credito vantato verso la B.I.S. s.r.l. in bonis – asseritamente a scopo di garanzia per il positivo perfezionamento del concordato in itinere porta ad escludere che i soci dovessero esperire un’azione ordinaria nei confronti della società (assente, invece, nel presente giudizio). Ed è appena il caso di aggiungere che è proprio in relazione a controversie riguardanti i crediti maturati prima e fuori del concorso, che si è formata la giurisprudenza negatrice della legittimazione attiva e passiva del commissario giudiziale: che pertanto non può essere addotta a sostegno dell’inammissibilità del ricorso in scrutinio.
Scendendo ora alla disamina delle censure, si osserva come con il primo motivo si deduce la carenza di motivazione e la violazione della L. Fall., artt. 160, 161 e 182, e artt. 1349 e 1372 c.c., nel ritenere che l’obbligazione di versamento dei soci fosse subordinata al mancato raggiungimento della soglia del 5% di pagamento dei creditori chirografari.
Il motivo è fondato.
Nel l’interpretare la promessa dei soci – che il giudice delegato aveva ritenuto, invece, condizionata alla sola approvazione ed omologazione del concordato preventivo proposto dalla società – il Tribunale ha deliberatamente negletto la qualificazione "a fondo perduto" espressamente attribuitale dai soci.
Non si tratta del risultato di un’ordinaria operazione ermeneutica, sulla base di una ponderazione comparata degli elementi letterali e comportamentali acquisiti alla cognizione del giudice di merito, bensì dell’aprioristica ed apodittica esclusione di rilevanza di un sintagma che pure valeva a contraddistinguere l’impegno assunto. In tal modo, la causa di garanzia dell’obbligazione – entro, e non oltre, il tetto prefissato – viene affermata, testualmente, "prescindendo dalla qualificazione a fondo perduto": e cioè, con omissione della disamina di un dato letterale, prima facie rilevante ai fini della ricostruzione della volontà della parte promittente riscontrata dai creditori (art. 1362 c.c., comma 1).
Oltre a ciò, il Tribunale di Roma ha radicalmente svalutato la relazione dell’esperto, attestatrice della veridicità dei dati e della fattibilità del piano di ristrutturazione – nella parte in cui ventilava la possibilità di una percentuale di soddisfazione dei crediti anche superiore al 5% – ritenendola inimputabile ai soggetti obbligati: senza quindi porsi il problema ermeneutico se il miglior risultato ivi prospettato presupponesse l’apporto definitivo ed irripetibile, fino ad Euro 380.000,00, da parte dei soci.
L’impostazione non può essere condivisa, perchè la relazione giurata del professionista iscritto nel registro dei revisori contabili – la cui qualificazione è assicurata dal possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. D) – non può essere ridotta at rango di mero allegato, accessorio ed estrinseco alla proposta; di cui forma invece parte integrante, dotata com’è di naturale vis persuasiva, suscettibile, se non rispondente al reale contenuto della proposta, di ingenerare un errore-vizio nel consenso dei creditori.
Resta assorbito il secondo motivo del ricorso, con cui si censura la violazione di legge e la carenza di motivazione nell’escludere, in via subordinata, l’autonoma obbligazione dei soci della B.I.S. s.r.l. per effetto della dichiarazione da essi resa nel corso di un’assemblea e portata a conoscenza dei creditori della società.
Il decreto deve essere quindi cassato, con rinvio al Tribunale di Roma in diversa composizione, che alla luce della vantazione complessiva della proposta, della relazione e di ogni altro elemento emerso nel procedimento di omologazione giudichi se la somma versata dai soci fosse, o no, destinata ad essere acquisita all’attivo indipendentemente dalla percentuale di soddisfacimento realizzata, di fatto, con la liquidazione dei beni ceduti.
P.Q.M.
– Dichiara inammissibile il ricorso del liquidatore, accoglie il primo motivo del ricorso del commissario giudiziale, cassa il decreto e rinvia la causa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2012

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