Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-07-2012, n. 13562

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza 21 novembre 2006, il Tribunale di Pesaro revocò i pagamenti effettuati dalla C. s.p.a. alla B.C. s.p.a. con denaro della M.C. s.p.a., successivamente fallita, per l’importo complessivo di Euro 84.839,05. Il Tribunale, premesso che i pagamenti in questione non erano contestati, rilevò che i pagamenti medesimi erano stati eseguiti per conto della società fallita in virtù di depositi cauzionali da questa eseguiti, e che non poteva dubitarsi della loro natura solutoria.
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza 22 ottobre 2010, ha respinto l’appello della B.C.. La corte ha accertato, l’avvenuta costituzione dei depositi cauzionali, presso la C., da parte della società poi dichiarata fallita, al fine di consentire un’azione condotta nei confronti di varie banche, tra le quali la B.P.B., per definire transattivamente i debiti di M.C. s.p.a. e di altra società, con il riconoscimento a favore della C. di una percentuale sul beneficio conseguito, a titolo di compenso e rimborso delle spese. La corte ha poi esaminato il motivo d’appello della banca, basato sulla circostanza che la C. era stata ammessa al passivo del fallimento per i crediti nei confronti della società fallita che essa aveva acquistato, tra i quali quelli della banca, circostanza che implicava che il pagamento della banca fosse stato fatto con denaro proprio della C.. La corte ha osservato che l’efficacia endoconcorsuale del decreto di esecutività dello stato passivo, sancito dalla L. Fall., art. 96, u.c., se non consente di rimettere in discussione, nell’ambito fallimentare, questioni inerenti all’esistenza, natura ed entità del credito ammesso, non esclude la possibilità di agire nei confronti di un terzo, estraneo all’accertamento concorsuale, al fine di ottenere la dichiarazione d’inefficacia di pagamenti, ancorchè ciò possa comportare accertamenti sul medesimo rapporto, i quali non inciderebbero direttamente sull’esistenza del credito ammesso o sulla sua qualificazione.
2. Per la cassazione di questa sentenza, notificata/spedita il 24 novembre 2010, ricorre U.C.M.B. s.p.a., qualificandosi successore dell’appellante con atto notificato al fallimento il 18 gennaio 2011, per tre motivi.
Il fallimento non ha svolto difese.
La ricorrente ha depositato memoria con un documento, per l’odierna udienza il 9 luglio 2012, e quindi fuori termine. Il deposito è inammissibile.
Motivi della decisione
3. Il primo motivo di ricorso verte sulla contraddittorietà della motivazione. La corte territoriale, dopo aver affermato che il decreto di esecutività dello stato passivo preclude alla curatela la possibilità di agire nei confronti del terzo quando il nuovo accertamento finisca per negare il credito ammesso, ha poi ammesso l’azione nel caso presente, in cui l’accertamento nei confronti del terzo creditore accipiente comporta la negazione del credito già insinuato di C.. Con il secondo motivo si denuncia un error in procedendo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (si richiamano incongruamente l’art. 112 c.p.c., l’art. 132 c.p.c., n. 4 l’art. 118 disp. att. c.p.c. e l’art. 111 Cost.) per l’omessa motivazione circa l’inapplicabilità al caso in esame del principio ne bis in idem.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c..
Richiamando la giurisprudenza di questa corte circa le preclusioni nascenti dall’esecutività dello stato passivo del fallimento, si sostiene che in corso di fallimento, e finchè è aperta la relativa procedura, non possono essere proposte dal creditore e dal debitore ad un giudice diverso da quello fallimentare le questioni riconducibili al credito ammesso al passivo, perchè ciò sarebbe in contrasto con il principio normativo, discendente dalla L. Fall., art. 52, che ha inteso concentrare nella sede fallimentare l’accertamento dei crediti.
4. I tre motivi sono diretti a censurare sotto profili diversi l’impugnata sentenza, nella parte in cui esclude la rilevanza della preclusione endofallimentare prodotta dall’esecutività dello stato passivo. La questione posta dal ricorso verte sulla violazione della norma che sancisce l’immodificabilità dello stato passivo fallimentare, ed è pertanto riconducibile alla violazione di una norma di diritto sostanziale, prevista dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ciò comporta l’inammissibilità dei primi due motivi, che censurano l’affermazione del giudice di merito sotto profili diversi, di motivazione o di vizi in procedendo, irrilevanti rispetto alla questione della legittimità della statuizione in parola.
5. Il terzo motivo di ricorso è invece ammissibile, ma infondato. La norma invocata, contenuta nell’art. 2909 c.c. afferma il principio che il giudicato opera tra le parti e i loro successori o aventi causa. Ciò significa che la forza del giudicato non ha soltanto dei limiti oggettivi, inerenti al contenuto della statuizione, ma anche dei limiti soggettivi, con la conseguenza che la forza del giudicato non può essere invocata da chiunque vi abbia interesse, bensì esclusivamente dalle parti tra le quali è intervenuto l’accertamento – che nella fattispecie sono la C. s.p.a, e il fallimento M. s.p.a. – e dai loro successori o aventi causa.
La banca che ha ricevuto il pagamento dalla C. non può considerarsi successore della società solvente. Neppure può la banca ritenersi avente causa dal solvens, perchè il pagamento è un atto con il quale non si trasferiscono dei diritti ma si estingue un’obbligazione, e perchè la banca non fa valere in questa causa un diritto che abbia ricevuto dalla società solvente, ma si limita ad eccepire di aver conseguito il pagamento di una somma che le era dovuta. Rispetto a questo tema, l’origine della provvista utilizzata dalla società solvente è irrilevante.
6. Il ricorso deve essere pertanto respinto in base al principio di diritto che, nell’azione revocatoria fallimentare del pagamento ricevuto da un terzo, il giudicato endofallimentare formatosi tra il fallimento e il terzo sulla provenienza del denaro utilizzato per il pagamento non è opponibile dall’accipiente al fallimento.
7. In mancanza di difese del fallimento non v’è luogo a pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2012

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