Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-07-2012, n. 13560

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza depositata il 18 febbraio 2003, il Tribunale di Catania accogliendo la domanda proposta il 22 marzo 1993 dal Fallimento della società di fatto tra S. R. e O. S., e dei soci personalmente contro la B.C.I. s.p.a., revocò i versamenti eseguiti nel periodo sospetto sul conto corrente bancario intrattenuto dalla società con la banca, e condannò questa al pagamento di Euro 123.199,68, con gli interessi legali dalla domanda giudiziale.
2. La Corte d’appello di Catania, con la sentenza 26 febbraio 2008, avendo accertato diversamente la data iniziale del periodo sospetto, in relazione alla conoscenza che la banca (B.I.s.p.a., succeduta in corso di causa alla banca convenuta in primo grado) aveva avuto dello stato d’insolvenza della società, ridusse i versamenti revocati a Euro 28.508,20, con gli interessi legali dalla domanda. La corte territoriale respinse invece l’appello incidentale del fallimento, che aveva chiesto l’applicazione dell’anatocismo ex art. 1283 c.c., non potendo – per la natura costitutiva dell’azione – verificarsi il presupposto di applicazione della norma invocata, che alla data della domanda fossero maturati già sei mesi di interessi scaduti.
3. Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorre il fallimento per tre motivi, illustrati anche con memoria.
I.S. s.p.a. resiste con controricorso e memoria.
Il collegio ha deciso la redazione della sentenza a motivazione semplificata.
Motivi della decisione
4. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la "motivazione omessa, insufficiente e/o contraddittoria in riferimento a punti decisivi della controversia". La lunga esposizione delle ragioni della ricorrente si conclude tuttavia senza quella sintesi, che circoscriva puntualmente i limiti del motivo, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, che l’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella fattispecie ratione temporis, richiede a pena d’inammissibilità (Sez. un. 1 ottobre 2007 n. 20603).
6. Con il secondo motivo, censurando il diniego dell’anatocismo sugli interessi riconosciuti con decorrenza dalla domanda giudiziale, il fallimento denuncia la violazione della L. Fall., art. 67, e dell’art. 1283, e formula il seguente quesito: se l’art. 1283 c.c. sia applicabile ai crediti pecuniari di valuta per cui vi è condanna al pagamento in sentenza di natura costitutiva, con riferimento agli interessi che si producono dal settimo mese successivo alla domanda in poi, e sino al soddisfo.
Sul punto questa corte si è già pronunciata con la sentenza, richiamata dal giudice d’appello, che ha affermato il seguente principio di diritto:
il carattere costitutivo della sentenza di revoca di pagamenti, ai sensi della L. Fall., art. 67, comporta che soltanto la sentenza stessa produca – dalla data del passaggio in giudicato – l’effetto caducatorio dell’atto giuridico impugnato e che soltanto a seguito di essa sorge il conseguente credito del fallimento alla restituzione di quanto pagato dal fallito, e finchè non è sorto il credito (restitutorio) per capitale, neppure sorge il credito accessorio per interessi; ne deriva che, sino alla sentenza di revoca del pagamento passata in giudicato, non può parlarsi di interessi scaduti, e che non può, pertanto, farsi luogo all’anatocismo (nella fattispecie richiesto dal curatore anche sugli interessi primari maturati nel corso del giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 1, seconda parte), perchè l’art. 1283 cod. civ. presuppone l’intervenuta scadenza (e dunque esistenza del credito) degli interessi primari. Nè rileva, in contrario, che gli interessi sul credito riconosciuto al fallimento rientrano tra gli effetti restitutori rispetto ai quali la sentenza di revoca retroagisce alla data della domanda, perchè la decorrenza degli interessi (dalla data della domanda) non va confusa con la scadenza, la quale, nell’ipotesi di credito derivante da pronuncia giudiziale costitutiva, non può che coincidere con la data della pronuncia stessa, ossia con il passaggio in giudicato, giacchè solo in tale data, perfezionatosi l’accertamento giudiziale ed il suo effetto costitutivo, sorge la conseguente obbligazione restitutoria (Cass. 11 giugno 2004 n. 11097).
Nella motivazione della citata sentenza è diffusamente considerata e adeguatamente confutata la tesi sostenuta dal ricorrente. Il fallimento, ignorandola, non ha formulato al riguardo osservazioni critiche. Il motivo è pertanto manifestamente infondato a norma dell’art. 360 bis c.p.c. (Sez. un. Ord. 6 settembre 2010 n. 19051).
9. Il terzo motivo, con il quale si impugna il regolamento delle spese, nell’impugnata sentenza, in dipendenza dell’auspicato accoglimento dei motivi precedenti, non contiene alcuna censura ed è inammissibile.
10. In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio sono a carico della parte soccombente, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna il fallimento ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per cinerari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.
Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2012

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