Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-07-2012, n. 13555

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Svolgimento del processo

Con decreto depositato il 14/10/2009 e notificato il 26/11/2009, la Corte di Appello di Roma, su istanza della Commissione delle Comunità Europee, ha dichiarato esecutiva in Italia, ai sensi dell’art. 38 e ss del Regolamento CE n. 44/2001, la sentenza emessa, in data 8.01.2004, dalla sezione mista del Tribunale portoghese di Funchal, con cui B.L., residente in Roma, riconosciuto colpevole del reato ascrittogli e condannato a pena detentiva, è stato anche condannato al pagamento, in solido con altri soggetti ed in favore della Commissione delle Comunità Europee, costituitasi parte civile, delle somme di Euro 710.160,00 e di Euro 680.640,00, oltre interessi.

Con sentenza del 1-03-28.03.2011, la Corte di Appello di Roma, ha dichiarato inammissibile l’opposizione del B. ritenendo che essa fosse stata proposta non con atto di citazione ad udienza fissa ma con ricorso che, depositato in cancelleria il 22 dicembre 2009, era stato tardivamente notificato alla controparte il 5.02.2010, dopo la scadenza del termine di giorni 30, stabilito dall’art. 43, comma 5, del Regolamento CE 44/2001 e decorrente dalla notificazione del suddetto decreto. La Corte ha, infine, condannato l’opponente alle spese di lite.

Contro questa sentenza, notificatagli in data 19/07/2011, il B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e notificato il 12.09.2011 alla Commissione delle Comunità Europee, che ha resistito con controricorso notificato il 20.10.2011. Il B. ha pure depositato memoria, con la quale anche eccepisce l’inammissibilità del controricorso per nullità della procura speciale apposta in calce a tale atto dalla Commissione controricorrente, che in tesi assume priva dei prescritti requisiti e segnatamente non legalizzata e non corredata di apostille, oltre che dell’attestazione del notaio straniero circa l’identità del sottoscrittore e l’apposizione della firma in sua presenza. Il ricorrente ha altresì presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del Pubblico Ministero.

Motivi della decisione

Preliminarmente in rito va ritenuta l’ammissibilità del controricorso per essere stata validamente conferita ai difensori della Commissione delle Comunità Europee la prescritta procura speciale.

Tale procura risulta del seguente tenore: "PROCURA SPECIALE – Con la presente procura, io sottoscritto sig. R.L.R., nato ad (OMISSIS), in qualità di Direttore Generale del Servizio Giuridico della Commissione dell’Unione Europea, domiciliato per la carica presso…delego gli avvocati…

unitamente e disgiuntamente. a rappresentare e difendere la Commissione dell’Unione Europea nel giudizio avanti alla Suprema Corte di Cassazione italiana, promosso dal sig. B.L. contro la Commissione dell’Unione Europea, per l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Roma, I Sezione Civile, n. 1303/2011 …

Bruxelles, li 28.09.2011.." e firmata dal conferente, accanto alla cui sottoscrizione il notaio belga ha apposto la seguente attestazione "Authenticated by Mrs Daisy Dekegel Notary in Brussels (Belgium) for legalization/certification of the signature of Mr R.L.R. set on this document" seguita dal luogo di redazione, parimenti indicato in Bruxelles, nonchè dalla firma del notaio e dal suo sigillo.

Se da un canto ai sensi degli artt. 1, 2 e 3 della Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, relativa alla soppressione della legalizzazione di atti negli stati membri delle Comunità Europee, ratificata dall’Italia con L. 24 aprile 1990, n. 106, e dal Belgio il 16.12.1996, per gli atti notarili provenienti da tali stati è stata soppressa la necessità di legalizzazioni o apostille (cfr anche comunicato in data 6.09.2011, del Ministero degli affari esteri), dall’altro il trascritto contenuto della scrittura privata e della relativa autenticazione notarile consente di desumere che la procura cui attengono sia stata rilasciata secondo la "lex loci" in forme equivalenti a quelle previste dalla legge italiana di diritto processuale (L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 12) ed in particolare che il conferente sia stato preventivamente identificato dal notaio belga e che in presenza di questo abbia apposto la sua sottoscrizione in calce al medesimo atto (in tema, cfr Cass. SU n. 10312 del 2006;

n. 16296 del 2007; n. 3410 del 2008; Cass. n. 12309 del 2007).

A sostegno del ricorso il B. denunzia:

1. "Nullità della sentenza e del procedimento ex art. 101 c.p.c., comma 2, – Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 2, e art. 24 Cost.".

Premesso che la Corte d’appello ha rilevato d’ufficio l’inammissibilità della sua opposizione, percorrendo la ed "terza via", ossia sovrapponendo al dibattito processuale una questione mai sottoposta al controllo e alla discussione delle parti, sostiene che l’adottata decisione è nulla per violazione delle rubricate norme, del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, dal momento che gli è stato precluso di contrastare l’esperibilità dell’opposizione con ricorso piuttosto che con citazione. Chiede conclusivamente (pure non essendo, ratione temporis, il ricorso soggetto alle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c.) a questa Corte di dire se la Corte di Appello, rilevata d’ufficio l’inammissibilità del ricorso per tardiva notifica conseguente ad irrituale atto introduttivo, avrebbe dovuto, a pena di nullità, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2, e conformemente ai principi di cui agli artt. 111 e 24 Cost., riservare la decisione assegnando alle parti un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione.

Il motivo non è fondato.

In tema di violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, non è configurabile la nullità della sentenza nel caso di omessa indicazione alle parti di una questione di diritto, rilevata d’ufficio e su cui la decisione si fondi, quando, come nella specie, tale questione sia d’indole esclusivamente processuale, attenendo alla doverosa verifica officiosa della corretta e tempestiva introduzione dell’azione, e, quindi, ad ambito che non comporta nuovi sviluppi della lite, non altera il quadro fattuale e non esorbita dal thema decidendum (in tema, cfr Cass. SU n. 20935 del 2009; Cass., ord., n. 9591 del 2011).

2. "Violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3" Sostiene che l’opposizione:

avrebbe dovuto intendersi validamente instaurata con il tempestivo deposito del ricorso in cancelleria (non già con la notificazione alla controparte), giacchè era in quel momento che la domanda giudiziale (quale espressione del potere di agire in giudizio per far valere i propri diritti, diversa dalla costituzione del contraddittorio, che avviene con la comunicazione alla controparte della pendenza della lite) doveva intendersi tempestivamente proposta.

che l’irritualità dell’atto introduttivo, avrebbe potuto al più determinare la nullità del ricorso e non la sua inammissibilità (e, quindi, la decadenza dal diritto della parte istante), nullità peraltro da ritenersi sanata alla stregua dei principi generali vigenti nel nostro ordinamento e segnatamente per il conseguimento dello scopo, tramite il deposito tempestivo del ricorso.

Chiede conclusivamente a questa Corte di dire se la Corte di Appello avrebbe dovuto considerare valida e tempestiva la domanda del ricorrente in quanto depositata nella cancelleria del giudice adito entro il termine di 30 giorni previsto dalla normativa comunitaria.

Il motivo non ha pregio.

Inammissibili per inconferenza si rivelano i prospettati rilievi inerenti alla nullità del depositato ricorso ed all’intervenuta sanatoria di tale vizio, giacchè la statuita inammissibilità dell’opposizione non è stata riferita a nullità per difetto di forma dell’atto introduttivo; ma alla tardività della notificazione di questo atto, in quanto avvenuta dopo la scadenza del termine prescritto dall’art. 43 comma 5 del Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, che determina la competenza giudiziaria, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale negli Stati membri dell’Unione Europea e che anche tra l’Italia e il Belgio ha sostituito la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata con L. 21 giugno 1971, n. 804.

Infondate, invece, si rivelano le censure inerenti alla sufficienza del tempestivo deposito del ricorso ai fini del rispetto del citato termine, avendo questa Corte già argomentatamente affermato (cfr Cass. n. 253 del 2010) il condiviso principio di diritto secondo cui "Nel procedimento per l’esecuzione in Italia delle decisioni in materia civile e commerciale, disciplinato dal Regolamento CE n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, il rimedio previsto dall’art. 43 avverso il decreto con cui la corte d’appello abbia accolto l’istanza volta ad ottenere la dichiarazione di esecutività della sentenza straniera non deve rivestire la forma del ricorso, ma quella della citazione a udienza fissa, in tal senso deponendo, nonostante l’espressione utilizzata nel comma quinto dell’art. 43, la natura contenziosa del procedimento, ordinato alla soluzione di un conflitto su diritti, e la finalità, perseguita dal Regolamento, di semplificare le formalità necessarie per assicurare in modo rapido il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni degli Stati membri.

Pertanto, ai fini della verifica in ordine all’osservanza del termine perentorio stabilito dall’art. 43, comma quinto, per l’impugnazione del decreto, occorre che nel predetto termine sia stata richiesta la notifica dell’atto introduttivo del giudizio, la cui proposizione nella forma del ricorso non determina tuttavia l’inammissibilità della domanda, a condizione che la notifica dell’atto e del decreto di fissazione dell’udienza abbia luogo nel termine perentorio".

D’altra parte i rilievi ed il richiamo giurisprudenziale (Cass. SU n. 8491 del 2011) effettuati dal ricorrente non si rivelano atti a contrastare le ampie, puntuali e condivise ragioni, cui va fatto rinvio, sottese al trascritto principio, e, dunque, a mutare l’orientamento già espresso, anche in ordine alla necessità che, qualora l’opposizione sia stata impropriamente attuata con ricorso (invece che con atto di citazione), la notificazione di tale ricorso col relativo decreto di fissazione dell’udienza debba intervenire nel rispetto rigoroso del termine imposto dal Regolamento, ragioni fondate sull’esegesi dell’art. 38 e ss. di tale testo normativo e sui relativi "considerando", le quali conclusivamente si sono risolte nella riaffermazione di noti principi e regole già presenti nella giurisprudenza di questa Corte formatasi nel vigore dell’analogo rimedio apprestato dalla Convenzione di Bruxelles del 1968.

3. "Violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2".

Sottolineato che, alla luce del principio costituzionale del giusto processo, deve escludersi che abbia rilevanza preclusiva l’errore della parte che abbia agito in sede di impugnazione facendo affidamento su una determinata interpretazione delle norme regolatrici del processo, vigente al tempo della proposizione dell’istanza e successivamente travolta da un mutamento di orientamento giurisprudenziale interpretativo, ed ancora che la sua iniziativa non può essere dichiarata inammissibile o improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto non era richiesto al momento del deposito dell’atto di impugnazione, il B. sostiene che non può essere privato della possibilità di un giusto processo per aver incolpevolmente aderito ad un indirizzo interpretativo della disciplina comunitaria (art. 43 Reg.CE 44/2011) secondo il quale, conformemente a quanto previsto dalla lettera della norma, lo strumento per introdurre il giudizio di opposizione al decreto di esecutività della sentenza straniera era individuato nel ricorso (e non nell’atto di citazione). Chiede conclusivamente a questa Corte di dire se la Corte di Appello, ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2, avrebbe dovuto rimettere in termini l’istante, asseritamente incorso in decadenza, anzichè dichiarare inammissibile il ricorso.

La tesi sostenuta dal ricorrente e per la quale sostanzialmente si invoca l’applicazione del "prospective overruling", di cui alla sentenza n. 15144 del 2011, resa dalle Sezioni Unite di questa Corte, non può essere seguita, giacchè sulla questione processuale oggetto di ricorso non si è verificato alcun mutamento della giurisprudenza reso imprevedibile dal carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso e, quindi, da consentirle di beneficiare dell’invocata rimessione in termini.

4. "Violazione e falsa applicazione dell’art. 152 c.p.c., comma 2".

Sostiene che il termine di 30 giorni per proporre opposizione non è perentorio, essendone dall’art. 43 del Regolamento esclusa la prorogabilità solo per ragioni inerenti alla distanza.

Anche questo motivo non merita favorevole apprezzamento.

L’art. 43, comma 5, del Regolamento 44/2001 dispone: "Il ricorso contro la dichiarazione di esecutività deve essere proposto nel termine di un mese dalla notificazione della stessa. Se la parte contro la quale è chiesta l’esecuzione è domiciliata in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata rilasciata la dichiarazione di esecutività, il termine è di due mesi a decorrere dalla data della notificazione in mani proprie o nella residenza. Detto termine non è prorogabile per ragioni inerenti alla distanza".

Il carattere rigoroso e perentorio del (primo) termine previsto dal primo inciso dell’art. 43 in questione, che nella specie rileva, è evidenziato dal tenore testuale (deve) della medesima disposizione ed è già stato condivisibilmente affermato nel richiamato precedente di questa Corte, n. 253 del 2010; d’altra parte la previsione di cui all’ultima parte del medesimo art. 43, per la quale "Detto termine non è prorogabile per ragioni inerenti alla distanza" si riferisce chiaramente soltanto al secondo dei due termini contemplati dalla norma regolamentare e, quindi, non può essere apprezzata a conforto di diversa conclusione, come, invece, prospettato dal ricorrente.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della Commissione delle Comunità Europee.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il B. a rimborsare alla Commissione delle Comunità Europee le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2012

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