Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-01-2013) 09-05-2013, n. 19996

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 16 dicembre 2011 il Tribunale di Trento, giudice dell’esecuzione, pronunciando in sede di rinvio da questa Corte di cassazione, quinta sezione penale, giusta sentenza in data 18 novembre 2010 (pubblicata il 18 febbraio 2011) di annullamento di precedente ordinanza dello stesso giudice dell’esecuzione deliberata il 14 aprile 2010, ha determinato in Euro 20.894,89 l’importo delle spese processuali dovute da A.T. relativamente alla sentenza, ex artt. 444 e 445 cod. proc. pen., emessa dal Tribunale di Trento il 5 maggio 2006, irrevocabile il 14 luglio successivo, con la quale gli era stata applicata una pena superiore a due anni di reclusione per il delitto di illecita detenzione continuata di sostanze stupefacenti.

2. La suddetta ordinanza e anche quelle ad essa prodromiche, emesse dal giudice del secondo rinvio il 13 maggio e il 14 ottobre 2011, sono state oggetto di ricorso per cassazione da parte dell’ A. tramite il difensore, avvocato M. L. del foro di Milano.

Dopo aver ripercorso tutta la complessa vicenda procedimentale esitata nel provvedimento attualmente impugnato del 16 dicembre 2011, emesso dopo due annullamenti con rinvio di altrettante ordinanze del giudice dell’esecuzione (la prima del 2/02/2009, annullata con sentenza in data 4 novembre 2009 di questa stessa Corte e sezione, con la quale il Tribunale di Trento aveva declinato la propria competenza a decidere la questione dedotta dal condannato circa il contestato fondamento delle spese processuali a lui richieste, in forza della predetta sentenza del 5 maggio 2006, nella complessiva misura di Euro 155.085,47, siccome pertinenti ad altre posizioni processuali diverse e distinte dalla sua propria; la seconda del 14/04/2010, annullata con la richiamata sentenza del 18 novembre 2010 di questa Corte, sezione quinta, con la quale lo stesso Tribunale, pronunciando come giudice del primo rinvio, aveva respinto l’istanza del condannato ritenendo che le sue deduzioni fossero attinenti essenzialmente alla causale e all’entità delle spese processuali e non anche all’esistenza e validità del titolo esecutivo), l’ A. ha addotto a sostegno dell’attuale ricorso per cassazione articolati motivi nei quali deduce:

a) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 445 c.p.p., comma 1, artt. 535 e 695 cod. proc. pen., nonchè del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 208, 209, 226 e 299: nel nostro ordinamento giuridico non esisterebbe un principio che imponga alla persona condannata di dover sopportare il costo di tutte le indagini a suo carico, ma solo il costo delle indagini relative al reato o ai reati per il quale o per i quali è stata affermata in giudizio la sua penale responsabilità;

b) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la violazione e/o la falsa applicazione di legge processuale in relazione all’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. a), e art. 627 c.p.p., comma 3, non essendosi il Tribunale uniformato al principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento di questa Corte di cassazione, la quale aveva limitato l’obbligo di pagamento al solo costo delle indagini effettuate per l’accertamento dei reati per i quali all’ A. era stata applicata la pena ex artt. 444 c.p.p. e ss. e, al più, per quelli intimamente connessi;

c) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la manifesta illogicità della motivazione per l’evidente errore che avrebbe indotto il giudicante a quantificare l’obbligo di spese in maniera indiscriminata in relazione a tutte le indagini, invece di limitarlo al costo delle sole indagini funzionali all’accertamento dei reati per i quali è stata pronunciata condanna, e ciò per l’indiscriminato riferimento dell’ordinanza a tutti e cinque i RIT (intercettazioni telefoniche) indicati dal ROS (Reparto operativo speciale) dei Carabinieri come pertinenti alla posizione dell’ A.;

d) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), l’omessa motivazione con riguardo alle spese dovute dal ricorrente per le sole telefonate intercettate, puntualmente indicate dall’interessato nel proposto incidente di esecuzione (pag. 8), effettivamente utilizzate o utilizzabili nel giudizio a suo carico;

e) ex artt. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), l’inosservanza dell’art. 666 c.p.p., comma 2, per contrasto insanabile tra la prima ordinanza emessa dal Tribunale di Trento il 13 maggio 2011, nel secondo giudizio di rinvio da questa Corte di cassazione, la quale, uniformandosi al principio affermato nella sentenza di annullamento del 18/11/2010, aveva limitato l’obbligo di spesa dell’ A. alle intercettazioni telefoniche eseguite sull’utenza dello stesso ricorrente nonchè a quelle dei due correi ( P. e W.) dai quali aveva ricevuto la sostanza stupefacente destinata allo spaccio, circoscrivendo ulteriormente il detto obbligo, secondo il testuale contenuto della medesima ordinanza del 13 maggio, alle telefonate pertinenti al fatto ascritto all’ A. (capo b) per cui era stata applicata la pena; mentre nella successiva ordinanza del 16 dicembre 2011, nonostante la mancata impugnazione e quindi la definitività acquisita dalla prima, il medesimo Tribunale, contraddicendo se stesso, aveva attribuito a carico dell’ A. le spese relative a tutte e cinque le intercettazioni telefoniche (RIT), nella loro complessiva consistenza, indicate dai ROS come pertinenti alla sua posizione, supinamente adeguandosi alla segnalazione dell’organo di polizia senza discernere, come invece era stato ritenuto necessario nell’ordinanza del 13 maggio, le telefonate specificamente afferenti alla posizione dell’ A. e senza specificare gli obbligati in solido con il ricorrente ai sensi del testo previgente dell’art. 535 c.p.p., comma 2, applicabile nel caso di specie ratione temporis.

Conseguentemente il ricorrente ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento, giudice dell’esecuzione, al fine della retta applicazione dei principi di diritto già affermati nella suddetta sentenza del 18 novembre 2010.

3. Il pubblico ministero presso questa Corte, nella requisitoria del 28 marzo 2012, ha chiesto il rigetto del ricorso sul rilievo che la questione dedotta sarebbe attinente all’entità delle spese processuali certamente dovute dall’ A. in base alla sentenza di applicazione della pena emessa nei suoi confronti il 5 maggio 2006, sicchè, sulla base della recente giurisprudenza a sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 491 del 2011), la contestazione del quantum delle spese deve essere proposta al giudice civile nelle forme dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. e non al giudice dell’esecuzione penale.

4. In data 8 ottobre 2012 è pervenuta memoria del difensore dell’ A. nella quale, in replica alle conclusioni del pubblico ministero, si afferma che la causa de qua sarebbe attinente all’esistenza del titolo per l’esercizio dell’azione di recupero delle spese processuali e non solo all’entità di esse, avendo il ricorrente dedotto di essere stato onerato di spese pertinenti a imputati e reati diversi, destinatari di un altro processo distinto dal proprio, insieme ai quali solo per ragioni di mera connessione probatoria e di opportunità procedimentale era stato inizialmente indagato, venendo quindi la sua posizione separata da quella degli altri coindagati a seguito della sua richiesta di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari, e non essendo il reato per cui ha subito la pena avvinto da alcuna connessione qualificata ai reati dei quali sono stati chiamati a rispondere gli originari coindagati, rinviati a giudizio anche per il delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, da cui invece l’ A. è stato prosciolto.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

Il principio di diritto affermato nella sentenza di annullamento del 18 ottobre 2010, emessa dalla quinta sezione penale di questa Corte, al quale il Tribunale di Trento, giudice dell’esecuzione, non si sarebbe uniformato nell’ordinanza impugnata del 16 dicembre 2011, è del tutto coerente, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, con la sopravvenuta sentenza a sezioni unite di questa Corte, deliberata il 29 settembre 2011 e depositata il 12 gennaio 2012, secondo cui "la domanda del condannato che, senza contestazione della condanna al pagamento delle spese del procedimento penale, deduca (sia quanto al calcolo del concreto ammontare delle voci di spesa, sia quanto alla loro pertinenza ai reati cui si riferisce la condanna) l’errata quantificazione, va proposta al giudice civile nelle forme dell’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ.; non rilevando a tal fine l’attribuibilità alla statuizione di detta condanna della natura di sanzione economica accessoria alla pena" (Sez. U, n. 491 del 29/09/2011, dep. 12/01/2012, Pislor, Rv. 251265).

A tale principio affermato nella sentenza di annullamento e nella conforme autorevole giurisprudenza di questa Corte a sezioni unite nella medesima materia, contrariamente all’assunto del ricorrente, si è uniformato il Tribunale di Trento, giudice dell’esecuzione, che, con le prime ordinanze istruttorie del 13/5/2011 e 14/10/2011 (la prima, a torto, ritenuta definitiva dal ricorrente), ha inteso acquisire gli elementi volti a delimitare il titolo delle spese processuali pertinenti alla specifica posizione dell’ A., quale destinatario di sentenza di applicazione della pena superiore a due anni per il reato di illecita detenzione continuata di sostanze stupefacenti, procedendo, quindi, alla liquidazione finale delle medesime spese nell’ordinanza decisoria del 16/12/2011, in cui esse sono state ridotte dall’importo originario, indiscriminatamente riferito a tutti gli imputati, di Euro 155.085,47 a quello di Euro 20.894,89 attribuito al solo A., avuto riguardo ai cinque provvedimenti di intercettazioni telefoniche indicati dai CC del ROS nella nota del 5/10/2011, in risposta alla richiesta di cui all’ordinanza incidentale del 13/5/2011, come fonti degli elementi di prova confluiti nelle imputazioni contestate all’ A..

E’, dunque, evidente che l’ordinanza impugnata si è uniformata a quanto stabilito nella sentenza di annullamento di questa Corte, delimitando le spese processuali attribuite al ricorrente, con la conseguenza che i motivi di censura in parte sono inammissibili, laddove sono eccentrici rispetto alla gravata decisione riproponendo il tema della mancanza di titolo di condanna alle medesime spese, non contrastato dal giudice dell’esecuzione con la perseguita limitazione di esse al solo importo pertinente ai fatti (e relative indagini) per cui l’ A. ha richiesto la pena applicatagli, e in altra parte sono infondati, laddove contestano nella sede sbagliata l’entità dell’importo delle medesime spese, come liquidato nel provvedimento impugnato, salva la facoltà dell’interessato di riproporre le sue doglianze sul quantum al giudice civile competente nelle forme dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ..

2. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato e il ricorrente, a norma dell’art. 616 c.p.p., comma 1, va condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2013
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