Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-07-2012, n. 13550

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Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 10 maggio 2002 il fallimento A. 20.. s.p.a. in liquidazione conveniva dinanzi al Tribunale di Lanusei il B. di S. s.p.a. per ottenere la revoca, nei propri confronti, di rimesse bancarie per complessive lire 5.187.011.369 operate nel periodo sospetto dalla società in bonis, in pagamento dello scoperto di due conti correnti, privi di apertura di credito.
Costituitosi ritualmente, il B. di S. eccepiva l’insussistenza dei presupposti, oggettivo e soggettivo, dell’azione revocatoria.
Con sentenza 8 ottobre 2007 il Tribunale di Lanusei accoglieva la domanda e, per l’effetto, condannava la banca alla restituzione della somma complessiva di Euro 2.444.761,00, oltre alla rifusione le spese di giudizio.
Il successivo gravame era respinto dalla Corte d’appello di Cagliari con sentenza 29 luglio 2009.
La corte territoriale motivava:
– che la banca aveva omesso di produrre il contratto di apertura di credito sul quale fondava l’eccezione di irrevocabilità delle rimesse nella parte in cui costituivano il ripristino della provvista: non essendo sufficiente, al riguardo, il riferimento contenuto in alcune lettere a firma dell’amministratore della società fallita, di cui non era possibile verificare contenuto ed attendibilità;
– che era nuova e perciò inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ. l’eccezione di irrevocabilità delle rimesse oltre la differenza fra il massimo scoperto di conto corrente e il saldo esistente alla chiusura del rapporto;
– che la prova della scientia decoctionis era desumibile sia dal pegno di 6000 tonnellate di carta preteso dal B. di S. per consentire l’accensione di un ulteriore conto corrente, sia dalle notizie di stampa e dalla conoscibilità di taluni atti societari depositati presso il Registro delle imprese sintomatici della sottocapitalizzazione della società: mentre, non erano probanti in senso contrario la fideiussione concessa ai creditori di altra società ammessa al concordato preventivo – dal momento che la garanzia non si era tradotta in un versamento pecuniario – nè l’archiviazione di una precedente istanza di fallimento a fronte della delibera di un aumento di capitale, in seguito mai sottoscritto.
Avverso la sentenza, notificata il 18 settembre 2009, il B. di S. proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e notificato l’11 novembre 2009.
Deduceva:
1) la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e la carenza di motivazione nel ritenere l’inammissibilità della eccezione concernente la parziale irrevocabilità delle rimesse bancarie;
2) la violazione dell’art. 67, comma 2, legge fallimentare ed il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta consapevolezza dello stato di decozione;
3) la violazione della medesima norma ed il vizio di motivazione nel ritenere l’irrilevanza della sottoscrizione da parte della società in bonis di una fideiussione concessa in favore di altra società ammessa al beneficio del concordato preventivo;
4) la violazione dell’art. 67, comma 2, legge fallimentare e la carenza di motivazione nella valorizzazione dell’esistenza di decreti ingiuntivi e procedure esecutive e, per contro, nel mancato apprezzamento dell’esistenza di ulteriori conti correnti con altre banche, pur con rilevanti esposizioni, sintomatiche dell’affidamento riposto dal ceto creditorio nella debitrice.
Resisteva con controricorso la curatela del fallimento A. 20.. spa.
Entrambe le parti depositavano memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..
All’udienza del 13 giugno 2012 il Procuratore generale ed il difensore del ricorrente precisavano le rispettive conclusioni, come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e la carenza di motivazione nel ritenere l’inammissibilità dell’eccezione concernente la parziale irrevocabilità delle rimesse bancarie.
Il motivo è inammissibile.
La corte territoriale ha rigettato l’eccezione di irrevocabilità delle rimesse, prospettata sotto il profilo della loro natura ripristinatoria della provvista portata da un’apertura di credito dell’ammontare di 3 miliardi di lire, sulla base del riscontro della mancata produzione, anche in secondo grado di giudizio, del contratto di apertura di credito. Si tratta dell’affermazione di una carenza documentale, e dunque di un fatto processuale, di per se stesso preclusivo della disamina del fondamento giuridico dell’eccezione. La Corte d’appello ha altresì aggiunto che non costituiva prova idonea, al riguardo, il riferimento contenuto in missive a firma dell’amministratore sociale, che non consentiva, di per sè solo, la verifica del contenuto e dell’attendibilità dell’allegazione:
valutazione questa di merito, congruamente motivata, che non può essere soggetta a sindacato in sede di legittimità.
E’ vero che a tale motivazione, di per sè esaustiva, la corte territoriale ha ritenuto di aggiungere l’ulteriore argomento giuridico desunto dall’art. 345 cod. proc. civile, della preclusione dell’eccezione stessa, proposta per la prima volta in appello. Ma tale statuizione accessoria, di per sè erronea in tema di eccezioni rilevabili d’ufficio (art. 345, comma 2, cod. di rito), non infirma la decisione, autonomamente basata sulla carenza di prova documentale testè richiamata.
I successivi tre motivi, da trattare congiuntamente per affinità di contenuto, volti ad inficiare, sotto il profilo della violazione dell’art. 67 legge fallimentare e la carenza di motivazione, l’accertamento del presupposto soggettivo della scientia decoctionis sono inammissibili, risolvendosi in una difforme valutazione degli elementi probatori valorizzati in sentenza, volta ad in introdurre un riesame nel merito che non può trovare ingresso in questa sede.
La corte territoriale ha fondato l’accertamento dell’elemento psicologico su una serie di circostanze sintomatiche, quali l’anomalia del pegno richiesto per l’apertura di credito in un altro conto corrente e le notizie di stampa sulla grave crisi finanziaria dell’impresa, tradottasi nella mora nel pagamento delle retribuzioni e delle materie prime: all’origine della sospensione delle forniture e financo della chiusura dello stabilimento, con collocazione dei dipendenti in cassa integrazione.
La contestazione di tipo atomistico di tali fonti di presunzione non è neppure in astratto idonea ad infirmare l’impianto argomentativo, fondato su una pluralità di rilievi idonei, nel loro insieme, ad integrare presunzioni gravi, precise e concordanti (art. 2729 cod. civ.). Come pure non vale a corroborare le censure la difforme valutazione sintomatica dell’archiviazione di una precedente istanza di fallimento a carico dell’A. 20.. s.p.a. e della fideiussione da quest’ultima prestata in favore di una terza società a garanzia di un concordato fallimentare: evenienze, prese puntualmente in esame dalla Corte d’appello di Cagliari e motivatamente ritenute neutre.
Il ricorso dev’essere dunque dichiarato inammissibile; con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 15.200.00, di cui Euro 15.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2012

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