Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-01-2013) 09-05-2013, n. 19971

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte militare di appello di Roma, con sentenza in data 3 maggio 2012, in riforma della sentenza assolutoria perchè il fatto non sussiste, emessa l’11 ottobre 2011 dal Tribunale militare di Verona, e in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero, ha dichiarato D.R.S., caporale maggiore scelto, in servizio presso il (OMISSIS), responsabile dei contestati delitti di diserzione aggravata (capo 1) e di truffa militare aggravata (capo 2), per non essere rientrato al Corpo di appartenenza alle ore 8,00 di lunedì (OMISSIS), rimanendo assente, senza giusto motivo, per oltre cinque giorni, fino al (OMISSIS), allorchè faceva spontaneo rientro al Reparto; e per avere con artifici e raggiri, consistiti nel presentare al proprio Comando un certificato medico attestante, contrariamente al vero, la sussistenza di una patologia ostativa alla prestazione del servizio militare dal (OMISSIS), indotto in errore l’Amministrazione militare che provvedeva a corrispondergli le somme – stipendiali e accessorie- relative all’attività lavorativa illegittimamente non prestata, procurandosi così un ingiusto profitto ammontante complessivamente ad Euro 1.068,00 con danno per l’Amministrazione.

Il Tribunale, nel pronunciare sentenza assolutoria, aveva riconosciuto la pregnanza degli elementi a carico dell’imputato:

accertata presenza del suo cellulare ed uso del proprio bancomat, in (OMISSIS), già il (OMISSIS) e il successivo (OMISSIS);

inverosimiglianza della tesi difensiva secondo la quale l’imputato, con nucleo familiare residente in (OMISSIS), provincia di (OMISSIS), dopo aver raggiunto tale località nella sera di venerdì, (OMISSIS), per una breve licenza, colto da un improvviso mal di schiena, sarebbe rimasto a (OMISSIS), cedendo il proprio cellulare e il proprio bancomat alla moglie in partenza per le vacanze, la quale li avrebbe utilizzati in (OMISSIS), così come da tale Regione era partita la telefonata effettuata nel mattino del (OMISSIS), con la quale la stessa moglie dell’Imputato avrebbe comunicato al Corpo militare di appartenenza l’impedimento del marito a riprendere servizio. E, tuttavia, il Tribunale aveva ritenuto che tali elementi non consentissero di affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell’imputato che risultava visitato, proprio il (OMISSIS), dal sostituto del medico di base, dott. C., in (OMISSIS), il quale non conosceva il D.R. e, dopo aver richiesto e ottenuto il referto di una precedente TAC, aveva rilasciato il certificato medico attestante la lombosciatalgia con prognosi di durata della malattia di giorni quindici; il dott. C., esaminato in dibattimento, seppure con forti riserve e perplessità, aveva riconosciuto nell’imputato presente il paziente visitato e la tesi del pubblico ministero di una sostituzione di persona non era stata, pertanto, suffragata da elementi concreti;

quanto alla telefonata del (OMISSIS) al Reparto militare, effettuata dalla (OMISSIS) col cellulare del D.R., per comunicare l’Impedimento di quest’ultimo a riprendere servizio, la circostanza che la moglie dell’imputato avesse escluso tale circostanza non assumeva, secondo il Tribunale, rilievo decisivo a sostegno della tesi accusatoria.

Il giudizio assolutorio di primo grado è stato ribaltato dalla Corte militare di appello, la quale, insieme agli elementi a carico già esaminati dal Tribunale, ha sottolineato che la tipologia del traffico accertato sul cellulare che sarebbe stato imprestato dal marito, rimasto a (OMISSIS) ammalato, alla moglie, recatasi in vacanza a (OMISSIS), non aveva subito mutamenti rispetto al periodo precedente in cui il medesimo apparecchio era stato sicuramente nell’esclusiva disponibilità del D.R., senza tralasciare di rilevare che la moglie dell’imputato, in (OMISSIS), disponeva anche del proprio cellulare, donde l’assurdità della riferita cessione alla stessa del telefono mobile del coniuge, il quale, colpito da lombosciatalgia, sarebbe rimasto da solo nell’abitazione familiare senza disporre del proprio cellulare per comunicare con la congiunta e privo anche della possibilità di attingere denaro per averle ceduto pure il suo bancomat.

La Corte territoriale ha, quindi, valorizzato l’incertezza del preteso riconoscimento del D.R. da parte del dott. C. a due anni di distanza dal fatto, richiamando la circostanza che il medico, nel corso dell’esame, aveva ammesso di aver avuto forti perplessità al momento della visita circa la patologia lamentata dal paziente, sospettando un mendacio, e di avere perciò richiesto la visione di precedente esame strumentale (TAC) prima di stilare il referto di lombosciatalgia, senza prescrivere alcun farmaco; sicchè la pregnanza delle prove a carico, secondo la Corte di appello, non era contraddetta dalla testimonianza del C., ma anzi avvalorava lo scambio di persona in occasione della visita medica del (OMISSIS), allorchè un altro soggetto in luogo dell’imputato, già In Calabria, si sarebbe recato presso lo studio del C., lasciando credere a quest’ultimo di essere l’Imputato.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il D.R. tramite il difensore di fiducia, avvocato Luigi Salvati, il quale deduce due motivi.

2.1. Con il primo motivo denuncia l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riguardo all’art. 234 c.p.m.p., commi 1 e 2, e art. 47 c.p.m.p., n. 2, e il vizio della motivazione.

La Corte territoriale avrebbe violato la regola posta dall’art. 533 c.p.p., comma 1, che impone l’assoluzione quando l’imputato non risulta colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio, offrendo una lettura delle risultanze processuali in chiave esclusivamente accusatola sulla base di massime di esperienza che non avrebbero alcun pregio probatorio. E ciò nonostante il giudizio assolutorio di primo grado imponesse al giudice di appello particolare rigore nell’analisi probatoria sfociata nel ribaltamento della prima decisione con la condanna dell’imputato.

Del tutto suggestiva sarebbe la tesi dell’asserita sostituzione di persona nella visita medica effettuata nell’ambulatorio di (OMISSIS) (provincia di (OMISSIS)) nello stesso giorno e ora in cui il telefono cellulare dell’imputato effettuava una chiamata dalla (OMISSIS) per comunicare al Comando militare di appartenenza che non avrebbe ripreso servizio a (OMISSIS) (provincia di (OMISSIS)).

Le perplessità del dott. C. sia con riferimento alla patologia diagnosticata, sia nel riconoscimento in udienza dell’imputato dopo due anni dal fatto, troverebbero spiegazione non nella peregrina tesi della sostituzione di persona, bensì nella circostanza obiettiva che il C., sostituto del medico curante del D.R., dott. F., vide l’imputato per la prima volta in quella occasione e per un tempo limitato; la non plausibilità dell’ipotesi di una sostituzione di persona emergerebbe, inoltre, dalla circostanza che lo stesso C., prima di rilasciare il certificato medico del (OMISSIS), successivamente consegnato dallo stesso D.R. al reparto di appartenenza quando rientrò in servizio il (OMISSIS), richiese e ottenne in visione la documentazione medico-sanitaria attestante la patologia (lombosciatalgia) lamentata dal paziente; la qualità di pubblico ufficiale del medico di base, d’altronde, attribuisce al certificato da lui formato fede fino a querela di falso, sicchè l’attestata esecuzione della visita e la riscontrata patologia, escludendo l’artificio o il raggiro su tale elemento essenziale, vanificherebbero l’elemento materiale del contestato delitto di truffa aggravata militare.

La motivazione della sentenza sarebbe carente anche con riguardo all’elemento soggettivo del reato.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione nella valutazione delle prove poste a fondamento del giudizio di condanna.

La cessione del telefono cellulare personale e della carta bancomat alla moglie nel medesimo periodo del mancato rientro in servizio non avrebbero valenza probatoria idonea a sostenere l’assenza dell’imputato dal luogo di degenza, ed artificiosa e meramente congetturale sarebbe la tesi di una sostituzione di persona in occasione della visita medica nel luogo di residenza; al contrario proprio la realtà di tale visita, certificata dal medico di base nella sua veste di pubblico ufficiale, dimostrerebbe che il D.R. non poteva trovarsi nella medesima ora e giorno in un luogo diverso, in (OMISSIS), rispetto a quello in cui fu visitato dal dott. C., nel Comune di residenza, (OMISSIS).

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibite per la manifesta infondatezza della violazione di legge denunciata e perchè le sollevate censure motivazionali non rappresentano profili di manifesta illogicità o contraddittorietà dell’articolato discorso giustificativo della sentenza impugnata, ma si risolvono nella perorazione di una interpretazione alternativa degli esiti istruttori rispetto a quella sostenuta dal giudice di merito, che non è consentita nel giudizio di legittimità.

Va, in proposito, rilevato l’esaustivo e coerente ragionamento probatorio della Corte territoriale, già sopra illustrato e qui non ripetuto, cui va riconosciuto di essere stato dialetticamente attento sia alle prove a carico, sia a quelle a discarico, come imposto dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. c), e di avere ponderatamente svalorizzato l’unico elemento a favore dell’imputato, ossia la visita medica cui si sarebbe sottoposto il (OMISSIS), in (OMISSIS), quando il suo cellulare, col quale il proprio impedimento per malattia veniva, nello stesso contesto temporale, comunicato al reparto militare di appartenenza, già si trovava nel luogo di vacanza familiare, in (OMISSIS). E tanto sulla base di un duplice ordine di considerazioni non congetturali, ma ancorate alle risultanze istruttorie: la non previa conoscenza del D.R. da parte del medico che lo avrebbe visto e visitato, quel giorno, per la prima volta; e l’incertezza manifestata dallo stesso professionista nel riconoscimento dell’imputato, con le pur espresse riserve sulla patologia lamentata nell’occasione, la quale fu certificata solo a seguito dell’acquisizione di precedente documentazione sanitaria fornibile anche da parte dell’ignota persona che, secondo la non illogica motivazione della Corte di merito, sostituì il D.R. in quel frangente.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2013

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