Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-07-2012, n. 13544

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Svolgimento del processo
Con sentenza in data 12-6-2006, il Tribunale di Roma dichiarava la separazione giudiziale tra i coniugi D.V.V. e D.M. P., rigettava la domanda di addebito proposta dal marito, affidava le figlie minori alla madre, cui assegnava la casa coniugale, determinava il contributo per il mantenimento dovuto dal padre per le figlie nella misura di Euro 900,00 mensili.
Impugnava la suddetta sentenza il D.M.. Costituitasi, la moglie chiedeva il rigetto del gravame, (dichiarandosi la nullità e l’inefficacia dell’attività procuratoria svolta dall’Avv. S., e la decadenza del D.M. dalla domanda di addebito e di affidamento condiviso, reiterate in appello), nonchè l’elevazione del suo assegno di mantenimento ad Euro 1200,00 mensili.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 7-2-/14-3-2008, dichiarava la nullità dell’attività procuratoria dell’Avv.to S., in primo grado, disponendo l’affidamento delle minori ad entrambi i genitori, con collocamento prevalente presso la madre.
Ricorre per cassazione il D.M..
Non svolge attività difensiva la D.V..
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 83, 125 e 163 c.p.c., in ordine al difetto di procura dell’Avv. Scandagliata in primo grado.
Il motivo va accolto.
E bensì vero che nel testo della procura, contenuta nella comparsa di risposta, in primo grado, viene indicato il nome di un Avvocato (S. C.) diverso da quello che ha autenticato la firma (M. S.), ma pare indubbio che ciò sia frutto di un errore materiale inidoneo ad inficiare la validità della procura stessa: l’Avv. S., oltre ad avere autenticato la sottoscrizione del mandato, viene indicato, quale avvocato del ricorrente, nell’intestazione della predetta comparsa di risposta, ove espressamente si richiama tale procura.
Ne consegue la validità dell’attività procuratoria svolta dal predetto Avvocato, ivi compresa la domanda di addebito da parte del D.M. nei confronti della moglie in primo grado, rigettata, ma riproposta nel giudizio di appello, che dovrà pertanto essere riesaminata.
Il riesame di tale domanda travolge necessariamente ogni questione relativa all’assegno di mantenimento della D.V.: se fosse accolta la domanda di addebito, non potrebbe riconoscersi assegno, se non a titolo di alimenti, ove il destinatario si trovasse in stato di bisogno.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta nullità della sentenza, per insanabile contrasto tra motivazioni e dispositivo, avuto riguardo all’art. 156 c.p.c., in ordine all’importo dell’assegno per i figli.
Il motivo va parimenti accolto.
Il Giudice d’Appello, dopo aver precisato, in motivazione, che l’importo di Euro 800,00 mensili risulta equamente rapportato alle esigenze delle due figlie, nel dispositivo conferma la sentenza appellata (nella quale il contributo paterno era determinato nella misura di Euro 900,00 mensili).
E’ possibile che la Corte di merito abbia fondato la sua decisione sull’erronea convinzione che la sentenza di primo grado avesse disposto un assegno mensile di Euro 800,00 (così essa precisa, nello "svolgimento del processo"), ma avrebbe potuto eventualmente errare nel riportare in motivazione la somma di Euro 800,00 anzichè quella di Euro 900,00.
Non è possibile dunque comprendere esattamente il procedimento logico seguito dal Giudice in motivazione nè individuare correttamente il relativo comando giudiziale in dispositivo. Sussiste pertanto palese contrasto tra motivazione e dispositivo da cui consegue, sul punto specifico, la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.c., n. 4.
L’accoglimento del primo e del secondo motivo assorbe necessariamente il terzo, relativo all’assegno per il coniuge e il quarto, attinente a quello per le figlie.
Va dunque accolto il ricorso, cassata la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2012

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