Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 30-01-2013) 06-05-2013, n. 19447

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del Tribunale di Palermo del 4 febbraio 2010 T.G. è stato condannato per i reati di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c), e comma 2, lett. a), (capo A) e di cui all’art. 648 c.p. (capo B), uniti da vincolo di continuazione, alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ed Euro 800 di multa. Avverso tale pronuncia il condannato ha proposto appello, chiedendo la concessione delle attenuanti generiche e la riduzione della pena. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 6 marzo 2012, accoglieva parzialmente il gravame rilevando che le attenuanti generiche erano già state concesse, ma che la pena poteva essere ridotta a otto mesi di reclusione ed Euro 300 di multa, previa riqualificazione del fatto sub capo B mediante l’assorbimento del reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c), in quello di cui al cit. articolo, comma 2, lett. a).

2. Ha proposto ricorso contro quest’ultima pronuncia il difensore dell’imputato, sulla base di un unico motivo rubricato come violazione di legge in relazione all’art. 648 c.p. e alla L. n. 633 del 1941. Afferma che la corte territoriale ha errato nel qualificare il fatto non sussistendo, sul piano oggettivo, conseguimento del profitto da parte dell’imputato e, sul piano soggettivo, consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni. Ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, infatti, è necessaria la prova della consapevolezza dell’illecita provenienza, in difetto della quale va disposta l’assoluzione perchè il fatto non sussiste.

L’imputato solo per negligenza e disattenzione non si è accertato della provenienza dei supporti musicali di cui si tratta e comunque non è stata raggiunta la prova della sua piena consapevolezza della provenienza illecita. Inoltre non è condivisibile la riconduzione della condotta nell’ambito della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c), poichè tra le condotte punite dall’art. 171 ter suddetto e dall’art. 648 c.p. non si ravvisa concorrenza, essendo la prima in rapporto di specialità rispetto alla seconda. Manca comunque sia l’elemento soggettivo che quello oggettivo dei reati contestati all’imputato e al riguardo vi sarebbe anche vizio motivazionale.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

Deve anzitutto darsi atto che la sentenza di primo grado è stata impugnata con appello relativo esclusivamente alla concessione delle attenuanti generiche e alla riduzione della pena per la modesta gravità dei fatti. Il motivo presentato nel presente ricorso, invero, oltre ad essere di contenuto plurimo e non ben delineato, riguarda comunque anche la responsabilità penale dell’imputato rispetto ai reati a lui ascritti. Il fatto che ciò non sia stato oggetto dei motivi d’appello non comporta la formazione di giudicato interno al riguardo (S.U. 19 gennaio 2000 n. 1; Cass. sez. 1, 18 febbraio 2003 n. 13628). Tuttavia, il motivo si impernia sull’assenza di sufficiente prova sul profitto, sulla provenienza delittuosa dei beni e soprattutto sulla consapevolezza da parte dell’imputato della provenienza delittuosa: questioni puramente di fatto quindi in questa sede inammissibili. Del tutto generico e quindi non individuabile è, d’altronde, il preteso vizio motivazionale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (non a caso assente nella rubrica del motivo).

Quanto poi alla negata configurabilità di concorrenza tra le condotte rientranti nella L. n. 633 del 1941, art. 171 ter e la fattispecie della ricettazione, la giurisprudenza ha da tempo chiarito (p.es. Cass. sez. 2, 12 maggio 2009 n. 23544) che, invece, il concorso tra il reato di ricettazione e quello di detenzione a fini di commercio di prodotti audiovisivi, fonografici, informatici o multimediali abusivamente riprodotti ex L. n. 633 del 1941, art. 171 ter è configurabile relativamente alle condotte poste in essere anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 248 del 2000 e successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 68 del 2003; e nel caso di specie i fatti sono stati accertati il (OMISSIS).

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna al ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2013

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