Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-07-2012, n. 13540

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Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 5.10.010, ha respinto il gravame proposto dalla BCCC (in seguito, per brevità, BCCC), soc. coop. p.a. avverso la sentenza del Tribunale che, in accoglimento della domanda L. Fall., ex art. 67, comma 2, avanzata dal Fallimento della Prefabbricati P.L.P. s.r.l. nei confronti dell’appellante, aveva dichiarato l’inefficacia dei versamenti solutori, per complessivi Euro 40.715,61, affluiti, nel c.d. periodo sospetto, sul conto corrente intrattenuto dalla fallita presso l’istituto di credito ed aveva condannato quest’ultimo a restituire alla curatela la somma predetta, maggiorata degli interessi legali.
La Corte territoriale ha rilevato che la prova della scientia decoctionis della banca poteva ricavarsi con certezza dal bilancio dell’esercizio ’98 della fallita, pubblicato il 30.6.99, che evidenziava l’azzeramento del capitale sociale e delle riserve ed una perdita di notevole consistenza; ha inoltre affermato che le rimesse dovevano ritenersi intervenute allorchè il conto corrente era scoperto, e non meramente passivo, in quanto i documenti prodotti dalla banca per provare che la fallita godeva di un’apertura di credito regolata su detto conto erano privi di data certa anteriore al fallimento, a nulla rilevando il fatto, non oggettivamente impeditivo di una sottoscrizione postuma, che il Presidente del c.d.a. che li aveva apparentemente siglati fosse cessato dalla carica prima della dichiarazione di fallimento della P.L.P..
La sentenza è stata impugnata da BCCC con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il Fallimento della P.L.P. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo di ricorso, BCCC denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ricorrenza del presupposto soggettivo dell’azione. Rileva che l’avvenuta pubblicazione del bilancio della correntista non comporta l’immediata ed automatica conoscenza delle sue risultanze da parte della banca; deduce, inoltre, che, nel caso, gli elementi negativi desumibili dal bilancio dell’esercizio ’98 di P.L.P. non costituivano sintomo certo del suo stato di insolvenza.
Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Le due circostanze (gravi perdite emergenti dal bilancio dell’esercizio del 1999 di P.L.P. ed oggetto dell’attività di impresa della creditrice) ritenute sufficienti dal giudice del merito a fondare la prova presuntiva della scientia decoctionis della banca sono dotate dei caratteri della gravità, della precisione e della concordanza, non essendovi dubbio che un operatore bancario sia professionalmente attrezzato a valutare i dati del bilancio di una società ed a trame precise indicazioni circa lo stato economico e patrimoniale in cui essa versa.
Non risulta, poi, che BCCC abbia contestato in sede di appello di aver avuto tempestiva conoscenza dell’avvenuta pubblicazione del bilancio di P.L.P. (secondo quanto già accertato dal primo giudice), sicchè, essendo tale fatto pacifico, la Corte di merito ne ha implicitamente, ma correttamente, tratto la conclusione che la banca (che fra l’altro sosteneva di aver concesso alla società poi fallita un’apertura di credito) seguisse con attenzione le sorti della propria correntista e che pertanto, una volta depositato il bilancio, si fosse affrettata a prenderne visione. Del tutto generica, e priva del requisito dell’autosufficienza, è invece la censura con la quale la ricorrente – senza chiarire se abbia o meno prodotto agli atti il bilancio di esercizio ’98 di P.L.P. e senza richiamare eventuali, ulteriori elementi istruttori decisivi, trascurati o malamente interpretati dalla Corte territoriale – sostiene che i dati negativi del bilancio ’99 della società avrebbero potuto essere interpretati semplicemente quali sintomi di una sua difficoltà economica improvvisa e contingente.
2) Con il secondo motivo, BCCC denuncia violazione dell’art. 2704 c.c.. Rileva che, ai sensi della norma predetta, i fatti dai quali può desumersi la certezza della data della scrittura sono non solo quelli (la morte o la sopravvenuta incapacità fisica dei sottoscrittore) che rendono materialmente impossibile la successiva redazione del documento, ma anche altri, di mero rilievo giuridico – amministrativo (la registrazione, la riproduzione in un atto pubblico) che di certo non potrebbero fisicamente impedirne la formazione in epoca posteriore a quella in cui vi risulta apposta la data, ancorchè attraverso la commissione di un illecito. Assume che fra i fatti non tipizzati, dal cui verificarsi, secondo la disposizione di chiusura di cui all’art. 2704 c.c., può stabilirsi la certezza della data ben può rientrare la cessazione dalla carica del legale rappresentante di una società, trattandosi di fatto non meramente interno, ma disciplinato da una speciale normativa, che ne rende necessaria l’iscrizione nel Registro delle Imprese ai fini della sua opponibilità ai terzi, e dal quale discende l’impossibilità giuridica per il soggetto interessato a sottoscrivere qualunque atto che impegni l’ente non più rappresentato.
Il motivo deve essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente, infatti, non ha dedotto di aver tempestivamente prodotto in giudizio una visura della CCIIA (o certificazione ad essa equivalente) atta a provare l’avvenuta iscrizione, in data anteriore alla sentenza dichiarativa del fallimento, della cessazione dalla carica del presidente del C.d.A. firmatario del contratto di apertura di credito e, per il vero, non ha neppure allegato di aver effettivamente provveduto all’iscrizione.
Deve escludersi, pertanto, che possa ritenersi accertata l’opponibilità ai terzi, ai sensi dell’art. 2193 c.c., di tale fatto, e ciò preclude a questa Corte di esaminare la questione illustrata nel motivo, che, per l’appunto, si fonda sul presupposto che la cessazione di un soggetto dalla carica di legale rappresentante di una società, resa pubblica mediante iscrizione, sia idonea a conferire certezza alla data del contratto da questi sottoscritto in nome e per conto dell’ente.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2012

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