Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 30-01-2013) 06-05-2013, n. 19446

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 26 marzo 2012 la Corte d’appello di Catanzaro, Sezione Minorenni Penale, decidendo sull’appello presentato da A.M. avverso sentenza del GUP del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro del 9 giugno 2010 – che lo aveva ritenuto colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, e art. 81 cpv. c.p. per ripetuti episodi di cessione e/o spaccio di eroina, condannandolo alla pena di anni uno mesi 11 di reclusione ed Euro 8000 di multa -, riformava parzialmente la sentenza di primo grado riconoscendo l’ipotesi di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e conseguentemente riducendo la pena a 10 mesi di reclusione ed Euro 1600 di multa.

2. Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso, fondandolo su quattro motivi.

Il primo motivo denuncia la violazione di legge e la mancanza di motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione agli artt. 63 e 64 c.p.p. e art. 351 c.p.p., comma 1 bis. Il giudizio di responsabilità dell’imputato sarebbe giustificato sulla base di dichiarazioni di presunti consumatori che si sarebbero da lui riforniti, I.I. e P.V., ascoltati durante le indagini preliminari, le cui sommarie informazioni testimoniali sarebbero inutilizzabili. Essi avrebbero dovuto essere ascoltati nelle modalità e con le garanzie di cui alle suddette norme, perchè potevano essere definiti soggetti indagati in un procedimento connesso o collegato. In particolare, I. dichiarava di fornirsi esclusivamente da A. e in precedenza era stato arrestato e sottoposto a misura cautelare perchè trovato in possesso di droga:

evidente quindi sarebbe la sua qualità di indagato in un procedimento connesso e collegato. A sua volta, P., in una comunicazione intercettata facente parte del fascicolo inerente il presente giudizio, lascerebbe intendere di non essere solo consumatore ma anche spacciatore, per cui "sarebbe stato opportuno" sentirlo come indagato e con l’assistenza di un difensore.

Il secondo motivo, presentato ancora come violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione questa volta al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e all’art. 533 c.p.p., adduce che non vi sono gli estremi per la condanna ex cit. art. 73, non emergendo elementi in tale senso dalle conversazioni captate e non essendo credibili le s.i.t. di I. e P.; inoltre mancherebbe la motivazione sugli elementi evincibili dalle conversazioni telefoniche.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

Il primo motivo corrisponde, in punto di violazione di legge, al primo motivo d’appello; a parte che nella sua formulazione presenta ambiguità contraddittorie – come laddove adduce l’opportunità, anzichè la necessità dell’escussione assistita del P. -, non apporta alcuna novità rispetto a quello cui la corte territoriale ha fornito una risposta sorretta da adeguata motivazione. La corte, infatti, evidenzia che la difesa propugnava l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di I. perchè indagato in procedimento connesso o collegato fin dal primo grado e che nel motivo d’appello aveva riproposto la questione affermando che le ragioni di connessione erano evincibili dalle dichiarazioni stesse. Già il primo giudice aveva rilevato la mancanza di dimostrazione in atti dell’esistenza di un procedimento penale concorrente a carico del suddetto, osserva la corte, ribadendo che la sottoposizione a misura cautelare non risultava avere poi avuto un esito processuale, il che significa mancanza di seri indizi di reità. In punto di diritto, quindi, richiamava la giurisprudenza (S.U. 5 giugno 2007 n. 21832) per cui l’acquirente di modica quantità di stupefacente nelle indagini preliminari deve essere sentito come persona informata dei fatti se nei suoi confronti non sono emersi elementi indiziari di uso non personale. Inoltre, non vi sarebbe prova che la droga trovata al dichiarante provenisse dall’imputato, perchè egli aveva riferito di disporre di diversi fornitori; e si tratterebbe tutt’al più di dichiarazioni auto-indizianti rese in corso di sommarie informazioni e dunque sconosciute ab origine agli investigatori, risultando allora utilizzabili ex art. 63 c.p.p., comma 1.

La motivazione è chiaramente del tutto congrua e logica rispetto al motivo d’appello, per cui non sussiste alcun vizio motivazionale come invece afferma il primo motivo del ricorso; e già questo può concludere il suo vaglio in senso negativo, poichè la qualifica del dichiarante è questione di fatto, non sindacabile dal giudice di legittimità se congruamente motivata (cfr. S.U. 25 febbraio 2010 n, 15208, per cui in tema di prova dichiarativa, se rileva la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice verificare, in termini sostanziali – e quindi al di là di indici formali come l’iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato – l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni sono rese, e il relativo accertamento si sottrae se congruamente motivato al sindacato di legittimità).

Ad abundantiam, si osserva in punto di diritto che, come afferma la corte territoriale a proposito dell’art. 63 c.p.p., comma 1, le dichiarazioni rese dal soggetto legittimamente sentito in origine come teste o persona informata sui fatti sono inutilizzabili erga omnes soltanto se posteriori alla confessione della propria compartecipazione al reato oggetto del giudizio (da ultimo Cass. sez. 1, 4 maggio 2012 n. 25834). E d’altronde la inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni di chi doveva dall’inizio essere sentito come indagato o imputato sancita dall’art. 63 c.p.p., comma 2 sussiste solo se al momento delle dichiarazioni il soggetto non è estraneo alle ipotesi accusatorie allora delineate, occorrendo infatti in tal caso che a carico del soggetto siano originariamente esistenti precisi, anche se non gravi, indizi di reità; ma tale condizione non deriva automaticamente dal solo fatto che il dichiarante possa essere stato in qualche modo coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di produrre addebiti penali a suo carico (Cass. sez. 5, 19 maggio 2009 n. 24953): anche questo punto di vista quindi riconduce alla cognizione di fatto riservata al giudice di merito, nel caso di specie, come già rilevato, sorretta da una motivazione congrua.

Infine, a proposito della specifica fattispecie dell’acquisto di modiche quantità di sostanze stupefacenti, se non emergono indizi di uso non personale è senz’altro applicabile la giurisprudenza richiamata dalla corte nel senso della utilizzabilità delle dichiarazioni rese come persona informata dei fatti nelle indagini preliminari (oltre a S.U. 5 giugno 2007 n. 21832, cfr. Cass. sez. 6, 10 ottobre 2008 n. 40586).

Il secondo motivo riguarda, in sostanza, l’assenza di prove in ordine alla responsabilità per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. Si tratta evidentemente di una questione di fatto, per cui non è corretto il riferimento, nella rubrica del motivo, alla violazione di legge, se non inteso restrittivamente il riferimento all’assunta mancanza di motivazione, essendo peraltro il vizio motivazionale riconducibile e ricondotto nella rubrica all’art. 606 c.p.p., lett. e). Il motivo è comunque palesemente infondato, giacchè la sentenza offre una motivazione del tutto adeguata ed esente da alcuna contraddittorietà in ordine all’accertamento della responsabilità dell’imputato (cfr. in ispecie pagina 3).

In conclusione, per la manifesta infondatezza il ricorso è inammissibile; nessuna condanna peraltro ne consegue, vista la minore età dell’imputato, che impone, poi, di omettere, in caso di diffusione della sentenza, le generalità e i dati identificativi ai sensi del Codice della riservatezza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2013
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