Cons. Stato Sez. V, Sent., 21-01-2011, n. 424

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto notificato il 7 marzo 2000 e depositato il 5 aprile seguente il dott. G.F., coordinatore delle attività didattiche del corso 199495 di formazione specifica in medicina generale svolto presso l’A.USL FG/3, ha chiesto la riforma della sentenza 11 dicembre 1999 n. 2009 del TAR per la Puglia, sede di Bari, sezione seconda, notificata il 14 febbraio 2000, con la quale è stato respinto il suo ricorso diretto all’annullamento in parte qua della deliberazione 27 maggio 1997 n. 1202 del Direttore generale dell’A.USL, di liquidazione del compenso per la predetta attività nella misura globale di L. 4.500.000, in ragione di un impegno complessivo nel biennio di 150 ore fuori dell’orario di servizio e dell’importo di L. 30.000 per ora, nell’assenza di "sistemi oggettivi di rilevazione delle ore d’impegno dei coordinatori nei rispettivi settori".

Premesso che con deliberazione 20 gennaio 1995 n. 3 della Giunta regionale e nota 24/10782/221 dell’Assessorato alla sanità la Regione, nel regolare la materia dei corsi, ha dettato criteri indicatori in materia, prevedendo, per quanto concerne i coordinatori preposti alle attività didattiche, un impegno fuori orario di servizio pari a sei ore settimanali per l’intero biennio e per l’importo di L. 30.000 per ciascuna ora, a sostegno dell’appello ha dedotto:

a.- Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 36 e 97 Cost.). Violazione del d.m. 9 ottobre 1993. Omesso apprezzamento di presupposti essenziali ed erroneo apprezzamento dei presupposti considerati. Illogicità. Carenza di motivazione. Travisamento. Ingiustizia manifesta. Contrasto con determinazioni regionali.

La pronunzia ritiene incomprovato il numero di ore effettivamente impiegate al di fuori dell’orario di servizio, senza acquisire tutta la documentazione relativa ai corsi, nonché ammettere prova testimoniale, né acquisire l’autocertificazione a suo tempo richiesta dall’ASL, di recente confermata ma immotivatamente disattesa, il cui originale è in possesso della stessa ASL. Il TAR ha poi disatteso i seguenti elementi:

1) contrasto od omessa applicazione della delibera regionale, che non prevede anzi esclude – conformemente ai principi generali dei rapporti dei dirigenti – il controllo dell’attività dei coordinatori, al contrario che per docenti e corsisti, di cui è stabilita la verifica delle presenze;

2) impossibilità per il ricorrente di espletare quanto richiestogli nelle poche ore riconosciutegli, stanti anche le numerose convocazioni in Bari, presso l’assessorato regionale alla sanità, come risulta dai relativi verbali;

3) impossibilità di svolgere tutte le attività all’interno della struttura ospedaliera, con conseguente impegno all’esterno e fuori dell’orario di servizio per ben oltre sei ore settimanali.

Pertanto, se l’ASL ha colpevolmente omesso di apprestare gli strumenti per rilevare obiettivamente il numero delle ore di impegno straordinario, non può addossarsi al ricorrente una prova "diabolica" al riguardo; e proprio per questo la Regione ha stabilito aprioristicamente i predetti termini della liquidazione.

b.- Evidenziate censure di legittimità sotto diverso profilo.

Il TAR ha sorvolato sulla violazione da parte dell’ASL degli artt. 36 e 97 Cost., avendo operato in sviamento a danno del ricorrente pur avendogli imposto una prestazione altamente qualificata e, come a sua conoscenza, per un numero di ore sicuramente superiore a quelle fittiziamente riconosciutegli; la scarna motivazione addotta è infatti illogica e fuorviante, poiché la buona amministrazione avrebbe comportato la predisposizione di sistemi oggettivi di rilevazione delle ore di impegno già prima di avviare i corsi, nonché contraddittoria ed ingiusta, laddove fa riferimento all’equità per individuare le ore liquidabili e contemperare le diverse esigenze in gioco, ma in realtà salvaguardando solo il proprio interesse strumentale e disattendendo il diritto del ricorrente ad una retribuzione effettivamente equa. Parimenti il TAR, seguendo le difese avversarie, espresse solo in corso di causa e dunque inammissibili, ha incongruamente ed illogicamente ritenuto che il ricorrente avrebbe dovuto "concordare" con l’ASL una soluzione per rilevare le ore di impegno, senza considerare che quest’ultima ha sempre agito nella propria posizione di supremazia; inoltre lo stesso TAR, pur dando atto che le funzioni di coordinatore del corso non erano correlate alla posizione funzionale rivestita – e quindi dovevano essere oggetto di specifica liquidazione -, ha evidentemente considerato che l’impegno è stato assolto anche nell’orario di servizio, senza tener conto che tanto era impedito dalla necessità di attendere ai compiti di medico di base e dall’impossibilità di sostituzione con altri colleghi, perciò la Regione aveva ritenuto congruo fissare un numero di ore che mai avrebbe potuto essere inferiore alle sei settimanali. Del resto, proprio la difficoltà di prova avrebbe dovuto indurre l’ASL a valutare gli elementi forniti (tra cui l’accennata autocertificazione) prima di emanare l’atto impugnato e, comunque, motivare sulle ragioni veramente giuridiche, oltre che su considerazioni di fatto, sulle quali ha fondato l’arbitraria limitazione, né ha svolto specifica istruttoria, acquisendo i verbali di riunione o sentito i numerosi testimoni che avrebbero potuto confermare gli assunti del ricorrente.

c.- Travisamento dei fatti e delle disposizioni regionali. Omessa istruttoria. Illogicità. Difetto di motivazione. Incompetenza.

Il TAR ha travisato l’espressione "prevedibile", utilizzata invece dalla Regione per quantificare le sei ore settimanali in ragione dell’impossibilità di stimare il numero di ore mediante controllo giornaliero, determinata dalla natura particolare dell’attività in parola, e nella considerazione che non meno di quelle ore sarebbero occorse per completare il progetto; tali indicazioni sono perentorie, discendenti dalla ragionata valutazione di congruità del compenso che forfetizza una liquidazione altrimenti maggiore ma non stimabile perfettamente, e non meramente ordinatorie, rimesse alle valutazioni delle aziende, attesa la specifica motivazione del provvedimento, ossia la necessità di consentire un’omogeneità del trattamento nel territorio regionale di tutti i coordinatori.

d.- Evidenziate censure di legittimità sotto diverso profilo.

Il TAR ha ritenuto inconfigurabile il lamentato vizio di disparità di trattamento rispetto ai coordinatori delle altre ASL, poiché quella di Foggia/3 sarebbe stata l’unica ad applicare correttamente il diritto. E’ però singolare che tutte le altre ASL abbiano inteso le direttive regionali nello stesso senso del ricorrente; è piuttosto ipotizzabile che solo l’Amministrazione resistente le abbia interpretate in modo fuorviante, per motivi personali nei confronti del ricorrente, al quale pertanto è stato illegittimamente negato quanto garantito agli altri coordinatori.

e.- Evidenziate censure di legittimità sotto diverso profilo.

Erano da ritenersi fondate le ulteriori censure di eccesso di potere per aver l’ASL affermato di liquidare il compenso previsto dalle direttive regionali per poi liquidare una somma rapportata ad un impegno orario di sole 150 ore, mentre il TAR ha errato nel considerare tale quantificazione non arbitraria né irrazionale, omettendo di considerare che la Regione aveva rimarcato come per i coordinatori fosse "prevedibile" un impegno ben maggiore, stabilendo una misura temporale ed una spesa certe, e che tali valutazioni non potevano essere disattese mediante altre fondate su un malinteso senso di equità privo di connotato giuridico e morale. Di qui anche la fondatezza della censura di incompetenza, non potendo il Direttore generale fissare un compenso diverso. Tale censura non è stata esaminata dal TAR, che l’ha intesa riferita al "referente amministrativo del corso", giungendo a suggerire che avrebbe dovuto essere impugnata la nota regionale; nota che, invece, se correttamente applicata avrebbe comportato la liquidazione di un compenso adeguato e più equo e che, di contro, non poteva intendere l’impegno orario nel senso preteso dal TAR, pena la sua illegittimità.

f.- Evidenziate censure di legittimità sotto diverso profilo.

La destinazione delle somme preventivate dalla Regione aveva fatto insorgere nel ricorrente una pretesa giuridicamente tutelata a conseguirle. In relazione a ciò il TAR ha escluso l’indebito arricchimento dell’ASL, mancando di intendere la diminuzione patrimoniale anche nel senso di mancato guadagno direttamente afferente all’opera svolta. Peraltro, l’ASL ha incamerato le somme stanziate dalla Regione con la specifica destinazione in parola, sicché la modifica illegittimamente disposta ha comportato l’indebita sottrazione di quanto era destinato al ricorrente e, per converso, una destinazione ignota e non preventivata dalla Regione.

L’ASL FG/3 si è formalmente costituita in giudizio.

Con memoria del 7 ottobre 2010 il dott. F. ha ulteriormente illustrato le proprie tesi e pretese.

In data 9 novembre 2010 l’ASL di Foggia, succeduta all’ASL FG/3, si è costituita in giudizio ed ha svolto controdeduzioni, a cui la difesa dell’appellante ha replicato all’odierna udienza pubblica.

Ciò posto, in via prioritaria la Sezione ritiene non condivisibile l’interpretazione propugnata dall’appellante delle direttive regionali, con le quali si dettano alle Aziende sanitarie "criteri indicatori di spesa (…) al fine di garantire la necessaria omogeneità sul territorio regionale" e, in particolare, quanto all’attività didattico- seminariale, si stabilisce che, per i due coordinatori rispettivamente preposti all’attività didattica pratica ed a quella seminariale integrata per ciascuna sede, "è prevedibile un impegno fuori orario di servizio pari a sei ore settimanali, per l’intero biennio, per un importo di lire 30.000 per ciascuna ora" (cfr. nota 28 aprile 1995 n. 24/10782 dell’Assessorato alla sanità della Regione Puglia, diretta, tra gli altri, al Direttore generale dell’A.USL FG/3).

Come esposto dal primo giudice, il termine "prevedibile", anche in correlazione con la commisurazione ad ora del compenso e non già in via omnicomprensiva e forfettaria, non può avere altro significato che quello di legare la quantificazione del compenso stesso ad un numero effettivo (contenuto nel massimo menzionato) di ore impiegate fuori dall’orario ordinario di servizio nello svolgimento dei compiti propri del coordinatore, quali elencati sotto la rubrica "coordinatori del corso" alle pagine 15 e 16 del "programma" allegato alla deliberazione 20 gennaio 1995 n. 3 della Giunta regionale, dichiarato parte integrante e sostanziale della medesima. Di contro, il numero di ore preventivato è evidentemente valutato sulla base, si, di quei compiti, ma in termini di probabilità e non assoluti, al contrario della prefissata tariffa oraria. Pertanto la corresponsione del compenso ne richiedeva necessariamente il preventivo accertamento.

In altre parole, risulta inconfigurabile un obbligo dell’Azienda di corrispondere ai coordinatori un compenso globale rapportato al "prevedibile" numero massimo di ore di impegno fuori orario considerato alla stregua di dato fisso ed invariabile. Perciò neppure è configurabile un vizio di arbitrarietà ed irrazionalità nell’aver l’Azienda disatteso l’assunta portata delle pur richiamate direttive regionali.

Infine, la legittimità o meno di queste ultime non può formare oggetto di indagine, dal momento che le stesse direttive non formano, a loro volta, oggetto di impugnazione sia sotto il profilo della loro mancata indicazione come atti impugnati, sia sotto quello dell’omessa notifica del ricorso di primo grado (e dell’atto di appello) nei confronti della Regione Puglia, autorità emanante.

Tanto conduce alla reiezione sia del terzo motivo e della prima parte del quinto, con cui si sostiene la disattesa interpretazione, sia del quinto motivo, di incompetenza del Direttore generale dell’ASL a fissare un "compenso dei coordinatori in misura diversa da quanto autorevolmente fatto dalla Regione Puglia".

A tal ultimo proposito, va notato che le predette direttive dispongono che "l’attività gestionale e finanziaria dei corsi rimane attribuita a ciascuna Azienda U.S.L., individuando quali responsabili del procedimento amministrativo, ciascuno per il proprio ambito di competenza:

– il Direttore sanitario del presidio ospedaliero, sede del corso, e

– il Referente amministrativo nella persona di un dirigente della U.S.L. già designato dal Direttore Generale" (cfr. cit. nota assessorile).

Pure per tale profilo non v’è dubbio alcuno, pertanto, sulla competenza dell’Azienda a quantificare in concreto, sulla scorta delle prefissata tariffa, il compenso spettante a ciascun coordinatore del rispettivo corso nel quadro delle attribuzioni conferite in ordine all’attività finanziaria dei corsi. Resta da aggiungere che la destinazione degli specifici fondi assegnati a ciascuna Azienda a questo fine non significa che gli stessi fondi debbano essere necessariamente esauriti, ben potendo essere restituiti, ovvero non richiesti nell’ambito del saldo erogabile all’esito dell’assegnazione statale di altre quote di finanziamento; d’altra parte, che detti fondi siano stati impiegati per altre, non previste finalità è elemento di fatto per un verso in realtà solo ipotizzato, senza che al riguardo sia fornito un necessario benché minimo principio di prova, come anche nel processo amministrativo è richiesto, e per altro verso del tutto irrilevante ai fini della verifica legittimità del provvedimento di liquidazione, impugnato. Ne consegue l’infondatezza della doglianza di cui all’ultima parte del sesto motivo d’appello.

Per le stesse ragioni non può essere seguita l’argomentazione con cui si censura la sentenza appellata per aver ritenuto insussistente il lamentato vizio di disparità di trattamento rispetto ai coordinatori dei corsi svolti dalle altre Aziende sanitarie della stessa Regione, i quali si sarebbero tutti visti liquidare l’intero monte "prevedibile" senza la previa ricognizione dell’effettivo numero di ore di impegno fuori orario di servizio (quarto motivo d’appello): anche in tal caso è irrilevante il dato di fatto segnalato, non costituente parametro rivelatore dell’eventuale illegittimità dell’atto di cui si controverte. Oltretutto, come giustamente rilevato dal primo giudice, ciascuna azienda si determina autonomamente, né può escludersi che sia stata istituita una qualche forma di rilevazione dell’impegno extraorario.

Una volta assodato che legittimamente l’ASL FG/3 avrebbe potuto liquidare il compenso rapportandolo ad un numero di ore inferiore al tetto massimo in parola, e precisato che a tale liquidazione non può evidentemente provvedere (anche sulla base di testimonianze) questo giudice (pena, altrimenti, la trasformazione della domanda di annullamento in sede di giurisdizione generale legittimità della deliberazione impugnata in una, non formulata, di accertamento di diritti), va però rilevato che le modalità con le quali la stessa ASL ha provveduto in tal senso non sono corrette, non essendosi premurata di quantificare effettivamente l’attività svolta fuori orario dall’attuale appellante ed avendo essa stessa forfettizzato tale attività in nome di una pretesa equità che contemperi le esigenze in gioco, senza valutare in alcun modo il concreto impegno, in rapporto a quello derivante dal servizio ordinario, richiesto dallo svolgimento dei corsi e dalle presupposte attività organizzative, le quali hanno tra l’altro comportato – come era evidenziato in primo grado – la partecipazione di tutti i coordinati ad incontri in Bari. In altri termini, ancorché in assenza di strumenti di rilevazione obiettiva, l’Amministrazione avrebbe dovuto darsi carico di supplire a tale carenza (peraltro a sé imputabile) basandosi su altri elementi, quali appunto quelli emergenti dagli atti relativi all’intero contesto dei compiti svolti all’appellante contestualmente all’attività ordinaria. Oltretutto, non ha tenuto conto della dichiarazione resa dal medesimo, ancorché ritenuta non costituente valida autocertificazione.

Sussiste pertanto il lamentato vizio di eccesso di potere, sotto i profili del difetto di motivazione e di istruttoria.

In questo senso ed in relazione al secondo motivo, ultima parte, l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza appellata ed annullamento della deliberazione impugnata, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione da adottarsi sulla base delle predette valutazioni.

I limitati profili di accoglimento e la peculiarità della vicenda consigliano la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata accoglie il ricorso di primo grado ed annulla l’atto impugnato, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Azienda appellata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente FF

Eugenio Mele, Consigliere

Angelica Dell’Utri, Consigliere, Estensore

Roberto Capuzzi, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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