Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-01-2013) 03-05-2013, n. 19229

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza pronunciata il 13.3.2012 la corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria, in data 15.12.2009, aveva condannato G.R., imputato del reato di cui all’art. 616 c.p., per avere preso cognizione di corrispondenza in busta chiusa inviata alla sorella G.T., contenente un avviso di liquidazione di imposta di successione, ritirando la corrispondenza presso la casa comunale di (OMISSIS), alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato, rideterminava la liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile in primo grado nella misura di Euro 1000,00 oltre accessori di legge, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, articolando distinti motivi di impugnazione.

Con il primo il ricorrente eccepisce i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 616 c.p., artt. 192 e 351 c.p.p., in quanto l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il reato ascrittogli, per la cui configurazione è necessario prendere cognizione di una corrispondenza contenuta in una busta chiusa, si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa in ordine alla circostanza che la missiva le sia stata consegnata in busta aperta, non munite di riscontri esterni, non potendosi a tal fine fare riferimento alle dichiarazioni della madre dell’imputato e della persona offesa, S.R., rese in sede di sommarie informazioni il 15.6.2005, il cui verbale è stato acquisito al fascicolo del dibattimento, risultando quest’ultima affetta da demenza senile a partire dal 2005, in cui la S. afferma di non ricordare nulla dei fatti per cui si procede essendo anziana e dimenticando le cose.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 616 c.p., in quanto la dimostrata autonoma conoscenza da parte dell’imputato del contenuto della missiva indirizzata alla sorella, che la corte territoriale, con motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, ha considerato irrilevante, assume invece un valore decisivo per provare che da parte del G. non vi era motivo valido per aprire la busta, conoscendone già il contenuto.

Con il terzo motivo il G. lamenta i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 616 c.p., lett. c), in relazione all’art. 521 c.p.p., reiterando le doglianze sulla carenza di prova in ordine all’apertura del plico da parte dell’imputato ed evidenziando identica carenza probatoria sia rilevabile in ordine alle motivazioni che secondo i giudici di merito avrebbero sostenuto la condotta dell’imputato (impedire o ritardare alla sorella di prendere cognizione per tempo del contenuto dell’atto, evitando o comunque attenuando le inevitabili questioni che sarebbero sorte nel momento in cui quest’ultima fosse venuta a conoscenza che il comune dante causa aveva privilegiato il fratello nell’assegnazione di determinati cespiti), che non risultano formare oggetto della condotta contestata nel capo d’imputazione, con conseguente violazione dell’art. 521 c.p.p. Con il quarto motivo l’imputato eccepisce i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al danno cagionato alla persona offesa ed all’artt. 616 e 185 c.p. e art. 74 c.p.p., non risultando dimostra l’esistenza di un danno morale o materiale subito dalla persona offesa costituita parte civile; peraltro la corte territoriale con motivazione manifestamente illogica ha ritenuto provato il danno morale subito dalla persona offesa nel comportamento di sottrazione della corrispondenza da parte dell’imputato che, in realtà, non si è mai verificato, per cui, anche sotto questo profilo si è verificata una violazione dell’art. 521 c.p.p..

Con il quinto motivo il ricorrente eccepisce la mancanza di motivazione in ordine alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla costituita parte civile sia in primo che in secondo grado, effettuata dalla corte territoriale senza specificare tra competenze onorari e spese e senza dare contezza delle voci corrispondenti.

Motivi della decisione

Il ricorso non può essere accolto.

Ed invero, infondato appare innanzitutto, il primo motivo di ricorso.

Come affermato, infatti, da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, all’interno del processo penale, le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile, sono pacificamente valutabili ed utilizzabili ai fini della tesi di accusa, poichè, a differenza di quanto previsto nel processo civile, circa l’incapacità a deporre del teste che abbia la veste di parte, il processo penale risponde all’interesse pubblicistico di accertare la responsabilità dell’imputato, e non può essere condizionato dall’interesse individuale rispetto ai profili privatistici, connessi al risarcimento del danno provocato dal reato, nonchè da inconcepibili limiti al libero convincimento del giudice (cfr. Cass., sez. 5, 23.11.2011, n. 8558, Ce; Cass., sez. 5, 19.9.2011, n. 46542, M.M.;

Cass., sez. 5, 8.4.2008, n. 16780, C; Cassa., sez. 5, 27.3.2008, n. 16769 S.).

Tali dichiarazioni, pertanto, possono essere assunte anche da sole come prova della responsabilità dell’imputato, come accaduto nel caso in esame, purchè siano sottoposte a vaglio positivo circa la loro attendibilità e senza necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni, anche se, essendo la parte civile portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi;

riscontro, peraltro, non indefettibilmente ed in ogni caso dovuto, fermo restando l’obbligo del giudice di rigorosamente valutare, come hanno fatto i giudici di merito (le sentenze di primo e di secondo grado, infatti, vanno lette unitariamente, avendo seguito un percorso motivazionale omogeneo), le dichiarazioni della persona offesa (sulla cui attendibilità intrinseca, peraltro, non vengono formulate specifiche censure),ma la sua eventuale necessità va ragguagliata alle connotazioni della fattispecie, alle emergenze probatorie e procedimentali che sia dato cogliere nella vicenda esaminata, alle acquisizioni e modalità ricostruttive della stessa (cfr. Cass., sez. 4, 1.2.2011, n. 19668, N.M. ed altri, nonchè in senso conforme, Cass., sez. 2, 20.9.2011, n. 43307, C.S.; Cass., sez. 6, 23.3.2011, n. 22281, G.F.A.; Cass., sez. 6, 20.12.2010, n. 4443, P.).

Peraltro nemmeno appare censurabile, in quanto logicamente coerente, la valutazione operata dalla corte territoriale sulla mancata dimostrazione che la patologia neurologica da cui era affetta la madre della persona offesa fosse di tale gravità da non consentirle di comprendere se la busta, contenente l’avviso destinato alla G., che le era stata consegnata dal figlio, fosse aperta o chiusa e, quindi, sulla implicita impossibilità di affermare che la persona offesa non abbia riportato una circostanza veritiera quando ha dichiarato di avere appreso dalla madre che quest’ultima ricevette dall’imputato la busta in questione, non chiusa, ma aperta (cfr. p. 3 della sentenza impugnata). Inammissibili appaiono poi, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, in quanto generici e perchè con essi il ricorrente prospetta una lettura alternativa dei fatti, non consentita in sede di legittimità, oltre che, in parte, ripetitivi delle doglianze cui si è già data risposta, esaminando il primo motivo di ricorso. Manifestamente infondata, per altro verso, è la dedotta violazione del principio di cui all’art. 521 c.p.p., dovendosi ritenere non attinenti alla fattispecie tipica del delitto previsto dall’art. 616 c.p., le ragioni che inducono il soggetto attivo del reato a prendere cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa a lui non diretta, con la conseguenza che, non dovendo formare oggetto di contestazione in quanto estranee al fatto- reato, non ci si può dolere della mancata indicazione delle ragioni medesime nel capo d’imputazione.

Infondato si appalesa il quarto motivo di ricorso, essendo intervenuta, nel caso in esame, una condanna generica al risarcimento dei danni dell’imputato, che presuppone solo l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e del nesso di causalità tra tale fatto e il pregiudizio lamentato, senza che sia necessario svolgere alcuna indagine sulla concreta esistenza di un danno risarcibile (cfr., Cass., sez. 5, 05/06/2008, n. 36657, B.).

A tale criterio si è puntualmente attenuta la corte territoriale, evidenziando la presenza, "quanto meno", di un danno morale patito dalla persona offesa, "connesso al ritardo nella conoscenza dell’avviso ed al patimento d’animo per il timore dello smarrimento della missiva" (cfr. p. 3 dell’impugnata sentenza). Nè va taciuto che, trattandosi di danno morale, la relativa valutazione del giudice, in quanto affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, costituisce valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità se sorretta, come nel caso in esame, da congrua motivazione (cfr. Cass., sez. 3, 17/06/2010, n. 34209, O., rv.

248371).

In questo contesto, il riferimento pure effettuato in motivazione alla "sottrazione" della missiva, ritenuta condotta "poco consona all’affectio familiaris", risulta del tutto irrilevante ai fini della determinazione del danno morale, apparendo, peraltro, evidente dall’intero contenuto della motivazione che la corte territoriale abbia inteso fare riferimento, con espressione atecnica, alla condotta di materiale apprensione da parte del G. della busta indirizzata alla sorella, propedeutica alla presa di cognizione del suo contenuto, per cui manifestamente infondato appare l’ulteriore rilievo difensivo su di una pretesa violazione, anche sotto questo profilo, del principio di cui all’art. 521 c.p.p..

Inammissibile, infine, per assoluta genericità, deve ritenersi l’ultimo motivo di ricorso.

Le disposizioni di condanna alle spese processuali in favore della parte civile sono, infatti, sottratte al sindacato di legittimità per l’aspetto della valutazione discrezionale in riguardo ai parametri di commisurazione della somma dovuta, fatto salvo il controllo circa il rispetto dei limiti minimi e massimi previsti dalla tariffa forense per i compensi professionali (che non ha formato oggetto di una specifica doglianza) e circa l’adeguatezza della motivazione in riferimento alla gravità del processo e alla rilevanza della prestazione professionale (cfr. Cass., sez. 5, 26/02/2010, n. 12794, B.; Cass., sez. 5, 29/10/2009, n. 49493, L. e altro), profili presi espressamente in considerazione dalla corte territoriale, che, nel ridurre l’entità delle spese riconosciute in favore della parte civile, ha evidenziato come ciò trovasse giustificazione nella opportunità di "conformarle alla tariffa civile applicabile alle cause del medesimo valore…ed alla entità dell’impegno professionale profuso dal difensore di parte civile, non connotato da caratteri di eccezionalità per la natura oggettivamente non complessa della controversia" (cfr. p. 4 dell’impugnata sentenza). Nè va taciuto che l’imputato che impugna la statuizione della sentenza relativa alla liquidazione delle spese processuali in favore della parte civile ha, comunque, l’onere (al quale il ricorrente non ha adempiuto) di dimostrare l’esistenza di uno specifico interesse a che la liquidazione sia operata secondo le tariffe professionali, ove sia stata effettuata in misura particolarmente contenuta, come nel caso in esame (cfr, Cass., sez. 2, 16/04/2010, n. 24790, H.).

Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse di G.R. va, dunque, rigettato, con condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese del procedimento.

Va, infine, disposta l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 art. 52, comma 5.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2013

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