Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-07-2012, n. 13740

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Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione del 7 novembre 1994, G. A., G.I. e G.M.A. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Campobasso, G.F., G.N. e G. G., esponendo:

– che, con atto pubblico del 23 maggio 1986, G.F. vendeva a N. e G.G. alcuni terreni, siti in (OMISSIS), meglio specificati nello stesso contratto, garantendone la piena titolarità in virtù di titolo anteriore al 1963;

– che tale assunto era privo di fondamento, giacchè i beni compravenduti erano stati nel possesso di G.E., direttamente fino al marzo 1959 e poi, sino al 1978, tramite i coniugi M.A. e D.V.A.;

– che tali terreni erano in proprietà delle attrici, in virtù di successione a Ga.Ma.Ca., deceduta il (OMISSIS), essendo state istituite eredi universali della Ga. con testamento pubblico del 27 aprile 1957.

Le attrici concludevano, pertanto, per sentirsi dichiarare esclusive proprietarie dei terreni, e relative pertinenze, oggetto dell’atto di compravendita intercorso tra i G., del quale instavano per la nullità o l’annullamento, con conseguente condanna dei convenuti al rilascio dei beni.

1.1. – Nel costituirsi in giudizio, G.F. eccepiva, anzitutto, che i terreni rivendicati dalle attrice non corrispondevano a quelli oggetto della compravendita; ammetteva, inoltre, che gli immobili controversi erano appartenuti alla Ga., deceduta il (OMISSIS), e che erano stati devoluti in eredità alle attrice, oltre che a Gi.Ni. ed a Gi.Nu., rispettivamente padre e fratello delle medesime istanti; precisava, però, che dalla data della successione gli stessi terreni erano entrati nel possesso di Nu., il quale nel 1961 immise nel possesso di essi, anche al fine di un futuro acquisto, G.G., padre di esso convenuto, che, pertanto, era poi subentrato nel relativo possesso.

G.F. concludeva, pertanto, per il rigetto delle domande attoree, eccependo l’usucapione dei terreni oggetto di causa.

1.2. – Si costituivano anche N. e G.G., i quali ribadivano le stesse difese dell’altro convenuto, soggiungendo che erano entrati nel possesso dei beni compravenduti, che non erano stati addotti motivi di nullità della vendita e che l’azione di annullamento della stessa era tardiva ex art. 1442 cod. civ.; concludevano per il rigetto delle domande attoree, eccependo l’intervenuta usucapione.

2. – Il Tribunale di Campobasso rigettava le domande proposte dalle attrici, compensando interamente le spese di giudizio, con sentenza del 29 maggio 2003, avverso la quale interponevano gravame A., I. e G.M.A., contrastato dalle difese, svolte con un unico atto, dagli appellati F., N. e G.G..

3. – Con sentenza resa pubblica il 13 febbraio 2006, la adita Corte di appello di Campobasso, in parziale riforma della decisione impugnata, dichiarava le appellanti comproprietarie dei beni immobili e delle relative pertinenze siti negli (OMISSIS) e meglio descritti nell’atto di citazione del primo grado, rigettando l’eccezione di usucapione formulata dai convenuti;

dichiarava la nullità del contratto di compravendita stipulato tra il venditore G.F. e gli acquirenti N. e G.G. il 23 maggio 1986, con ordine di rilascio dei beni compravenduti in favore delle appellanti; confermava il rigetto della domanda risarcitoria proposta dalle attrici; condannava gli appellati al pagamento delle spese del doppio grado.

3.1. – La Corte territoriale osservava, in armonia con quanto già ritenuto dal Tribunale, che la controversia si incentrava unicamente sul versante possessorio, giacchè era pacifica, in quanto ammessa dagli stessi convenuti e poi appellati, la proprietà delle attrici sui terreni oggetto della compravendita del maggio 1986, derivante dal testamento pubblico redatto in loro favore da Ma.Ca.

G. nel 1957. Ciò risultava sufficiente a fondare il diritto di proprietà delle appellanti e a far superare la difesa degli appellati secondo la quale correttamente il Tribunale aveva respinto la domanda delle attrici, posto che il titolo anzidetto provava la loro qualità di eredi, ma non la proprietà dei beni: difatti, in ragione della proposta eccezione di usucapione da parte dei convenuti – appellati, si era attenuato il rigore probatorio dell’azione di rivendica e, posto che l’usucapione si sarebbe consolidata dopo l’acquisto dei beni da parte delle attrici – appellanti, il tema decisorio risultava circoscritto "alla appartenenza attuale dei fondi ai convenuti oggi appellati in forza della invocata usucapione e non già all’acquisto delle attrici oggi appellanti".

3.2. – Peraltro, rilevava ancora la Corte di appello, la sentenza di primo grado aveva sostenuto la mancanza di prova non già in riferimento al diritto petitorio delle attrice, bensì "in ordine alla attualità del possesso" da parte loro; tuttavia, in forza dell’eccepita usucapione da parte dei convenuti, dovevano quest’ultimi darne prova, non potendo l’assenza di prova contraria "stravolgere i principi in tema di onere probatorio". Sicchè, anche ove si "desse per scontato che i proprietari non hanno mai posseduto di fatto i fondi, tanto avrebbe al limite solo valenza indiziaria in ordine alla sussistenza del possesso in capo ai convenuti, che di detto possesso devono fornire prova positiva, non raggiunta nel caso di specie". A tal riguardo, la Corte distrettuale riteneva, infatti, non concludenti le due deposizioni testimoniali assunte in primo grado, rilevando la sporadicità ed ambiguità degli atti di possesso esercitati sui terreni da Gi. e poi da G.F., riconducibili a due richieste di pagamento per l’utilizzo dei pascoli sugli stessi fondi, che non risultavano essersi mai concretizzate in atti formali, ed alla rimozione di taluni "tavoloni" da una baracca sita sul terreno in agro (OMISSIS); atti che non provavano la presenza e la "positiva attività" dei convenuti – appellati sui terreni in qualità di possessori degli stessi. Inoltre, la deduzione di questi ultimi in ordine al fatto che Gi.Gi.

fosse stato immesso nel possesso dei beni al fine di un futuro acquisto deponeva in senso sfavorevole per gli stessi convenuti – appellati, posto che vi era da parte sua la consapevolezza che i terreni erano di proprietà altrui e che la decisione sul futuro acquisto non si era mai concretizzata.

3.4. – Il giudice appello reputava, poi, che il possesso sui terreni esercitato dagli acquirenti N. e G.G. non fosse utile ai fini dell’usucapione, essendo iniziato il 23 maggio 1986 ed interrotto con la notificazione dell’atto di citazione del novembre 1994.

3.5. – Ciò ritenuto, la Corte territoriale fondava la nullità dell’atto di compravendita in ragione della ritenuta impossibilità giuridica del suo oggetto posto che, dallo stesso atto, seppur implicitamente, emergeva "l’asserzione del venditore … di aver esercitato il possesso per un periodo sufficiente ai fini del compimento dell’usucapione, senza che l’acquisto asserito sia stato accertato giudizialmente in contraddittorio con i precedenti proprietari".

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono G. F., G.N. e G.G., affidando le sorti dell’impugnazione ad un unico motivo di censura.

5. – Resistono con controricorso G.A., G.I. e G.M.A..

Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in tema di onere della prova, in relazione all’art. 948 cod. civ., sull’azione di rivendicazione.

Si sostiene, contrariamente a quanto opinato dalla sentenza impugnata, che l’onere probatorio in tema di rivendicazione ricada interamente sui rivendicanti, che, nella specie, hanno fornito un titolo inerente soltanto alla questione preliminare della legitimatio ad causam.

Sui convenuti in rivendica non spetta, invece, fornire alcuna prova, potendo essi "trincerarsi dietro il possideo quia possideo".

Soggiungono, poi, i ricorrenti che il rivendicante deve fornire la prova non solo dell’acquisto originario, ma "anche e contestualmente del successivo mantenimento della proprietà", là dove, nel caso di specie, le attrici-appellanti non hanno "fornito prova alcuna del successivo mantenimento della proprietà".

L’attenuazione dell’onere probatorio a carico del rivendicante in ragione dell’eccezione di usucapione della proprietà del bene rivendicato comporta che l’attore debba provare un valido titolo di acquisto ma anche la prova che l’appartenenza "non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto", sicchè esso è tenuto a provare di aver "effettivamente e continuativamente posseduto l’immobile", senza che tale onere possa attenuarsi a seguito di proposizione di eccezione o domanda riconvenzionale di usucapione da parte del convenuto.

Peraltro, ove pure si ritenesse attenuato l’onere di prova in capo al rivendicante, nella specie – deducono ancora i ricorrenti – il Tribunale ha riconosciuto "la validità della prova, fornita dalla parte convenuta, della prescrizione acquisitiva, prova che è stata completamente disattesa dalla Corte di appello". Inoltre, concludono i ricorrenti, le attrici-appellanti non hanno provato, nè tantomeno chiesto di provare il loro possesso dei terreni controversi, enunciando soltanto che essi erano stati nel possesso di E. G., direttamente o per tramite altrui, dal 1959 al 1978.

2. – Il motivo è infondato.

2.1. – Occorre anzitutto concentrare lo scrutinio sulla censura che evoca la dedotta violazione di legge, giacchè la sintetica doglianza che, in chiusura del motivo, aggredisce la sentenza impugnata per aver disatteso la prova testimoniale sul riscontro del possesso utile per l’usucapione – che si assume valorizzata, invece, dal giudice di primo grado – è del tutto generica e, come tale, inammissibile (tra le tante, Cass., sez. 1, 17 luglio 2007, n. 15952). Essa non solo manca di indicazioni quanto al tipo di vizio che si intende far valere, ma, soprattutto – ove anche la si qualifichi come denuncia di vizio motivazionale della sentenza – è carente di qualsivoglia critica che si indirizzi al ragionamento decisorio del giudice di appello. Carenza che tanto più risalta nella specie, in quanto la sentenza impugnata si è soffermata con attenzione sugli esiti della prova testimoniale, approfondendo argomentatamente la propria valutazione in ordine alla valenza di detta prova, reputata infine sfavorevole per gli appellati.

Quanto poi all’ulteriore profilo censorio sulla mancata prova delle attrici-appellanti in ordine al relativo possesso sui beni in contestazione, essa rifluisce nella più radicale denuncia di violazione di legge, giacchè trattasi di circostanza valutata dalla stessa Corte territoriale come giuridicamente ininfluente a paralizzare, nella fattispecie, l’azione di rivendica.

2.2. – Ciò premesso, la sentenza impugnata non merita censure, in quanto ha correttamente applicato il principio – che risulta prevalente nella giurisprudenza di questa Corte ed al quale il Collegio intende dare continuità – secondo cui, "in tema di azione di rivendicazione, l’onere probatorio posto a carico dell’attore non è di regola attenuato dalla proposizione da parte del convenuto di una domanda o di una eccezione riconvenzionale di usucapione, a meno che quest’ultimo non invochi un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo a quello del titolo del rivendicante, attenendo il thema decidendum alla appartenenza attuale del bene al convenuto in forza della invocata usucapione e non già dell’acquisto da parte dell’attore. In tal caso, pertanto, l’onere della prova del rivendicante può ritenersi assolto, in mancanza della avversa prova della prescrizione acquisitiva, con la dimostrazione della validità del titolo in base al quale il bene gli era stato trasmesso dal precedente titolare. D’altra parte, l’attenuazione del rigore dell’onere probatorio non può ritenersi esclusa in considerazione della posizione del convenuto in rivendica che, pur opponendo un proprio diritto, può comunque avvalersi del principio possideo quia possideo senza alcuna rinuncia di tale situazione vantaggiosa, atteso che, quando invoca l’acquisto per usucapione, il convenuto non si limita ad opporre la tutela garantita dalla legge a favore del possessore indipendentemente da un corrispondente diritto di proprietà, ma deduce di possedere nella qualità di proprietario, chiedendo – nell’ipotesi di domanda riconvenzionale – addirittura una pronuncia di accertamento di tale diritto di proprietà con efficacia di giudicato" (Cass., sez. 2, 29 novembre 2004, n. 22418; Cass., sez. 2, 30 marzo 2006, n. 7529; Cass., sez. 2, 22 settembre 2010, n. 20037).

In ragione di tale principio la Corte territoriale ha, per l’appunto, ben ritenuto che il tema decisorio della controversia risultasse circoscritto "alla appartenenza attuale dei fondi ai convenuti oggi appellati in forza della invocata usucapione e non già all’acquisto delle attrici oggi appellanti", posto che era ormai del tutto pacifica, anche per ammissione degli stessi convenuti-appellati, la circostanza della titolarità dominicale delle attrici sui terreni oggetto della compravendita del maggio 1936, la quale si fondava sul testamento pubblico redatto in loro favore da Ma.Ca.

G. nel 1957. Di qui, pertanto, l’assolvimento dell’onere di prova in capo alle rivendicanti, beneficiarie dell’attenuazione del rigore probatorio che normalmente assiste l’azione ex art. 948 cod. civ., giacchè, come allegato dagli stessi convenuti-appellati, il possesso da questi vantato ai fini dell’usucapione, della quale era stato eccepito il consolidamento, era iniziato nell’anno 1961, successivamente, quindi, all’acquisto ereditario dei beni da parte delle attrici-appellanti.

3. – Il ricorso va, dunque, rigettato.

I ricorrenti soccombenti vanno condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del grado, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna G.F., G. G. e G.N. al pagamento, in solido tra loro, delle spese processuali del grado in favore di G. A., G.I. e G.M.A., che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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