Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-07-2012, n. 13737

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Svolgimento del processo

Con ricorso L. n. 689 del 1981, ex art. 22 del 18.11.04 F. S. adì il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in opposizione avverso l’ordinanza – ingiunzione in data 23.9.2004, con la quale il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Ispettorato Centrale Repressioni Frodi – Ufficio di Palermo, le aveva irrogato la sanzione amministrativa di Euro 36.723,05, per l’illecito di cui alla L. n. 898 del 1996, artt. 2 e 3 di cui al verbale di constatazione in data 3.5.2001 della Guardia di Finanza, avendo indebitamente percepito aiuti comunitari relativi agli anni 1997 e 1998, sulla base, segnatamente, di mendaci dichiarazioni attinenti al proprio status di allevatrice di animali ovini e caprini e di aver sottoposto detto bestiame ai piani di eradicazione delle malattie infettive previsti dalla vigente normativa statale, costituenti espressa condizione per la fruizione dei contributi.

All’esito del conseguente giudizio, nel quale l’amministrazione si era costituita ed aveva resistito a tutti i dedotti motivi, con sentenza del 12.4.2005 l’adito giudice respinse l’opposizione, segnatamente ritenendo: a) che la competenza ad irrogare le sanzioni in questione spettasse alla suddetta autorità statale e non, come dedotto dall’opponente, alla Regione Siciliana; b) che la falsità dell’attestazione relativa alla propria qualità di allevatrice – imprenditrice,con assunzione permanente dei relativi rischi, come previsto dall’art. 1 del Reg. CEE 3493/90, fosse comprovata dalle incompatibili prestazioni di lavoro dipendente, per complessive e rispettive giornate 53 e 102, negli anni 1997 e 1998, accertate dalla G.d.F.; c) che, rientrando nella competenza dello Stato le attribuzioni in materia di profilassi delle malattie infettive e diffusive del bestiame, tanto più in considerazione degli obblighi comunitari al riguardo, non potessero trovare applicazione al riguardo le norme regionali siciliane, che avevano differito al 1999 l’obbligatorietà della sottoposizione del bestiame ai controlli sanitari, quale condizione per la concessione di contributi o ammissione al credito agevolato, dovendo peraltro tali norme ritenersi soltanto funzionali alla concessione di contributi regionali; d) che la mancata tenuta presso l’azienda dei prescritti registri di carico e scarico fino al 15.10.97 fosse documentalmente provata; e) la sussistenza dell’elemento psicologico dell’illecito e la non scusabilità dell’errore sulle norme in questione, in relazione alla mendace dichiarazione di cui sub c), non risultando superata la presunzione di colpa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 3 e non trovando applicazione, in considerazione anche della dichiarata attività professionale che ne imponeva la conoscenza, l’ignoranza del precetto normativo, tanto più che successivamente l’opponente aveva ottemperato agli obblighi in questione; f) l’insussistenza della prescrizione, essendo stato il relativo termine quinquennale interrotto dal verbale di constatazione del 3.5.2001.

Contro tale sentenza la F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Ha resistito l’amministrazione con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1986, n. 898, art. 4 ribadendosi la tesi della "carenza di potere e/o incompetenza" dell’ufficio periferico dell’amministrazione statale, emittente l’ordinanza – ingiunzione opposta, e della competenza della Regione Sicilia, trattandosi di funzioni sussidiarie a quelle amministrative in materia di agricoltura, rientranti nelle attribuzioni esclusive regionali.

Connesso al precedente è il terzo motivo, con il quale, sulla medesima suesposta premessa si deduce violazione e falsa applicazione della L.R. Sicilia n. 28 del 1995, art. 5 come mod. dalla L.R. Sicilia n. 6 del 1997, art. 57 per avere il giudice di merito erroneamente ritenuto che la F. non potesse accedere ai benefici comunitari in questione, per non aver sottoposto, negli anni 1997 e 1998, il proprio bestiame ai piani di eradicazione delle malattie infettive, imposti dalla normativa statale, pur essendo stati tali obblighi prorogati al 1.1.1999 dalle citate norme regionali, da ritenersi preminenti in ragione della sopra citata competenza esclusiva.

I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, perchè accomunati dalla stessa premessa di principio, non meritano accoglimento.

Questa Corte ha già avuto modo recentemente di precisare, con la sentenza n. 25830 del 2.12.2011, che "in tema di sanzioni amministrative, conseguenti all’indebita percezione di contributi comunitari per la produzione di carni ovine e caprine la competenza alla relativa irrogazione va posta in capo al Ministero delle politiche agricole e forestali o all’ufficio da esso de legato, trattandosi della materia degli aiuti comunitari nel settore agricolo, riservata allo Stato dalla L. 23 dicembre 1986, n. 898; nè può assumere rilievo, al fine di escludere l’illecito, la disciplina regionale giacchè, vertendosi in materia di adempimeni prescritti da norme comunitarie. Richiesti ai fini della fruizione di benefici da tali disposizioni previsti, non può la Regione assolvere, sia pur temporaneamente, gli interessati dai relativi obblighi, derogando alla normativa statale che abbia, con carattere di generalità per tutto il territorio nazionale, adottato i provvedimenti attuativi".

Con la stessa pronunziarne il collegio condivide, dando continuità agli enunciati principi, in considerazione della preminenza degli obblighi di conformazione dell’ordinamento interno a quello sopranazionale, è stato anche evidenziato come il differimento da parte della Regione degli obblighi di controllo sanitario e risanamento del bestiame, quale condizione per la concessione di "qualsiasi contribuzione o prestito agevolato", non avrebbe potuto che intendersi riferito a particolari benefici in favore degli allevatori siciliani, previsti da disposizioni regionali, e non anche a quelli comunitari, materia nella quale l’ente territoriale non avrebbe potuto interferire. Vanno pertanto respinti i due esaminati motivi.

Con il secondo mezzo la F. lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’erronea ed immotivata esclusione, da parte dell’amministrazione e del giudice di merito, della propria, pur provata, qualità di allevatrice.

Il motivo resta assorbito per effetto della reiezione del terzo, già esaminato, con il quale è stata riscontrata la correttezza di una delle due rationes decidendi, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la reiezione del l’opposizione, contenute nella sentenza impugnata; sicchè, confermata la sussistenza del mendacio in ordine ad una delle condizioni richieste per l’accesso ai benefici comunitari (quanto alla falsa dichiarazione di aver sottoposto il bestiame al risanamento), risulta superfluo verificare se altrettanto correttamente il giudice di merito abbia ritenuto inveritiera l’altra attestazione, considerato che comunque i contributi non avrebbero potuto essere richiesti e percepiti.

Con il quarto motivo si deduce "violazione, falsa ed erronea interpretazione ed applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Omessa e/o insufficiente motivazione", censurandosi l’affermazione dell’elemento psicologico dell’illecito, in particolare, l’esclusione dell’errore scusabile sulla sussistenza dell’obbligo di sottoposizione del bestiame al risanamento sanitario e della tenuta del registro aziendale, in considerazione della sussistenza della norma regionale rinviante il primo adempimento.

Il motivo va disatteso, non solo perchè si risolve in inammissibili censure in fatto, avverso la valutazione compiuta dal giudice di merito che, risulta sorretta dalle adeguate e ragionevoli argomentazioni di cui sub e) in narrativa, ma anche e soprattutto per l’irrilevanza dell’addotto convincimento di non essere soggetta all’obbligo in questione, tenuto conto dell’intrinseca falsità della resa dichiarazione di avervi provveduto, configurante una mendace e consapevole attestazione finalizzata al conseguimento del beneficio, in funzione del quale all’istante era stata espressamente richiesta la relativa dichiarazione.

Per quanto attiene poi al profilo relativo alla tenuta del registro, il mezzo d’impugnazione si limita ad una mera doglianza, non corredata da alcuna specifica censura.

Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 8 con riferimento all’esclusa prescrizione, sostenendosi l’inidoneità interruttiva del verbale redatto dalla G.d.F..

Anche tale motivo è infondato, tenuto conto dell’ormai consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, da cui il collegio non ravvisa motivi per disco starsi, secondo cui, in tema di illecito amministrativo, il decorso del termine prescrizionale resta interrotto da qualsiasi atto tipico del procedimento amministrativo, ivi compresi i verbali di accertamento e constatazione di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 13 e 14 cui va riconosciuta l’idoneità ad esternare la pretesa sanzionatoria dell’amministrazione, per conto della quale i verbalizzanti abbiano operato, così costituendo in mora i trasgressori ai sensi dell’art. 2943 c.c.(v. tra le altre, nn. 3124/05, 4088/05, 5063/06, 15631/06, 1/081/07 e la già citata n. 25830/11).

Nella specie, tenuto conto che gli illeciti erano stati commessi negli anni 1997 e 1998, che il suddetto verbale interruttivo era intervenuto il 3.5.01 e che l’ordinanza – ingiunzione era stata emessa il 23.9.04 e notificata il 21.10.04, risulta evidente come il termine quinquennale non fosse decorsole per l’una, nè per l’altra annualità.

Il ricorso va conclusivamente respinto.

Le spese, infine, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio in favore della resistente amministrazione, che liquida in Euro 1.000, 00 per onorari, oltre a quelle prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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