Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 30-01-2013) 03-05-2013, n. 19067

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. I sigg. B. e O. sono stati tratti a giudizio quali legali rappresentanti della società "D.P.T.", con sede in Sarzana, per rispondere del reato di realizzazione e gestione di una discarica abusiva che trattava rifiuti anche pericolosi, ex art. 51, comma 3, seconda parte del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (capo A), nonchè del reato di trasporto illegale di rifiuti ex art. 52, comma 3, seconda parte, della medesima legge in relazione all’art. 483 cod. pen. (capo B), entrambi commessi fino al (OMISSIS), nonchè, infine, del reato di tentata frode nel contesto di convenzione stipulata con l’ente pubblico, previsto dagli artt. 56 e 356 cod. pen., reato commesso fino al (OMISSIS).

2. In esito al giudizio avanti il Tribunale di La Spezia, è stata pronunciata sentenza con la quale il reato sub A), derubricato nella ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi, è stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione; il reato sub B) è stato ritenuto non sussistente, con conseguente assoluzione degli imputati; per il reato sub C) è stata disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica in sede per difformità del fatto rispetto a quanto contestato.

3. La Corte di appello, sulle impugnazioni proposte dalla parte civile (si sono costituiti in giudizio il Comune di La Spezia e la Regione Liguria con atti del 22/5/2002) e dal sig. O. (nel frattempo deceduto) ha così concluso: 1) il reato contestato al capo A) deve essere ricondotto alla originaria contestazione e ritenuto esistente, e tuttavia estinto per prescrizione per essere già maturata la prescrizione alla data di pronuncia della sentenza, con la precisazione che la prescrizione decorre dal sequestro preventivo d’urgenza operato il 23/3/2009 e non dalla data del 25/3/1999 indicata in sentenza; b) il reato contestato sub B), qualificato come reato contravvenzionale, deve ritenersi non integrato difettando l’elemento soggettivo, così come deciso dal Tribunale di cui si condividono le argomentazioni; c) va respinto l’appello O. con riferimento al capo C), indipendentemente dall’avvenuto decesso, con conferma della disposta trasmissione degli atti al Pubblico ministero e rigetto della richiesta di assoluzione.

3. Avverso tale decisione la Difesa dei sigg. B. e O. propone ricorso in sintesi lamentando:

a) Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) per avere i giudici di appello erroneamente qualificato il fatto in termini coerenti con la contestazione e modificato la decisione con cui il Tribunale aveva, invece, qualificato lo stesso come deposito incontrollato di rifiuti in quanto non vi era prova della quantità di rifiuti irregolarmente conferiti e vi era, dunque, prova di una quantità assai limitata che non poteva dare corso a quel "degrado" dell’area che la giurisprudenza richiede come presupposto della realizzazione di una discarica abusiva. Sul punto la Corte di appello offrirebbe una motivazione errata in quanto sembra affermare che il mero accumulo di rifiuti integra il reato contestato;

b) Vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) difettando una pur minima motivazione delle ragioni che conducono alla modifica della decisione di primo grado, limitandosi a richiamare l’errata applicazione dei principi giurisprudenziali che sarebbe stata operata dai primi giudici, ma omettendo di considerare le valutazioni in fatto che stanno alla base delle decisione del Tribunale e ne costituiscono il sostanziale fondamento.

4. Con memoria depositata in data 11/1/2013, la parte civile Comune di La Spezia rileva in primo luogo che il sig. O. è deceduto anteriormente alla pronuncia della sentenza di appello e non può essere considerato ricorrente in questa sede. Ricostruito il rapporto contrattuale fra la soc. DE.PE.TI e il Comune di La Spezia finalizzato al ripristino ambientale dell’area, la parte civile richiama gli accertamenti compiuti in ordine ai materiali depositati nell’area e in parte interrati. Osserva, quindi, che il primo motivo di ricorso deve essere considerato generico e inammissibile e, comunque, infondato. Il secondo motivo deve essere considerato infondato, apparendo chiari i motivi che hanno condotto alla decisione assunta dalla Corte di appello.

Motivi della decisione

1. Osserva preliminarmente la Corte che il ricorso proposto nell’interesse del sig. O. va considerato proposto in favore di imputato già deceduto al momento della emissione della sentenza di appello e senza che sia allegata procura di persona legittimata, e dunque irritualmente proposto anche ai fini civili. A ciò deve aggiungersi che il ricorso proposto in favore di persona deceduta insiste su reati che sono già stati dichiarati estinti per prescrizione, così che si è in presenza di impugnazione che non può condurre a nuova o diversa conclusione.

2. Venendo al ricorso B., la Corte ritiene che si sia in presenza di motivi manifestamente infondati.

3. Quanto al primo motivo di ricorso, va osservato che la decisione della Corte di appello è stata motivata prendendo in esame con attenzione i profili di criticità prospettati con l’atto di impugnazione e le ragioni che avevano condotto il primo giudice a diversamente qualificare il fatto rispetto all’originaria contestazione. Le conclusioni cui giunge la Corte di appello sono fondate su una diversa valutazione dei fatti e sulla considerazione che i fatti così ricostruiti non possono essere ricondotti alla meno grave ipotesi individuata dal Tribunale.

4. In particolare, la circostanza che nell’area destinata al recupero ambientale siano stati accumulati e in parte interrati rifiuti contenenti percentuali vietate di idrocarburi e altri prodotti pericolosi, nonchè rifiuti contenenti fibre di amianto, non illogicamente è stato ritenuta dai giudici di appello causa di potenziale ulteriore e più grave degrado dell’area; non appare, dunque, manifestamente illogico che possa ritenersi, a questo punto con giudizio di merito non sindacabile in questa sede, che la concreta situazione causata dalle condotte degli indagati integri i presupposti del reato ex art. 51, comma 3, seconda parte, della legge citata, in linea con quanto originariamente contestato. Del resto, la sentenza di primo grado aveva accertato che i materiali erano stati depositati per più di un anno e che risultavano interrati rifiuti aventi caratteristiche incompatibili con il progetto di recupero dell’area e, dunque, di rifiuti destinati a restare depositati o interrati in via definitiva. Sulla correttezza dell’interpretazione adottata dalla Corte di appello si rinvia ai principi consolidati fissati da questa Corte in tema di presupposti del reato ex art. 51, comma 3, citato, a partire dalla chiara motivazione della sentenza di questa Sezione, n.6796 del 10/1/2002, Garzia.

5. Le censure mosse sul punto dal ricorrente attengono alla ricostruzione che la Corte di appello ha operato delle condizioni dell’area e all’accertamento di una situazione di degrado, così sollecitando questa Corte a una valutazione di merito che le è preclusa. Debbano, infatti, trovare qui applicazione i principi interpretativi in tema di limiti del giudizio di legittimità e di definizione dei concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè in tema di travisamento del fatto che sono contenuti nelle sentenze delle Sez.Un., n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767, e n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074. In tale prospettiva di ordine generale va, dunque, seguita la costante affermazione giurisprudenziale del principio secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sez.6, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

6. Manifestamente infondate anche le censure mosse col secondo motivo di ricorso, Contrariamente all’assunto del ricorrente, il principio interpretativo adottato dalla Corte di appello con riferimento al capo A) è assolutamente chiaro e, come si è detto, condivisibile, così che non sussistono nè il vizio di carenza di motivazione nè il vizio di manifesta illogicità della stessa.

7. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente B., ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n,186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

8. Infine, sulla base del principio di soccombenza il ricorrente B. deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 4.000,00 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente B. al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2013

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