Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-07-2012, n. 13732

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Svolgimento del processo
1.- La società A. C. di C. L. & C. s.a.s., proponeva opposizione avverso l’ordinanza dell’8.1.2004 n. 1624 con la quale il Comune di Rimini le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 41,00, oltre alle spese di notificazione, per la violazione del R.D. n. 1265 del 1934, art. 231 "per aver ampliato la superficie di somministrazione di alimenti e bevande attrezzando con tavoli l’area prospiciente il bar senza aver ottenuto il prescritto nulla osta".
Con sentenza dep. il 24 dicembre 2005 il Tribunale di Rimini rigettava l’opposizione. Nel disattendere l’eccezione di nullità per indeterminatezza della contestazione, il Giudicante rilevava che il verbale di accertamento era completo dei suoi elementi e che, essendo munito di fede privilegiata, costituiva prova dell’illecito contestato, consistito nell’ampliamento della superficie di somministrazione di alimenti e bevande rispetto a quanto previsto nella autorizzazione.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione La società A. C. di C. L. & C. s.a.s., sulla base di due motivi articolati.
Resiste con controricorso l’intimato, che ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Il primo motivo deduce " Error in iudicando ex art. 360 c.p.c., comma 3:
sub. 1.1) per violazione e falsa applicazione dell’art. 383 c.p.c., e dell’art. 360 c.p.c., comma 3 succ. mod. e della L. n. 689 del 1981, art. 23".
Lamenta che dal verbale di contravvenzione sembrerebbe contestata la mancanza di autorizzazione che invece era stata rilasciata e prodotta in giudizio.
Censura la decisione del Tribunale che: non aveva esaminato l’eccezione – sollevata con la memoria difensiva – di tardività dell’ingiunzione che avrebbe dovuto essere emessa nel termine di 30 gg. previsto dalla L. n. 241 del 1990; aveva ritenuto la violazione dell’art. 231 quando la somministrazione, debitamente autorizzata avveniva nel rispetto della disciplina al riguardo prevista; non aveva ridotto la sanzione, nonostante ciò fosse stato richiesto, condannando al pagamento delle spese in misura eccessiva senza motivazione;
sub 1.2 per violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c..
Deduce che la ricorrente aveva fornito la prova di quelle circostanze, delle quali il Giudice avrebbe dovuto tenere conto, dirette a colpire la fede privilegiata del verbale e quindi la presunzione di legittimità dello stesso; il Tribunale aveva omesso di rilevare la contraddittorietà del comportamento della medesima Pubblica Amministrazione concedente l’autorizzazione e avrebbe dovuto verificare la corrispondenza o meno tra l’accertamento ed il verbale ispettivo e la effettività della violazione alla luce delle autorizzazioni esistenti, accertando il rispetto delle condizioni di mero tipo estetico richieste nella autorizzazione e delle quali non era stata fatta menzione nel verbale di ispezione. Il Comune prima ed il Tribunale poi sembravano avere vanificato il valore della autorizzazione, peraltro periodicamente rinnovata, in relazione alla superficie di suolo occupato, che, il giorno 4.07.2002, era stata autorizzata nella massima estensione di 75 mq.
Il primo Giudice non aveva esaminato i documenti prodotti che andavano a inficiare la legittimità del verbale della il Comune nessuna prova aveva dato.
Il secondo motivo deduce: "Error in procedendo ex art. 360 c.p.c., commi 4 e 5:
sub. 2.1) omessa e/o insufficiente motivazione circa diversi punti decisivi prospettati dalla parte ricorrente e ripetuti in vari atti di causa".
Nel denunciare il vizio di motivazione della sentenza laddove aveva ritenuto il verbale di accertamento completo e dotato di fede privilegiata e illecita l’attività posta in essere dalla ricorrente, ribadisce che erroneamente il Tribunale non aveva verificato che oggetto di contestazione fosse l’assenza di autorizzazione su suolo pubblico e non il superamento dei limiti autorizzativi prescritti, non essendovi alcun riferimento a uno sforamento delle porzioni di suolo occupato rispetto alle autorizzazioni.
sub. 2.2) per violazione e falsa applicazione L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 6 – poteri istruttori del Giudice violazione artt. 112 e 116 c.p.c..
Lamenta che il Giudice aveva omesso di effettuare alcuna indagine sulle numerose questioni sollevate.
I motivi, che per la stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
In primo luogo, occorre considerare che i motivi posti a fondamento dell’opposizione proposta ai sensi dell’art. 689 del 1981, integrando la causa petendi della domanda, devono essere formulati con l’atto introduttivo del giudizio che determinano il thema decidendun vincolando il giudice. Se dunque non era ammissibile la deduzione – che, secondo quanto affermato dalla stessa ricorrente, era stata formulata con la memoria difensiva – relativamente all’applicazione del termine previsto dalla L. n. 241 del 1990, va comunque osservato che il termine di cui all’art. 2, comma 3, della legge citata, tanto nella sua originaria formulazione, quanto in quella risultante dalla modificazione apportata dal D.L. n. 35 del 2005, art. 3, comma 6-Bis conv. dalla L. n. 80 del 2005, è incompatibile con i procedimenti regolati dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi, i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine così breve. Ciò premesso, la sentenza ha verificato, alla stregua del verbale di accertamento, che la ricorrente aveva ampliato la superficie su cui esercitava l’attività di somministrazione rispetto a quanto era stato autorizzato e che alla medesima era stata contestata tale infrazione, mentre il ricorso prospetta addirittura un travisamento di quello che era stato oggetto del verbale ovvero la contestazione di avere esercitato l’attività senza essere munita di autorizzazione: a prescindere dal rilevare che tale questione nei termini nei quali è stata formulata appare nuova laddove nel giudizio di merito era stata dedotta la incompletezza del verbale, va osservato che comunque il motivo difetta di autosufficienza laddove non viene riportato il verbale nella sua integrità ma soltanto uno stralcio, dovendo qui ricordarsi che in relazione al vizio di motivazione per omesso esame di un documento decisivo il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, il documento nella sua integrità in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura (Cass. 14973/2006; 12984/2006; 7610/2006;
10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove esso fosse stato preso in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa: tale onere nella specie non è stato ottemperato dalla ricorrente.
In effetti, la ratio decidendi su cui si basa la sentenza impugnata è quella di avere ampliato la superficie di somministrazione di alimenti rispetto all’autorizzazione e non certo di avere esercitato un’attività senza la prescritta autorizzazione che, invece, sempre secondo la ricorrente, sarebbe stata oggetto della contestazione: la predetta censura la sentenza laddove sarebbe stata ritenuta la condotta illecita per avere esercitato un’ attività senza autorizzazione che invece le era stata rilasciata, quando in effetti- come si è già detto – il Tribunale ha ravvisato la condotta illecita per avere ampliato la superficie su cui svolgeva l’attività.
Ed invero,il Giudice ha ritenuto provata la contravvenzione in base agli accertamenti compiuti dai verbalizzanti, correttamente attribuendo al verbale la fede privilegiata di cui all’art. 2700 cod. civ.. Al riguardo, va ricordato che nel giudizio di opposizione a ordinanza ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti (17355/2009).
Premesso che la contraddittorietà del verbale deve risultare a stregua del tenore intrinseco delle dichiarazioni in esso contenute, nella specie non è stata in alcun modo provata tale contraddittorietà, insistendo piuttosto la ricorrente su un – peraltro non dimostrato – contrasto fra il verbale (che avrebbe attestato l’esercizio di un’ attività non autorizzata) e la contestazione accertata (l’ampliamento). Ed evidentemente, l’efficacia privilegiata dell’atto pubblico fino a querela di falso rendeva inammissibile l’esame di eventuali documenti prodotti per smentire o contrastare quanto sarebbe emerso dall’atto pubblico, posto che l’eventuale indagine sarebbe stata da proporre con il giudizio di falso.
La sentenza, nel respingere la richiesta di diminuzione della sanzione ha, quindi, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ritenuto che la stessa era proporzionata all’illecito accertato, mentre per quanto riguarda la liquidazione delle spese processuali non è stata neppure dedotta la violazione delle tariffe forensi.
Peraltro, il ricorso difetta di autosufficienza laddove fa riferimento al mancato esame di questioni che sarebbero state sollevate ma che non sono state precisate nè è stato indicato l’atto con il quale esse sarebbero state proposte.
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 300,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012
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