Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-01-2013) 30-04-2013, n. 18976

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza pronunciata il 6.3.2012 la corte di appello di Caltanissetta confermava la sentenza con cui il tribunale di Nicosia in composizione monocratica, in data 30.6.2010, aveva condannato C.F. alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato, in favore della persona offesa costituita parte civile, in relazione a due episodi di violenza privata, unificati sotto il vincolo della continuazione, commessi in danno di S.S..

Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, articolando distinti motivi di impugnazione. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce la manifesta illogicità della motivazione per avere i giudici di merito posto a fondamento della condanna esclusivamente le dichiarazioni della persona offesa, non effettuando alcuna valutazione sulla attendibilità intrinseca di tali dichiarazioni e senza tenere conto della ricostruzione alternativa dei fatti per cui si procede offerta e provata documentalmente dall’imputato.

Con il secondo motivo di ricorso il C. lamenta la violazione del criterio dell’ogni ragionevole dubbio di cui all’art. 533 c.p.p., che avrebbe dovuto far propendere per la sua assoluzione.

Motivi della decisione

Il ricorso presentato nell’interesse di C.F. va dichiarato inammissibile.

Con esso, infatti, l’imputato prospetta censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preclusa in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv.

235507; Cass., sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, rv. 235510;

Cass., sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508). Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606 c.p.p., ad opera della L. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Bosco, rv. 234148).

Orbene nel caso in esame, il tribunale, con motivazione approfondita e immune da vizi logici, ha esposto con assoluta chiarezza il percorso logico-giuridico seguito per confermare la decisione di primo grado, evidenziando, con argomentato richiamo ai precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte, come le dichiarazioni della persona offesa S.S. fossero da sole sufficienti a confermare l’ipotesi accusatoria nei confronti del C., in considerazione del giudizio in termini assolutamente positivi formulato dai giudici di merito sull’attendibilità intrinseca della persona offesa, fondato sulla precisione ed esaustività delle suddette dichiarazioni, che trovavano riscontro, peraltro, nella deposizione della teste S.M. (cfr. pagg. 3-4 dell’impugnata sentenza). Ciò appare assolutamente conforme ai risultati elaborati dalla giurisprudenza di legittimità a proposito del valore che, all’interno del processo penale, assumono le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile, pacificamente considerate valutabili ed utilizzabili ai fini della tesi di accusa, poichè, a differenza di quanto previsto nel processo civile, circa l’incapacità a deporre del teste che abbia la veste di parte, il processo penale risponde all’interesse pubblicistico di accertare la responsabilità dell’imputato, e non può essere condizionato dall’interesse individuale rispetto ai profili privatistici, connessi al risarcimento del danno provocato dal reato, nonchè da inconcepibili limiti al libero convincimento del giudice (cfr. Cass., sez. 5, 23.11.2011, n. 8558, Ce; Cass., sez. 5, 19.9.2011, n. 46542, M.M.; Cass., sez. 5, 8.4.2008, n. 16780, C;

Cassa., sez. 5, 27.3.2008, n. 16769 S.).

Tali dichiarazioni, pertanto, possono essere assunte anche da sole come prova della responsabilità dell’imputato, purchè siano sottoposte a vaglio positivo circa la loro attendibilità e senza necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni, anche se, essendo la parte civile portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi; riscontro, peraltro, non indefettibilmente ed in ogni caso dovuto, fermo restando l’obbligo del giudice di rigorosamente valutare, come ha fatto la corte di appello di Caltanissetta, le dichiarazioni della persona offesa, ma la sua eventuale necessità va ragguagliata alle connotazioni della fattispecie, alle emergenze probatorie e procedimentali che sia dato cogliere nella vicenda esaminata, alle acquisizioni e modalità ricostruttive della stessa (cfr. Cass., sez. 4, 1.2.2011, n. 19668, N.M. ed altri, nonchè in senso conforme, Cass., sez. 2, 20.9.2011, n. 43307, C.S.; Cass., sez. 6, 23.3.2011, n. 22281, G.F.A.; Cass., sez. 6, 20.12.2010, n. 4443, P.).

Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse di C.F. va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonchè, in favore della cassa delle ammende, di una somma a titolo di sanzione pecuniaria, che appare equo fissare in Euro 1000,00, tenuto conto della evidente inammissibilità del ricorso, facilmente evitabile, attraverso la conoscenza di orientamenti consolidati da tempo nella giurisprudenza di legittimità, dal difensore del ricorrente, che, quindi, non può ritenersi immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). Il C. va, altresì, condannato alla rifusione, in favore della parte civile costituita, delle spese del presente giudizio di legittimità, che, ai sensi del D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, "Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, si fissano in complessivi Euro 2500,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00 ed alla rifusione alla parte civile delle spese e compensi di questo grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 2500,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2013
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