Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-01-2013) 10-04-2013, n. 16358

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Svolgimento del processo

Con ordinanza del 04/09/2012, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano dispose la misura cautelare della custodia in carcere di C.R. indagato, tra l’altro, per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti aggravata per essere l’associazione armata.

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, ma il Tribunale di Milano, con ordinanza del 04/10/2012, la respinse.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo che il Tribunale ritiene la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, solo sulla base di un’intercettazione di una telefonata (la n. (OMISSIS) del (OMISSIS) ore 18.15 tra il C. e il coindagato N.) il cui contenuto è equivoco e non consente di ravvisare alcun collegamento del ricorrente con lo spaccio di sostanza stupefacente. Nè le altre captazioni o gli altri elementi raccolti permettono di individuare un ruolo concreto dell’indagato nel traffico di sostanze stupefacenti nè che il C. fosse direttamente coinvolto in attività di acquisto, detenzione o spaccio di droga. Su tali considerazioni svolte nella memoria difensiva vi è mancanza di motivazione nel provvedimento impugnato. Nè possono essere considerate probanti le "generiche e indeterminate" dichiarazioni sul punto del collaboratore B.. Dichiarazioni prive di riscontri esterni.

Il difensore del C.R. conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata ordinanza.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4^, sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Inoltre, il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 c.p.p., lett. c), in relazione all’art. 581 c.p.p., lett. c), perchè le doglianze (sono le stesse affrontate dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti il Tribunale – richiamando anche l’ordinanza del G.I.P. – ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi a carico dell’indagato per il reato aggravato di cui sopra. Ha infatti ben valutato gli elementi acquisiti e in particolare il contenuto delle intercettazioni (si vedano le pagine da 19 a 22 dell’impugnata ordinanza) e le dichiarazioni del collaboratore di giustizia B.A. correttamente ritenute spontanee, credibili e utilizzabili facendo propria la condivisa motivazione sul punto del G.I.P. (si vedano: le pagine da 7 a 10 e da 12 a 13 dell’impugnata ordinanza). Il Tribunale ha cosi – richiamando, anche, la condivisa motivazione del G.I.P. e in linea con i principi giurisprudenziali affermati, sul punto, da questo Supremo Collegio (ad esempio: Sez. U, Sentenza n. 1653 del 21/10/1992 Ud. – dep. 22/02/1993 – Rv. 192470; Sez. U, Sentenza n. 36267 del 30/05/2006 Cc. – dep. 31/10/2006 – Rv. 234598) – ben evidenziato come il collaboratore di cui sopra sia assolutamente attendibile sotto il profilo intrinseco e non pare animato da intenti calunniosi. Il Tribunale da tutto quanto sopra esposto ricava, correttamente, anche l’attendibilità estrinseca delle dichiarazioni. Infine, si deve rilevare che sia il Tribunale, sia il G.I.P., hanno – correttamente – valutato le dichiarazioni del chiamante in correità secondo il canone previsto dall’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, – richiamato dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, – e hanno specificamente indicato le emergenze investigative che corroborano le dichiarazioni di cui sopra (intercettazioni conversazioni; accertamenti della P.G.).

A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il ricorrente contrappone, quindi, solo generiche contestazioni in fatto. Ad esempio sostiene che la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, si fonda solo sulla base di un’intercettazione di una telefonata (la n. (OMISSIS) ore 18.15 tra il C. e il coindagato N.), dimenticando, invece, le molte intercettazioni esposte nell’ordinanza impugnata; si veda, ad esempio, il contenuto dell’intercettazione ambientale (del 21.05.2010 prog. 2296 linea 88) a pagina 22 dell’ordinanza del Tribunale dalla quale emerge un acquisto di 10 chili di cocaina da parte dell’associazione e il ruolo di vertice in essa ricoperto dal ricorrente. In proposito questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità (si veda fra le tante: Sez. 1^, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, cosi equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2013
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