Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – D.C.V.N., con ricorso del 15 maggio 2007, proponeva opposizione, dinanzi alla Corte d’appello di Trieste, avverso la sanzione della radiazione dall’albo unico dei promotori finanziari inflittale dalla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – CONSOB, in data 27 marzo 2007, per la violazione dell’art. 98, comma secondo, lett. a), n. 4, del regolamento CONSOB n. 11522/1998, in quanto si era appropriata di una somma di denaro consegnatale, quale promotrice finanziaria, da T.S..
A fondamento dell’opposizione, la D.C.V. deduceva l’insussistenza dell’addebito così come contestato e, comunque, di aver provveduto ad attenuare il danno subito dalla T.;
concludeva, pertanto, per la revoca o l’annullamento del provvedimento di radiazione dall’Albo dei promotori finanziari e, in subordine, per l’applicazione della sanzione della sospensione dallo stesso Albo.
Nel costituirsi in giudizio la CONSOB eccepiva, anzitutto, la tardività dell’opposizione, siccome notificata oltre il termine di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento opposto, nonchè l’incompetenza territoriale del giudice adito, in favore di quella della Corte d’appello di Milano, nel cui distretto aveva sede legale la R. S.p.A., per conto della quale l’opponente aveva prestato attività di promotore finanziario; in subordine, instava per il rigetto dell’opposizione.
Le stesse eccezioni preliminari della CONSOB venivano sollevate dal Procuratore generale.
2. – Con sentenza resa pubblica il 27 marzo 2008, la Corte d’appello di Trieste, dopo aver respinto l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione per tardività, dichiarava la propria incompetenza a conoscere dell’opposizione proposta dalla D.C.V. ed affermava la competenza del Tribunale di Pordenone, in primo grado, compensando integralmente le spese del giudizio.
2.1. – A sostegno della decisione la Corte territoriale osservava che l’eccezione di tardività dell’opposizione presupponeva l’applicabilità alla fattispecie del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 4, in ordine alla procedura da seguire per l’impugnazione delle sanzioni amministrative da esso richiamate, con la prescrizione di notificare l’opposizione entro trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento sanzionatorio e di depositarla entro trenta giorni dalla anzidetta notificazione. Tuttavia, nella fattispecie, in quanto concernente una sanzione inflitta ad un promotore finanziario, occorreva far riferimento allo stesso D.Lgs. n. 58, art. 198 (norma fatta salva dal citato art. 195, comma 1), il cui comma 3 richiama le disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689, con la sola esclusione dell’art. 16; di qui, la ritenuta applicabilità delle disposizioni processuali di detta L. n. 689.
2.2. – Peraltro, la Corte territoriale escludeva che potessero rilevare le previsioni di cui alla della L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24, comma 5, posto che il mancato richiamo dell’art. 196 tra le norme fatte salve da detta disposizione avrebbe potuto rilevare solo come dubbio in ordine al riparto di giurisdizione, già fugato però dal Consiglio di Stato (con sentenza n. 6474 del 2007), che ha ritenuto ferma la giurisdizione del giudice ordinario sul giudizio d’opposizione avverso sanzioni inflitte al promotore finanziario.
2.3. – Ciò premesso, il giudice d’appello riteneva tempestiva l’opposizione, essendo il ricorso stato depositato in cancelleria il 10 maggio 2007 e, dunque, nei trenta giorni dalla comunicazione, in data 10 aprile 2007, del provvedimento sanzionatorio, secondo le prescrizioni della L. n. 689 del 1981, art. 22. Inoltre, dovendo applicarsi la L. n. 689, perdeva di consistenza l’eccezione di incompetenza territoriale avanzata dalla CONSOB, mentre non poteva trovare applicazione il regime di competenza in unico grado della Corte d’appello, ma doveva dichiararsi la competenza, in primo grado, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 e art. 22-bis, comma 2, del Tribunale del luogo nel quale era stata commessa la violazione, da individuarsi, nella specie, in quello di Pordenone.
3. – Avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste la CONSOB ha proposto ricorso per cassazione – che, in via principale, ha qualificato come straordinario e, in subordine, come istanza di regolamento necessario di competenza – affidandosi a tre distinti motivi di censura.
D.C.V.N., intimata, non ha svolto difese.
La CONSOB ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.
Motivi della decisione
1. – Preliminarmente, occorre qualificare il ricorso proposto dalla CONSOB in termini di regolamento necessario di competenza.
E’ noto che secondo l’art. 42 cod. proc. civ., il detto regolamento è proponibile soltanto avverso le sentenze che abbiano pronunciato soltanto sulla competenza, mentre, in base all’art. 43 cod. proc. civ., la sentenza che abbia pronunciato anche sul merito della controversia è impugnabile, alternativamente, con il regolamento facoltativo di competenza o con i mezzi ordinari, a seconda che la parte intenda far valere esclusivamente la violazione delle norme sulla competenza o contestare anche la decisione di merito.
A tal fine, è principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui per decisione di merito deve intendersi, ai fini dell’impugnabilità della sentenza con regolamento necessario o facoltativo di competenza, non soltanto una pronunzia sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, in contrapposizione ad una pronuncia sul rapporto processuale, ma anche la risoluzione di questioni diverse da quelle sulla competenza, siano esse di carattere processuale o sostanziale, pregiudiziali di rito o preliminari di merito, salvo che dal contenuto complessivo della pronunzia risulti che l’esame di tali questioni sia stato compiuto solo in funzione della decisione sulla competenza e senza pregiudizio per l’esito definitivo della controversia (tra le tante, Cass., sez. 1, 10 gennaio 2011, n. 371; Cass., sez. 2, 23 aprile 2010, n. 9754; Cass., sez. lav., 24 agosto 2006, n. 18425; con specifico riferimento all’opposizione a sanzioni amministrative, di cui alla L. n. 689 del 1981, si vedano: Cass., sez. 1, 28 marzo 2006, n. 590894; Cass., sez. 1, 21 maggio 2004, n. 9799).
Nella specie, il percorso seguito dalla Corte territoriale, per giungere infine alla declaratoria di incompetenza resa in sentenza, è stato quello di esaminare e decidere, dapprima, la questione del rito applicabile alla controversia, escludendo che fosse quello dettato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195 per individuarlo quindi nella disciplina recata dalla L. n. 689 del 1981, art. 22; sicchè, in applicazione delle regole processuali dettate da quest’ultima legge, il giudice adito ha, quindi, ritenuto tempestiva l’opposizione e, al tempo stesso, denegato la propria competenza a decidere su di essa, in ragione della riconosciuta competenza del Tribunale (di Pordenone) quale giudice di primo grado.
Invero, la preliminare risoluzione della questione di rito appare, nella economia della decisione, strettamente funzionale alla decisione sulla competenza, non elidendo siffatto nesso strumentale neppure la delibazione sulla tempestività dell’opposizione, che, peraltro, una volta individuato il rito applicabile, avrebbe dovuto esser lasciata al giudice (il tribunale, in primo grado) che si è indicato come munito del potere decisorio.
In definitiva, la pronuncia della Corte di appello di Trieste si presta ad essere intesa come decisione sulla sola competenza, giacchè su tale specifica questione essa si è focalizzata e rispetto ad essa ha definito il giudizio.
Ciò premesso, può procedersi all’esame del ricorso in guisa di istanza di regolamento di competenza, in quanto tempestivamente proposto dalla CONSOB: difatti, la sentenza della Corte territoriale è stata comunicata alla Commissione il 21 aprile 2008, facendo seguito la notificazione della presente istanza, ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ. (e tenuto conto del suo novellato comma 3, con il quale è stato recepito il principio della c.d. "scissione del momento perfezionativo della notificazione", già affermato dalle sentenze n. 477 del 2002, n. 28 e n. 97 del 2004 della Corte costituzionale) nei confronti dell’opponente ( D.C.V.N.) e dell’intervenuto pubblico ministero, con consegna del plico, rispettivamente, nelle date del 20 e 21 maggio 2008; plico pervenuto ai destinatari, rispettivamente, nelle date 27 e 24 maggio 2008, con successivo deposito del ricorso presso la cancelleria di questa Corte il 4 giugno 2008.
2. – Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 195 e 196 e della L. n. 689 del 1981, artt. 22, 22-bis e 23; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5) in ordine al rito applicabile all’opposizione a provvedimento sanzionatorio emesso nei confronti del promotore finanziario.
2.1. – La CONSOB contesta che sia corretto il ragionamento giuridico che ha condotto la Corte d’appello a ritenere, in forza del rinvio alla L. n. 689 del 1981 da parte del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, comma 3 concernente le sanzioni applicabili al promotore finanziario, quale disposizione fatta salva dal precedente art. 195, che il giudizio di opposizione a dette sanzioni segua il rito della citata L. n. 689.
2.2. – A tal riguardo si osserva, anzitutto, che, in base alla rispettiva originaria formulazione, il D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 195 e 196 si diversificavano sia in relazione alla procedura di irrogazione della sanzione, che a quella di impugnazione del provvedimento sanzionatorio in via giurisdizionale, poichè tale dicotomia era prevista soltanto dall’art. 195 (che per l’impugnazione anzidetta stabiliva, al comma 4, la competenza della corte di appello), mentre l’art. 196 nulla disponeva quanto alla seconda e dettava una propria disciplina in tema di procedimento sanzionatorio.
In siffatto contesto, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, con sentenza n. 9383 del 2001 (confermata da successive pronunce), superando un contrasto insorto con il diverso orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa, affermavano la giurisdizione del giudice ordinario sulle sanzioni di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, anche di natura interdittiva, nonchè l’applicazione ad esse della disciplina processuale stabilita nella L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, in forza del rinvio a tale legge disposto dal comma 3, art. 196 citato.
2.3. – Tuttavia, soggiunge l’istante, la successiva giurisprudenza amministrativa non si adeguava al principio enunciato dalle Sezioni Unite, anche in considerazione della norma sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie in materia di pubblici servizi, compresi quelli attinenti alla vigilanza sul mercato mobiliare, ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7. Sicchè, anche in tale prospettiva andrebbero lette le modifiche recate al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195 dalla L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, nonchè le previsioni dalla L. n. 262 del 2005, art. 24. Quanto alle prime, si tratta dell’introduzione, nel comma 4, di detto art. 195 citato, dell’inciso, prima assente, relativo alle sanzioni "previste dal presente titolo", così da estendere la procedura, derogatoria di quella della L. n. 689 del 1981, a tutte le sanzioni previste nel titolo 2 della parte 5 del D.Lgs. n. 58 del 1998, comprese quelle applicate ai promotori finanziari. A sua volta, il rinvio alla L. n. 689 disposto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, comma 3 andrebbe inteso come "riferito alle norme non espressamente derogate dall’art. 195" dello stesso D.Lgs. e ciò in base al fatto che la L. n. 689, art. 12 rende applicabili le disposizioni del capo nel quale è inserito, unitamente alle disposizioni processuali di cui agli artt. 22, 22-bis e 23, "unicamente in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito".
In relazione poi all’inciso "salvo quanto previsto dall’art. 196" che apre l’art. 195, la CONSOB sostiene che esso deve essere interpretato come riferito soltanto "alla disciplina del procedimento di applicazione delle sanzioni".
Tale soluzione interpretativa risulterebbe confermata – secondo l’istante – dalla L. n. 262 del 2005, art. 24, comma 5, che nel consentire il ricorso giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo avverso gli atti adottati, tra gli altri, dalla CONSOB, prevede che "restano ferme le disposizioni previste per l’impugnazione dei provvedimenti sanzionatori … dal testo unico di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. … 195, commi 4 e ss.".
Sarebbe, dunque, insufficiente e contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata, ove imputa il mancato richiamo anche dell’art. 196 ad un problema di giurisdizione, equivocando sul tenore di una pronuncia in materia resa dal Consiglio di Stato (Sez. 6, sent. n. 6474 del 2007).
2.4. – A conclusione del motivo è formulato il seguente quesito, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ.: "Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione che all’opposizione alle delibere sanzionatorie irrogate dalla CONSOB ai promotori finanziari, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, si applica la procedura di impugnazione regolata dall’art. 195, comma 4, dello stesso decreto e non quella prevista dalla L. n. 689 del 1981, artt. 22, 22-bis e 23, atteso che il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 4, si riferisce a tutte le sanzioni previste nel titolo 2 della Parte 5 del medesimo decreto, incluse quelle di cui all’art. 196 e che pertanto, nella specie, l’impugnazione della misura sanzionatoria avrebbe dovuto essere svolta dalla Sig.ra D.C.V. ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 4".
3. – Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 195 e 196 e della L. n. 689 del 1981, artt. 22, 22-bis e 23; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione "quanto alla omessa declaratoria di inammissibilità della spiegata impugnazione per tardività della notifica".
3.1. – La Corte d’appello di Trieste ha ritenuto ammissibile l’impugnazione in applicazione delle norme processuali di cui alla L. n. 689 del 1981, mentre avrebbe dovuto trovare applicazione alla fattispecie il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 4, da cui la tardività dell’opposizione della D.C.V., il cui ricorso – anche tenuto conto del principio dell’equivalenza delle forme dell’atto introduttivo del giudizio – avrebbe dovuto comunque essere notificato all’autorità adottante il provvedimento sanzionatorio entro il 10 maggio 2007 (cioè nei trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento sanzionatorio, avvenuta il 10 aprile 2007), mentre detto ricorso è stato comunicata alla CONSOB, a cura della cancelleria della Corte d’appello, soltanto in data 25 maggio 2007.
Soggiunge l’istante che la decadenza dall’opposizione, per mancata notifica nel predetto termine, non può essere sanata dal suo deposito in cancelleria, che, peraltro, è evento successivo a quello della notificazione, da effettuarsi anch’esso nel termine perentorio di trenta giorni dall’avvenuta notificazione.
3.2. – Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto: "Dica codesta S.C. che il ricorso in opposizione contemplato dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 4, avverso i provvedimenti di applicazione delle sanzioni previste dalla Parte 5 Titolo 2 dello stesso decreto, deve essere notificato dall’opponente, a pena di inammissibilità, all’Autorità che ha adottato il provvedimento entro il termine perentorio di trenta giorni dalla sua comunicazione, non potendo ritenersi il predetto termine rispettato con il deposito del ricorso in opposizione presso la cancelleria della Corte d’appello e con la sua successiva comunicazione da parte della cancelleria all’Autorità che ha adottato il provvedimento, comunque effettuata oltre i trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento sanzionatorio, e che pertanto, nella specie, il ricorso in opposizione della D.C.V. è da ritenersi tardivo e pertanto inammissibile".
4. – Con il terzo ed ultimo motivo è denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 195 e 196, della L. n. 689 del 1981, artt. 22, 22- bis e 23, nonchè degli artt. 28 e 38 cod. proc. civ., con omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione "quanto alla declaratoria dell’incompetenza territoriale e per gradi della Corte d’appello di Trieste".
4.1. – La ricorrente evidenzia che il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 4, è stato oggetto di modificazione, nel corso del giudizio, ad opera del D.Lgs. 17 novembre 2007, n. 165, in vigore dal 1 novembre 2007, per cui la competenza a decidere sull’impugnazione del provvedimento sanzionatorio è ora della "Corte d’Appello del luogo in cui ha la sede o, nel caso di persone fisiche, il domicilio l’autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, del luogo in cui la violazione è stata commessa".
Sicchè, in forza del principio della perpetuatio iurisdictionis, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare la norma anzidetta, in luogo delle norme di cui alla L. n. 689 del 1981, con la conseguenza di riconoscersi competente, stante la residenza della D.C. V., e di conseguenza avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione in quanto tardiva.
4.2. – A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito di diritto : "Dica la S.C. che competente in relazione all’impugnazione del provvedimento sanzionatorio, per cui è causa, è la Corte d’Appello di Trieste e non il Tribunale di Pordenone, come erroneamente deciso nella sentenza impugnata, pronunciando tutti i provvedimenti consequenziali".
5. – Occorre premettere all’esame dei motivi che la norma dettata dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133 (codice del processo amministrativo) – là dove essa stabilisce, al comma 1, lett. l), che sono "devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge" anche "le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati", tra gli altre, "dalla Commissione nazionale per le società e la borsa" (con contestuale abrogazione, ad opera dell’art. 4, comma 1, n. 19, dell’allegato 4 al cod. proc. amm., dei commi da 4 ad 8 del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195 e successive modificazioni) – non pone alcun problema di interferenza con la presente controversia.
Anzitutto poichè essa, ed il citato art. 4, comma 1, n. 19, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi con sentenza n. 162 del 2012 della Corte costituzionale (depositata il 20 giugno 2012), con la conseguenza – espressamente affermata da detta sentenza – che tornano ad avere applicazioni le già abrogate disposizioni del D.Lgs. n. 58 del 1998, e successive modificazioni, e, tra queste, per l’appunto il menzionato art. 195.
Inoltre, poichè anche prima che intervenisse la recentissima declaratoria di incostituzionalità, l’anzidetta disposizione sulla giurisdizione non avrebbe comunque potuto trovare applicazione al presente giudizio in forza di quanto dispone l’art. 5 cod. proc. civ., essendo essa entrata in vigore il 16 settembre 2010 (art. 2 stesso cod. proc. amm.), mentre la controversia oggetto di cognizione era iniziata nel maggio 2007 (così come, del resto, dal 16 settembre 2010 era stata espressamente disposta la decorrenza dell’abrogazione sopra indicata).
6. – Tanto precisato, il primo motivo è fondato e da ciò consegue la competenza della Corte di appello a decidere sull’opposizione alle sanzioni irrogate dalla CONSOB ai promotori finanziari, in base al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196.
Le ragioni che assistono tale decisione sono le seguenti.
6.1. – Sino agli interventi legislativi dell’anno 2005 – sui quali più avanti si soffermerà l’attenzione – il diritto vivente (Cass., sez. un., 11 luglio 2001, n. 9383; Cass., sez. un., 11 febbraio 2003, n. 1992; Cass., sez. un., 22 luglio 2004, n. 13703; indirettamente, ma in modo inequivoco, anche Cass., sez. un., 29 aprile 2003, n. 6695) in ordine all’individuazione del giudice competente in materia di impugnazione giurisdizionale delle sanzioni, pecuniarie ed interdittive, inflitte dalla CONSOB nei confronti dei promotori finanziari era nel senso di valorizzare la disciplina processuale recata dalla L. 24 novembre 1981, n. 689 e, segnatamente, quella posta dagli artt. 22 e 22-bis.
Sebbene questa non fosse la risultanza interpretativa dello scrutinio diretto sulla congruente questione di competenza – giacchè l’oggetto su cui allora erano state chiamate a decidere le Sezioni Unite riguardava l’esistenza stessa della giurisdizione del giudice ordinario sulla materia sanzionatoria anzidetta, che veniva contestata in ragione dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, delineante, in via generale, i rapporti tra la giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo – tuttavia, le pronunce innanzi richiamate, decidendo su controversie promosse da promotori finanziari dinanzi al tribunale del luogo ove era stata commessa la violazione, giunsero a ritenere munito di giurisdizione il giudice ordinario proprio in virtù della centralità ermeneutica assegnata alla citata regolamentazione di cui alla L. n. 689 del 1981.
I passaggi essenziali della ratio decidendi che fondava un siffatto approdo interpretativo possono così sintetizzarsi: a) posto che il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, comma 3, richiama, con specifico riferimento "alle sanzioni applicabili ai promotori finanziari", le disposizioni contenute nella L. n. 689 del 1981, ad eccezione dell’art. 16, esso individua per la tutela giurisdizionale avverso l’irrogazione di tali sanzioni il procedimento disciplinato dagli artt. 22 e 23 di detta legge, il quale, per l’appunto, è riservato alla giurisdizione del giudice ordinario; b) l’art. 196 citato riveste carattere di specialità rispetto alla disposizione di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, con la conseguenza che la prima disposizione non può reputarsi parzialmente abrogata dalla seconda e più recente norma; c) nessuna differenza sussiste tra sanzioni pecuniarie ed interdittive, giacchè anche tali ultime sanzioni, non diversamente dalle prime, debbono applicarsi sulla "base della gravità della violazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva" e, dunque, in forza di criteri che non possono ritenersi espressione di discrezionalità amministrativa; peraltro, lo stesso ambito di applicazione della L. n. 689 del 1981 è inclusivo anche delle sanzioni diverse da quelle pecuniarie (come si evince dall’art. 22- bis, introdotto dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 98; ma già in origine esso riguardava la confisca – art. 22 – e successivamente le sanzioni non pecuniarie del codice della strada, ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 210).
6.2. – L’orientamento giurisprudenziale appena ricordato si era venuto a consolidare su un assetto normativo che, nel breve volgere di pochi anni, aveva registrato numerosi interventi regolatori della materia, per approdare infine alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 58 del 1998.
6.2.1. – La prima regolamentazione di sistema fu quella recata dalla L. 2 gennaio 1991, n. 1, in materia di intermediazione mobiliare (cd.
legge "SIM": società di intermediazione mobiliare), il cui art. 5, riferendosi ai promotori finanziari, contemplava, nei loro confronti, il potere sanzionatorio, di natura amministrativa, della CONSOB in relazione a determinate violazioni, stabilendo soltanto che alle sanzioni irrogate "non si applicano le disposizioni di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 16 e 24 " (così il comma 9) e cioè quelle sul pagamento ridotto e su quello rateale della sanzione pecuniaria.
Nella stessa L. n. 1 del 1991 trovavano disciplina, all’art. 13, i provvedimenti cautelari e le sanzioni amministrative nei confronti delle "SIM", adottati dal Ministro del tesoro su proposta della CONSOB o della Banca d’Italia; a tal riguardo, il comma 8 stabiliva che: "Avverso i provvedimenti che irrogano le sanzioni è data facoltà di opposizione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 22 e seguenti".
Dunque, la legge in esame, quanto alle "SIM", prevedeva in modo espresso la fase di impugnazione delle sanzioni amministrative ad esse irrogate e la rimetteva alla competenza del giudice (ordinario) di cui alla L. n. 689 del 1981. Di qui, peraltro, la ancor più agevole conclusione per cui anche l’opposizione alle sanzioni amministrative inflitte ai promotori finanziari non poteva non seguire la L. n. 689 del 1981, della cui applicazione erano eccettuati solo gli artt. 16 e 26.
6.2.2. – Con l’entrata in vigore del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (testo unico bancario: t.u.b.) venne individuata, quanto al regime delle impugnazioni delle sanzioni di carattere amministrativo inflitte agli operatori di settore, la competenza della Corte di appello di Roma, dinanzi alla quale, ai sensi dell’art. 145, comma 4, contro il decreto del Ministro del tesoro irrogativo della sanzione è ammesso reclamo, il quale "deve essere notificato alla Banca d’Italia nel termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del decreto impugnato e deve essere depositato presso la cancelleria della corte di appello entro trenta giorni dalla notifica".
6.2.3. – Il modulo processuale assunto dal t.u.b. fu, quindi, riproposto dal legislatore con il cd. "decreto Eurosim" (D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, di recepimento di direttive comunitarie nella materia dei servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari) in riferimento alle sanzioni amministrative (pecuniarie) adottate nei confronti di coloro che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione presso imprese d’investimento, banche o altri soggetti abilitati, nonchè nei confronti dei relativi dipendenti, stabilendosi, all’art. 44, comma 3: "Contro il provvedimento di applicazione delle sanzioni è ammesso reclamo alla Corte di Appello di Roma. Il reclamo deve essere notificato al Ministero del tesoro e all’autorità che ha proposto il provvedimento nel termine di trenta giorni dalla data della comunicazione del provvedimento medesimo e deve essere depositato presso la cancelleria della Corte d’Appello entro trenta giorni dall’ultima notifica".
Nel successivo art. 45 fu, poi, previsto il regime sanzionatorio nei confronti dei promotori finanziari, disponendosi che le sanzioni (richiamo scritto; sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire cinquanta milioni; sospensione da uno a quattro mesi dall’albo; radiazione dall’albo), sono irrogate dalla CONSOB. Nulla era stabilito, però, quanto alla fase giurisdizionale della relativa impugnativa, anche se la norma, nell’eccettuare la sola applicabilità della L. n. 689 del 1981, art. 16, involgeva – secondo l’orientamento giurisprudenziale del quale si è dato inizialmente conto – un richiamo alla disciplina processuale di detta legge.
6.3. – Il 1 luglio 1998 entrava in vigore il testo unico finanziario (t.u.f.: D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), il quale, abrogando il precedente D.Lgs. n. 415 del 1996 (ad eccezione di talune disposizioni e stabilendo, all’art. 214, un’apposita disciplina transitoria), poneva la regolamentazione delle "sanzioni amministrative" nel titolo 2, contemplando, come segnalato dalle rispettive rubriche, all’art. 195 la "Procedura sanzionatoria" ed all’art. 196 le "Sanzioni applicabili ai promotori finanziari".
6.3.1. – L’art. 195, al comma 1, prevedeva: "Salvo quanto previsto dall’art. 196, le sanzioni amministrative previste nel presente titolo sono applicate dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica con decreto motivato, su proposta della Banca d’Italia o della CONSOB, secondo le rispettive competenze".
Seguiva, poi, nei commi 2 e 3, la disciplina procedimentale sanzionatoria, che muoveva dalla contestazione degli addebiti per giungere alla irrogazione della sanzione ed alla pubblicazione del decreto di relativa applicazione.
Al comma 4, art. 195 veniva, quindi, stabilito: "Contro il provvedimento di applicazione delle sanzioni è ammessa opposizione alla corte d’appello del luogo in cui ha sede la società o l’ente cui appartiene l’autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, nel luogo in cui la violazione è stata commessa. L’opposizione deve essere notificata al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e all’autorità che ha proposto l’applicazione della sanzione entro trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento e deve essere depositata presso la cancelleria della corte d’appello entro trenta giorni dalla notifica".
6.3.1.1. – Giova sin da ora precisare che, quanto al procedimento di opposizione delineato dall’art. 195, nella sua formulazione originaria, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenze n. 20929 e 20930 del 30 settembre 2009, hanno affermato (con argomenti che, sulla specifica questione, possono valere anche per la formulazione della stessa norma come successivamente modificata) che, sebbene tragga "linfa da due distinti modelli normativi, l’opposizione a sanzioni amministrative prevista in generale dalla L. n. 639 del 1931 e il rito camerale disciplinato dagli artt. 737 ss. c.p.c.", in assenza di una precisa scelta legislativa su un preciso modulo processuale, esso deve intendersi come "modello procedimentale autonomo, i cui caratteri di specialità devono essere pertanto ricostruiti dall’interprete".
Tuttavia, risulta evidente che quanto appena precisato in ordine al rito non sposta l’individuazione, positivamente data, della competenza della corte di appello in ordine alle sanzioni cui fa riferimento l’art. 195 nella sua originaria formulazione, il quale, peraltro, sostituisce alla individuazione del foro esclusivo della Corte di appello di Roma – dettato dal D.Lgs. n. 415 del 1996 in base ad un criterio di concentrazione cognitoria analogo a quello del t.u.b. – quella del foro del distretto selezionato in base agli indici previsti dalla stessa citata norma del t.u.f., accedendo ad un’ottica di diffusione territoriale dell’esercizio della giurisdizione nella materia in esame.
6.3.2. – Ciò puntualizzato, il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, quanto ai promotori finanziari, disponeva già allora, al comma 2, che: "Le sanzioni sono applicate dalla CONSOB" (e si tratta, come reso palese dal comma 1, delle stesse sanzioni già previste dal D.Lgs. n. 415 del 1996), scandendo, altresì, gli essenziali passaggi della procedura sanzionatoria; mentre al comma 3 stabiliva: "Alle sanzioni previste dal presente art. si applicano le disposizioni contenute nella L. 24 novembre 1981, n. 689, ad eccezione dell’art. 16".
6.3.3. – La competenza esclusiva della corte di appello su "tutte le controversie di cui all’art. 145 t.u.b. e D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195" veniva, poi, seccamente ribadita dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 1, in materia di definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonchè in materia bancaria e creditizia.
6.4. – Tale è la cornice entro cui si è inscritta l’interpretazione giurisprudenziale, della quale si è inteso immediatamente dar conto, sulla portata del principio della competenza del giudice di cui alla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 22-bis a decidere sulle opposizioni alle sanzioni inflitte dalla CONSOB ai promotori finanziari.
Trattasi, dunque, di orientamento stabilizzatosi nell’anno 2004 e sul quale questa Corte non è più tornata.
6.5. – La disciplina della materia dei mercati finanziari è stata però interessata, a partire dall’anno 2005, a seguito di rilevanti disfunzioni del mercato finanziario, con effetti particolarmente pregiudizievoli sui risparmiatori, da importanti interventi legislativi, che hanno coinvolto anche lo specifico settore che interessa in questa sede.
6.5.1. – Infatti, con la L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, comma 2, lett. c), (di recepimento della direttiva comunitaria 2003/6/CE sull’abuso di informazioni privilegiate e sulla manipolazione del mercato – abusi di mercato) viene sostituito integralmente il D.Lgs. n. 58 del 1998, originario art. 195.
Al comma 1, facendo "salvo quanto previsto dall’art. 196", si affida alla Banca d’Italia ed alla CONSOB, in base alle rispettive competenze, il potere di applicare le "sanzioni amministrative previste nel presente titolo", delineandosi altresì (commi 1 e 2) i tratti essenziali del procedimento sanzionatorio (contestazione degli addebiti, valutazione delle deduzioni a difesa, provvedimento di irrogazione motivato, in base ai "principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonchè della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie").
Ai commi da 4 a 3 viene poi disciplinata la fase giurisdizionale dell’impugnazione del provvedimento sanzionatorio.
In particolare, per quanto più rileva in questa sede, il comma 4 stabilisce: "Avverso il provvedimento di applicazione delle sanzioni previste dal presente titolo è ammessa opposizione alla corte d’appello del luogo in cui ha sede la società o l’ente cui appartiene l’autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, del luogo in cui la violazione è stata commessa. L’opposizione deve essere notificata all’Autorità che ha adottato il provvedimento entro trenta giorni dalla sua comunicazione e deve essere depositata presso la cancelleria della corte d’appello entro trenta giorni dalla notifica".
Nei commi successivi è tratteggiato il procedimento di opposizione, che si conclude con decisione in camera di consiglio nella forma del decreto motivato.
Il comma 7, dello stesso art. 9 contempla una norma transitoria circa l’applicazione del nuovo art. 195, le cui disposizioni "si applicano ai procedimenti sanzionatori avviati con lettere di contestazione inoltrate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge" (n. 62 del 2005), mentre le disposizioni nel testo vigente a tale data "continuano ad essere applicate ai procedimenti sanzionatori avviati prima della suddetta data".
La novella non tocca in alcun modo la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 58 del 1998, originario art. 196, concernente i promotori finanziari.
6.5.1.1. – E’, però, opportuno rammentare che la L. n. 62 del 2005, citato art. 9 introduce nel corpo del D.Lgs. n. 58 del 1998 anche il "TITOLO 1-bis Abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato", il cui capo 3 è dedicato alle "Sanzioni amministrative", che riguardano, tra gli altri, i membri degli organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente di strumenti finanziari o chi partecipa al capitale dell’emittente stessa (art. 187-bis), stabilendosi altresì (art. 187-quinqiues) la responsabilità dell’ente per il pagamento di una somma pari all’importo della sanzione amministrativa irrogata per gli illeciti di cui al presente capo commessi nel suo interesse o a suo vantaggio.
L’art. 187-septies, inserito in detto capo 3, si occupa della procedura sanzionatoria (commi da 1 a 3) e della fase giurisdizionale di relativa impugnativa, prevedendo, al comma 4, che: "Avverso il provvedimento di applicazione delle sanzioni previste dal presente capo può proporsi, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione, ricorso in opposizione alla corte d’appello nella cui circoscrizione è la sede legale o la residenza dell’opponente. Se l’opponente non ha la sede legale o la residenza nello Stato, è competente la corte d’appello del luogo in cui è stata commessa la violazione. Quando tali criteri non risultano applicabili, è competente la corte d’appello di Roma. Il ricorso deve essere notificato alla CONSOB e depositato presso la cancelleria della corte d’appello nel termine di trenta giorni dalla notificazione".
La disposizione, che circoscrive la propria portata applicativa alle "sanzioni previste dal presente capo" (ossia il capo 3 del titolo 1- bis), pur ricalcando il modello del novellato art. 195, ne puntualizza taluni aspetti e, soprattutto, secondo quanto reso evidente dalla L. n. 639 del 1981, successivo comma 6, rinvia all’art. 23 quanto alle forme di svolgimento del giudizio di opposizione, il quale, come visto, è comunque affidato alla competenza della corte di appello, la cui individuazione territoriale segue una serie di criteri consecutivi, chiudendosi con quello dell’attribuzione di potere decisorio in capo alla corte di appello di Roma ove non possano trovare applicazione gli altri criteri di selezione previsti dalla legge.
6.5.2. – Con la successiva L. 28 dicembre 2005, n. 262, il legislatore, ancora sull’onda dell’allarme di una crisi finanziaria globalizzata, adotta una normativa di tutela del risparmio e di disciplina dei mercati finanziari.
All’art. 24 della citata legge vengono regolati i procedimenti "per l’adozione di provvedimenti individuali" da parte di più Autorità indipendenti (Banca d’Italia, CONSOB, ISVAP, COVIP, Autorità garante della concorrenza e del mercato) ed il relativo comma 5 disciplina la fase giurisdizionale di opposizione avverso gli atti da esse adottati, disponendo che "può essere proposto ricorso giurisdizionale dinanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio".
La parte finale dello stesso comma precisa, però, che: "Restano ferme le disposizioni previste per l’impugnazione dei provvedimenti sanzionatori", tra gli altri, "dal testo unico di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, commi 4 e seguenti"; sicchè le ipotesi eccettuate dalla giurisdizione del giudice amministrativo riguardano anche quelle delle sanzioni amministrative su cui esplica efficacia applicativa la normativa da ultimo richiamata.
Con il D.Lgs. 29 dicembre 2006, n. 303, all’art. 4, comma 3, si inserisce, poi, nel comma 5, art. 24 citato, anche il riferimento all’art. 187-septies, commi 4 e seguenti.
6.5.3. – Successivamente agli evidenziati interventi legislativi, con il D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164, art. 3, comma 3, (cd. legge "Draghi"), è stato inserito nel corpo normativo del t.u.f. l’art. 18- bis, che disciplina la figura dei "Consulenti finanziari".
L’originaria formulazione del comma 6 di detto art. 18-bis contemplava il procedimento di tutela dell’interessato contro le decisioni di sospensione o radiazione dall’albo dei consulenti finanziari adottate da apposito organismo deputato alla tenuta del medesimo albo, stabilendo che avverso tali decisioni era ammesso ricorso alla CONSOB, con l’ulteriore previsione per cui: "Avverso le delibere adottate dalla CONSOB ai sensi del presente comma è ammessa opposizione da parte dell’interessato alla corte d’appello; si applicano i commi 4, 5, 6, 7 e 8, art. 195".
Analogamente stabilisce ora il comma 9, art. 18-bis del D.Lgs. n. 58 del 1998, a seguito dell’ulteriore modificazione recata dal D.Lgs. 17 settembre 2009, n. 101, art. 1.
6.5.4. – Da ultimo va rammentato che il D.Lgs. n. 101 del 2009, appena citato art. 1 ha apportato modificazioni anche al D.Lgs. n. 58 del 1993, art. 195, che, però, non riguardano l’esclusività del foro della corte di appello.
E’ stato nuovamente mutato, infatti, il criterio principale di collegamento della competenza territoriale recato dal comma 4 – il quale era già stato modificato dal D.Lgs. n. 164 del 2007, art. 16, comma 6, lett. c), (con effetto dal 1 novembre 2007), nel senso di attribuire la cognizione alla corte d’appello "del luogo in cui ha la sede o, nel caso di persone fisiche, il domicilio l’autore della violazione" – ripristinandosi, quindi, la previgente previsione del foro in cui "ha sede la società o l’ente cui appartiene l’autore della violazione".
Invero, si è intervenuti anche sul D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196 (con il comma 26, citato art. 1 del D.Lgs. n. 101 del 2009), ma esclusivamente sul procedimento di contestazione degli addebiti.
6.6. – Siffatta complessiva ricognizione del quadro normativo fornisce una pluralità di dati ermeneutici che convergono a dare sostanza alla tesi sostenuta dalla CONSOB. Primo fra tutti il dato letterale della legge (art. 12 preleggi), che è mutato nel tempo.
6.6.1. – Ciò assume un rilievo peculiare nel caso in esame, giacchè proprio il profilo del mutamento legislativo dischiude la possibilità di giungere al superamento di quell’orientamento giurisprudenziale, inizialmente richiamato, che si è stabilizzato su un determinato assetto normativo, senza per ciò stesso ledere taluni valori fondamentali posti a presidio dell’esercizio della giurisdizione e della garanzie della difesa nel processo.
Per un verso, infatti, alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., 18 maggio 2011, n. 10864 e Cass., sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144), il cambiamento del quadro normativo di riferimento mette al riparo, anzitutto, dal pericolo di vulnerare quell’esigenza, particolarmente avvertita nella materia processuale, di evitare il ribaltamento di esiti ermeneutici consolidati in riferimento al significato di una norma regolatrice del rito che sia suscettibile di plurime interpretazioni, ciascuna compatibile con la sua lettera (cd. "interpretazione correttiva"). A tal riguardo, si è difatti posto in rilievo – segnatamente, nella prima delle due pronunce citate, ma ribaditosi nella seconda – che "le ragioni di economico funzionamento del sistema giudiziario devono indurre l’interprete a preferire quella interpretazione consolidatasi nel tempo, a meno che il mutamento dell’ambiente processuale o l’emersione di valori prima trascurati non ne giustifichino l’abbandono e consentano, pertanto, l’adozione dell’esigesi da ultimo formatasi".
E’ questa la cd. "etica del cambiamento", che trova peculiare risalto nella fattispecie, in quanto la questione interpretativa investe la regola processuale sulla individuazione del giudice competente, la quale sottende un’esigenza di "massima chiarezza possibile" (tra le altre: Cass., sez. 3, 1 luglio 1994, n. 6269), che, del resto, impinge non solo nel valore del "giusto processo regolato dalla legge", di cui all’art. 111 Cost., comma 1, ma anche, e soprattutto, nella garanzia fondamentale del giudice naturale, che corrisponde a quella di giudice precostituito per legge, di cui all’art. 25 Cost., comma 1, con la conseguenza che la regola di competenza deve essere prefissata rispetto all’insorgere della controversia (tra le tante, si vedano Corte cost., ord. n. 138 del 2008 e Corte cost., sent. n. 410 del 2005).
Per altro verso, sebbene in una prospettiva coerente con il profilo appena evidenziato, i valori costituzionali anzidetti esaltano, come visto, la funzione regolatrice della legge in materia processuale, la cui formulazione testuale rappresenta il primo ineludibile tramite da cui muove l’operazione ermeneutica, segnandone però anche il suo stesso "confine, in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale" (Corte cost., sent. n. 26 del 2010 e sent. n. 219 del 2008), in ciò mantenendosi vivo quel presidio dell’indipendenza funzionale del giudice, che – come messo in risalto ancora una volta da Cass., sez. un., n. 15144 del 2011 – è da rinvenirsi nella sua "soggezione soltanto alla legge" predicata dall’art. 101 Cost., comma 2, in un’ottica di garanzia dello stesso giudice da interferenze esterne nell’interpretazione ed applicazione della norma e, dunque, nella decisione del caso concreto.
Questo, tuttavia, senza che l’inverarsi del "diritto vivente", e cioè del diritto nella sua dimensione di effettività, si trovi ingessato nel proprio naturale svolgimento, posto che, prima di raggiungere l’anzidetto confine, l’interprete è tenuto a conformare la norma ai valori espressi dall’ordinamento interno (in tal senso, la cd. "interpretazione evolutiva" indicata dalla citata Cass., sez. un., n. 15144 del 2011), dovendo, peraltro, interagire, ogni qualvolta si renda necessario, con la pluralità delle fonti sovranazionali (art. 117 Cost., comma 1).
6.6.2. – La L. n. 62 del 2005, art. 9, comma 2, lett. c), ha riscritto l’art. 195 t.u.f., ma il mutamento della lettera della disposizione che segnatamente interessa nella presente controversia è quello concernente l’inciso, introdotto nel corpo del comma 4, "previste dal presente titolo", che si aggiunge all’espressione "avverso il provvedimento di applicazione delle sanzioni".
Ciò diversamente da quanto previsto dall’originaria formulazione del comma 4 citato, ove il mero richiamo alle "sanzioni", senza alcuna ulteriore specificazione, era tale, in effetti, da corroborare una lettura che vedesse l’impugnazione del provvedimento sanzionatorio essenzialmente rivolta all’ambito entro il quale lo stesso art. 195 si preoccupava di disciplinare anche il momento irrogativo della sanzione, cosi da selezionarne direttamente la tipologia, restringendola alle violazioni commesse dagli "intermediari". Ne derivava, al tempo stesso e coerentemente, un rafforzamento dell’opzione ermeneutica che leggeva separatamente la disciplina delle impugnazioni delle sanzioni inflitte ai "promotori", in forza dell’art. 196.
L’aggregazione in solo contesto, sotto il profilo del rimedio impugnatorio (opposizione dinanzi alla corte di appello), delle "sanzioni previste dal presente titolo", là dove in esse – siccome accomunate sotto il "titolo II, Sanzioni amministrative" – sono da intendersi incluse sia quelle relative agli "intermediari", che quelle concernenti i "promotori", svuota di consistenza l’esegesi anzidetta, salvo non voler deprivare di senso la stessa interpolazione del testo normativo (o, ancor peggio, ignorarne l’esistenza).
La paventata astenia del significato appena ascritto alla norma – dal quale discende che anche le sanzioni di cui all’art. 196 sono disciplinate, quanto all’impugnazione giurisdizionale, dalle regole poste dall’art. 195 – non si ritiene che possa desumersi da una superfetazione della formula "salvo quanto previsto dall’art. 196" che apre il comma 1, art. 195, la quale è rimasta intatta nonostante il comma 1 abbia subito anch’esso delle modifiche (cosi come sul comma 3 sono state apportate modifiche ad opera del D.Lgs. n. 164 del 2007) . Ivi, infatti, si disciplina tuttora (come in origine) il profilo dell’irrogazione della sanzione, individuandosi le autorità preposte all’applicazione delle sanzioni e declinandosi la scansione procedimentale che postula la previa contestazione degli addebiti e la difesa dell’interessato.
A siffatto specifico profilo, dunque, è orientata la predetta clausola di "salvezza"; ciò che, invero, risaltava all’evidenza nella mera comparazione dei testi normativi rispettivamente recati dagli originari artt. 195 e 196, la dove nel primo si diversificavano l’autorità col potere di irrogazione da quelle che proponevano la sanzione, mentre nel secondo la potestà sanzionatoria era tutta concentrata in una sola autorità. Tuttavia, anche a seguito della novellazione, le differenze tra i due procedimenti sanzionatori, sebbene attenuate, permangono, concentrandosi anzitutto nella previsione di specifiche sanzioni a carico dei "promotori" e nel fatto che, mentre nel comma 3, art. 195 si declinano i principi ispiratori del procedimento sanzionatorio stesso, nell’art. 196 questi si mutuano direttamente dalla L. n. 689 del 1981 alla quale si opera un rinvio pieno, ad eccezione dell’art. 16.
Ed ancora, non pare sostenibile che l’inciso "previste dal presente titolo", lungi dall’aver determinato un cambiamento rispetto alla precedente portata disciplinatoria della norma, sia da leggersi in guisa di stilema, frutto soltanto della mera riscrittura dell’intero art. 195 e, con esso, del suo comma 4 in particolare.
Va, difatti, osservato che contestualmente alla sostituzione della stessa L. n. 62 del 2005, art. 195 ha introdotto il "titolo 1-bis", in tema di "Abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato", prevedendo, oltre ad un apparato sanzionatorio di carattere penalistico, anche quello, inserito nel "capo 3^", delle sanzioni amministrative, rispetto alle quali ha dettato apposite disposizioni (recate dall’art. 187-septies) sul relativo procedimento di irrogazione e sulla successiva impugnativa giurisdizionale del provvedimento sanzionatorio (da opporsi dinanzi alla corte di appello, ma con esplicito rinvio, quanto alle forme del giudizio, a quelle di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23, "in quanto compatibili"), quest’ultima con efficacia circoscritta "alle sanzioni previste dal presente capo".
Ciò, evidentemente nella prospettiva di una sistematica quanto più coerente, che valorizzasse la specificità materiale degli illeciti e dei soggetti eventualmente trasgressori, cosi da dettare "per blocchi di materie" la disciplina inerente alla procedura sanzionatoria amministrativa secondo una tendenziale uniformità, seppure con talune, non sempre irrilevanti, divergenze (ad es. il richiamo del rito di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23 soltanto per le sanzioni del titolo 1-bis).
Proprio alla luce dell’esigenza di mantenere aggregate, sotto il profilo della procedura sanzionatoria, le tipologie di sanzioni previste, rispettivamente, dal titolo 1-bis e dal titolo 2, sembra deporre la preoccupazione che si desume dai lavori preparatori della L. n. 62 del 2005, posto che, nella proposta di relazione della 2 Commissione permanente del Senato (seduta del 25 gennaio 2005), si evidenzia il mancato pieno allineamento (ed il riferimento è segnatamente all’art. 23 sopra citato) tra il procedimento sanzionatorio amministrativo dettato dall’art. 187-septies e quello dell’art. 195; con ciò, però, palesandosi una consapevolezza circa la comune disciplina procedimentale alla quale sono rispettivamente soggette le sanzioni amministrative contemplate dagli anzidetti titoli del t.u.f..
6.7. – Conforta ulteriormente la soluzione prescelta anche una lettura sistematica della normativa direttamente implicata nella questione, in un’ottica dialogica con le altre norme che la lambiscono o che, comunque, possono disvelarne appieno la portata.
6.7.1. – In primo luogo, e con valenza peculiare, la regolamentazione che il legislatore ha provveduto a dettare con la L. n. 262 del 2005, art. 24, comma 5, poi modificato dal D.Lgs. n. 303 del 2006, art. 4, eccettuando dalla prevista attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo l’impugnazione dei "provvedimenti sanzionatori" previsti, tra gli altri, dagli "al testo unico di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187-septies, commi 4 e seguenti e art. 195, commi 4 e seguenti".
Ove non si ritenesse che il riferimento al comma 4, art. 195 abbia riguardato anche, per ciò che concerne l’impugnazione del provvedimento sanzionatorio, le sanzioni inflitte ai "promotori" ex art. 196 stesso t.u.f., la conseguenza sarebbe potuta esser quella della attrazione alla giurisdizione del giudice amministrativo della cognizione di tali ultimi provvedimenti sanzionatori. Invero, non si verte su questione astrattamente formulabile, giacchè – come evidenziato dalla sentenza impugnata e dalle stesse difese della ricorrente – su di essa si è soffermato il Consiglio di Stato (sezione 6^), con la sentenza n. 6474 del 17 dicembre 2007, per giungere, infine, alla conclusione che la giurisdizione è devoluta, anche quanto alle sanzioni inflitte ai "promotori", al giudice ordinario. Ma l’approdo a siffatta condivisibile soluzione passa attraverso proprio la valorizzazione dell’inciso "sanzioni previste nel presente titolo" inserito nel comma 4, dell’art. 195 t.u.f. a seguito della novella di cui alla L. n. 62 del 2005, che esprime, dunque, una vis actractiva anche per i provvedimenti sanzionatoli di cui all’art. 196 t.u.f.. Peraltro, anche nella stessa sentenza citata si circoscrive la portata della clausola di salvezza di cui al comma 1 dell’art. 195 al solo procedimento di irrogazione della sanzioni, senza che perciò essa possa, anche per tale ragione, fungere da elemento devolutivo della giurisdizione al giudice amministrativo.
6.7.2. – Un ausilio nella direzione appena intrapresa è dato dal richiamo, che si coglie nei lavori preparatori della L. n. 262 del 2005, giacchè la relazione al relativo progetto di legge, nell’individuare le ipotesi eccettuate dalla giurisdizione del giudice amministrativo, opera uno specifico riferimento ai "casi in cui la vigente legislazione determina espressamente le forme di impugnazione giurisdizionale per particolari atti" e, tra questi, inserisce i "provvedimenti d’irrogazione delle sanzioni amministrative previste dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (art. 195, commi 4 e seguenti), per cui è prevista l’opposizione dinnanzi alla corte d’appello del luogo in cui ha sede la società o l’ente". Dunque, l’ottica di accomunare le sanzioni amministrative del t.u.f. sotto l’unica disciplina recata dal comma 4, ‘art. 195 appare confermata implicitamente dall’esclusivo richiamo a tale disposizione.
Un riferimento ancor più significativo all’ambito di operatività dell’art. 195 t.u.f., nel testo modificato dalla L. n. 62 del 2005, si coglie poi nella relazione al D.Lgs. n. 303 del 2006, il cui art. 4, comma 3, ha introdotto nel comma 5, art. 24, L. n. 262 del 2005, tra i casi eccettuati dalla giurisdizione del giudice amministrativo, anche quello di cui all’art. 187-septies, commi 4 e seguenti, t.u.f..
L’anzidetta relazione mette in risalto, infatti, che la novella correttiva si ispira all’esigenza di mantenere la giurisdizione del giudice ordinario e la competenza della corte di appello in materia di impugnazione dei provvedimenti sanzionatori per gli abusi di mercato di cui al citato art. 187-septies, che, nel silenzio della disposizione derogatoria, sarebbe devoluta alla giurisdizione del tribunale amministrativo del Lazio. A ciò, pertanto, si è inteso porre rimedio, volendosi così evitare una "discrasia rispetto a quanto stabilito dall’art. 195 T.u.f. che prevede l’impugnazione presso la Corte di appello delle altre categorie di provvedimenti sanzionatori della Consob, sia pure con un rito diverso da quello previsto dall’art. 187-septies (procedura in camera di consiglio)".
Sicchè, l’intentio legislatoris si esprime, ancora una volta, nel senso di aggregare, sotto la giurisdizione del giudice ordinario e la competenza, segnatamente, della corte di appello, le ipotesi di sanzioni amministrative in materia di intermediazione finanziaria irrogate dalla CONSOB già attratte alla giurisdizione ed alla competenza del predetto giudice in forza della disciplina previgente alla L. n. 262 del 2005.
Risulterebbe, invero, distonico che un tale afflato unificatore non abbia compreso le sanzioni nei confronti dei promotori finanziari di cui all’art. 196, che, al pari di quanto si sarebbe determinato in relazione alle sanzioni ex art. 187-speties, ove non contemplate dalla deroga, sarebbero state, dunque, attratte alla giurisdizione del giudice amministrativo. Evidentemente cosi non si è ritenuto proprio in forza dell’art. 195, comma 4, t.u.f., che a seguito della modifica recata dalla L. n. 62 del 2005, ha esteso la sua applicazione, in materia di impugnativa giurisdizionale delle sanzioni, all’ambito segnato dal successivo art. 196, includendo nella competenza della corte di appello anche quelle inflitte ai promotori finanziari.
6.7.3. – Non può neppure sottovalutarsi il dato comune che emerge dalle varie disposizioni del t.u.f. in ordine alla competenza della corte di appello sulle opposizioni avverso le sanzioni amministrative contemplate nello stesso testo unico.
Si è già visto quanto dispone l’art. 187-septies, ma ad esso, a seguito della novella recata dal D.Lgs. n. 164 del 2007, si affianca anche l’art. 18-bis t.u.f., che ha istituito la figura dei "consulenti finanziari" e che non solo individua la corte di appello come giudice competente a decidere sull’opposizione avverso le delibere con le quali la CONSOB si pronuncia sulla decisione di sospensione o di radiazione dei "consulenti" dall’albo adottate da apposito organismo, ma che, significativamente, richiama a tal fine la disciplina dettata dai commi da 4 ad 8, art. 195 stesso t.u.f..
6.8. – Il complessivo disegno legislativo di settore, pertanto, intende incentrare nella competenza cognitoria della corte di appello le controversie che abbiano ad oggetto provvedimenti sanzionatori di natura amministrativa e ciò a prescindere dalle forme del rito poi applicabile in relazione a ciascun procedimento.
A questo disegno non si sottraggono, quindi, le sanzioni inflitte ai "promotori", che, come visto, risultano attratte all’anzidetta competenza per una pluralità di ragioni.
Tra queste milita, infine, anche quella che fa leva su evidenti esigenze di razionalizzazione, armoniche rispetto al contesto normativo che si è innanzi evidenziato, attraverso la concentrazione di una determinata tipologia di controversie – quelle aventi ad oggetti i provvedimenti sanzionatori a carattere amministrativo nel settore dei mercati finanziari, siccome disciplinati dal D.Lgs. n. 53 del 1998 – dinanzi ad un unico giudice, la corte di appello, in base a criteri sostanzialmente omogenei di distribuzione territoriale della competenza, tali dunque da rendere detta concentrazione suscettibile di implementare in ciascuna corte distrettuale specifiche e virtuose conoscenze di settore.
Un tale risultato, di portata semplificatoria, appare particolarmente congeniale nello specifico del rapporto tra gli artt. 195 e 196 t.u.f., giacchè la ratlo dell’attrazione alla competenza della corte di appello dell’impugnazione sulle sanzioni sia a carico degli "intermediari", che dei "promotori", è esaltata dalla relazione strumentale tra l’attività del promotore finanziario e la società di intermediazione preponente della quale il primo è collaboratore attraverso l’offerta fuori sede di strumenti finanziari; società che, peraltro, è chiamata non soltanto a rispondere dello stesso operato del promotore che, nell’esercizio dell’attività affidatagli, arrechi danni a terzi (art. 31, comma 3, t.u.f.), ma anche, in solido con esso, al pagamento delle sanzioni pecuniarie.
In definitiva, la competenza della corte di appello è da reputarsi funzionalizzata rispetto ad un collegamento causale tra le attività dei "promotori" e l’esercizio dei servizi di negoziazione di prodotti finanziari per conto terzi da parte della società abilitata preponente.
6.9. – Sebbene esprima una linea interpretativa più generale che, comunque, conforta i risultati conseguiti in questa sede, tuttavia si deve escludere che dalla recentissima sentenza n. 162 del 2012 della Corte costituzionale (in precedenza richiamata) possano mutuarsi indicazioni significative sulla competenza del giudice (ordinario) dell’opposizione alle sanzioni irrogate dalla CONSOB nei confronti dei promotori finanziari e non soltanto perchè essa si occupa della presupposta questione di giurisdizione e non già delle tematiche inerenti alla competenza del medesimo giudice. Infatti, non sembra assumere carattere dirimente la correlazione – ove in ipotesi si intendesse ad essa attribuire specifico rilievo ai fini che interessano – tra art. 196, D.Lgs. n. 58 del 1998, sulle sanzioni ai promotori finanziari, e la "competenza funzionale" della Corte di appello in materia di sanzioni irrogate dalla CONSOB. Tale correlazione, che pur si coglie in una complessiva lettura della motivazione della sentenza, non assurge ad argomento di decisivo sostegno giacchè, ai precipui fini che ci riguardano, perde di consistenza sia alla luce del thema decidendum dello svoltosi giudizio di costituzionalità (nel quale venivano in rilievo sanzioni inflitte dalla CONSOB ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187- ter ed essendo, quindi, riferito il petitutm sulla incostituzionalità della norma abrogatrice alla correlata disposizione in tema di procedura sanzionatoria dettata dall’art. 187- septies e, dunque, ad ambito non pertinente rispetto a quello delle sanzioni nei confronti dei promotori finanziari), sia, soprattutto, in ragione del fatto che la giurisprudenza sulla quale la Corte costituzionale ha ritenuto di ravvisare l’esistenza di un diritto vivente sul radicamento della giurisdizione del giudice ordinario nello specifico settore sanzionatorio, in grado di scardinare (per la riconosciuta lesione del parametro di cui all’art. 76 Cost.) le previsioni dettate dal legislatore delegato del 2010 in materia di giurisdizione del giudice amministrativo, riguarda proprio le pronunce delle Sezioni Unite civili approdate alla soluzione della sussistenza di una competenza del giudice dell’opposizione ex lege n. 689 del 1981, la cui effettività si è visto essersi cristallizzata prima delle riforme di settore intervenute dall’anno 2005 in poi.
6.10. – In conclusione, giova, quindi, enunciare il seguente principio di diritto : "Nel regime determinatosi a seguito della sostituzione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195 ad opera della L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 9, comma 2, lett. c), la competenza a decidere sulle sanzioni applicate dalla CONSOB ai promotori finanziari, in base allo stesso D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 196, spetta alla corte di appello indicata dal comma 4 del citato art. 195".
7. – L’accoglimento del primo motivo consente lo scrutinio sull’individuazione della corte di appello territorialmente competente a decidere sull’opposizione proposta dalla D.C. V..
Si tratta, invero, di quanto richiesto dalla CONSOB con il terzo motivo, il cui esame conduce all’assorbimento del secondo motivo, il quale, a sua volta, propone la delibazione sull’inammissibilità dell’opposizione per asserita tardività della stessa, in ragione di quanto dispone il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 4, su cui, pertanto, dovrà pronunciarsi il giudice di merito che sarà indicato come competente in esito al presente regolamento.
8. – Allorchè fu introdotta dall’interessata l’opposizione alla sanzione della radiazione dall’albo dei promotori finanziari dinanzi alla Corte di appello di Trieste (maggio 2007), la norma in vigore – il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 4 – era, per quanto interessa, del seguente tenore: "… è ammessa opposizione alla corte d’appello del luogo in cui ha sede la società o l’ente cui appartiene l’autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, nel luogo in cui la violazione è stata commessa".
Come già visto, i criteri di competenza territoriale così fissati sono mutati, con effetto dal 1 novembre 2007, a seguito delle modifiche recate dal D.Lgs. n. 164 del 2007, art. 16, comma 6, lett. c), per cui il comma 4, art. 1995 recitava: "…è ammessa opposizione alla corte d’appello del luogo in cui ha la sede o, nel caso di persone fisiche, il domicilio l’autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, del luogo in cui la violazione è stata commessa".
Tuttavia, il D.Lgs. n. 101 del 2009, art. 1 ha nuovamente mutato il comma 4, art. 195 in tema di competenza, nel senso che: "… è ammessa opposizione alla corte d’appello del luogo in cui ha sede la società o l’ente cui appartiene l’autore della violazione ovvero, nei casi in cui tale criterio non sia applicabile, del luogo in cui la violazione è stata commessa".
Tale è la norma attualmente vigente, che riproduce, dunque, quella in vigore in epoca precedente alla novella del 2007, Sicchè, nella specie, non può trovare applicazione (come auspicato dalla CONSOB) il principio della perpetuatici competentiae – secondo il quale, ove sia stato adito un giudice incompetente al momento della proposizione della domanda, non può l’incompetenza essere dichiarata se quel giudice sia diventato competente in forza di legge entrata in vigore nel corso del giudizio (cfr., tra le altre, Cass., sez. 1, 21 dicembre 2004, n. 23801) – in riferimento al criterio di competenza introdotto dal D.Lgs. n. 164 del 2007, art. 16, comma 6, lett. c), giacchè esso è stato superato dall’ulteriore criterio previsto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 101 del 2009, in senso ripristinatorio del criterio esistente al momento della proposizione dell’opposizione da parte del promotore finanziario, che, dunque, occorre applicare come impone l’art. 5 cod. proc. civ..
8.1. – La norma sulla competenza operante nel caso di specie individua un foro principale – quello della sede della società, o dell’ente cui appartiene l’autore della violazione – ed un foro – quello del luogo di commissione della violazione – che, in quanto viene in rilievo soltanto nei casi in cui il primo criterio "non sia applicabile", è da ritenersi ad esso subordinato e non già alternativo. Si tratta, dunque, dell’individuazione, in termini di esclusività e secondo la sequenza appena delineata (foro principale e foro subordinato e residuale), di una competenza territoriale specificatamente prevista dal legislatore per essere funzionale alla decisione sull’opposizione alla sanzione inflitta dalla CONSOB, la quale, dunque, assume carattere di specialità ed inderogabilità, al pari di quanto si ritiene per analoghe previsioni in tema di attribuzione funzionale della competenza (ad es. art. 645 cod. proc. civ.; L. n. 639 del 1981, art. 22).
8.2. – Le ragioni in precedenza illustrate in ordine alla relazione strumentale tra l’attività del promotore finanziario e la società di intermediazione preponente (v. 6.8), da cui il precipuo rilievo che assume proprio la funzionalizzazione della competenza della corte di appello rispetto ad un collegamento causale tra le attività dei "promotori" e l’esercizio dei servizi di negoziazione di prodotti finanziari per conto terzi da parte della società abilitata preponente, consentono, a maggior ragione, di giungere alla conclusione che anche nei confronti del promotore finanziario debba operare il criterio principale di competenza territoriale, operando solo in via subordinata e residuale quello del foro di commissione dell’illecito (ad es. ove si tratti di società con sede all’ estero).
Il carattere di atecnicità del concetto di "appartenenza" – posto che non seleziona di per sè il titolo in base al quale essa si radica (e, del pari, è da intendersi come espressione atecnica quella che connota il legame tra società e promotori espresso dalla locuzione "si avvalgano", presente nell’art. 196, comma 4, t.u.f.) – è tale, infatti, da attrarre nella propria sfera applicativa anche la posizione di coloro che, come i promotori finanziari, operano per la società di intermediazione in guisa di collaboratori monomandatari e, quindi, con un vincolo di esclusività professionale particolarmente accentuato, idoneo, dunque, ad alimentare una situazione di "appartenenza". Del resto, che il concetto di appartenenza sia sganciato da particolari formalità si coglie non solo nel fatto che le sanzioni amministrative del titolo 2 del t.u.f.
riguardano una pluralità di soggetti non certamente tutti legati da rapporto di servizio, o finanche organico, con l’intermediario, ma anche in forza della considerazione, di più diretta correlazione con la posizione dei promotori finanziari, per cui questi ultimi possono essere anche "dipendenti" (o agenti) dell’intermediario medesimo (art. 31 t.u.f.), sicchè non troverebbe ragionevole giustificazione un trattamento differenziato nel far operare il criterio principale di competenza territoriale funzionale (quello del luogo in cui ha sede la società o l’ente) solo in presenza di un rapporto di "dipendenza" (e cioè di un rapporto al quale, formalmente, non potrebbe in nessun caso negarsi il carattere dell’"appartenenza" all’intermediario) e non già soltanto perchè ricorra lo svolgimento di una peculiare attività professionale (quella di promotore finanziario), in favore di detta società o ente, che rappresenta il referente unico ed obbligato rispetto al quale ha ragione di operare il sistema sanzionatorio disciplinato dal t.u.f..
8.3. – Occorre ancora precisare che il criterio competenziale del luogo della sede della società o dell’ente "cui appartiene l’autore della violazione", di cui al comma 4, dell’art. 195 t.u.f., trova applicazione anche nel caso in cui al momento della proposizione dell’opposizione sia venuto meno il legame tra intermediario e promotore, giacchè per apprezzare l’appartenenza del secondo al primo si deve avere riguardo al "momento consumativo dell’illecito", come anche ritenuto da precedente pronuncia di questa Corte che il Collegio condivide (Cass., sez. 2, 16 luglio 2010, n. 16667, la quale, sebbene si sia riferita direttamente alla possibilità di un mutamento medio temporis della sede sociale, ha speso argomenti di portata più generale che ben si attagliano anche alla circostanza, meramente eventuale, del venir meno, dopo la commissione dell’illecito, del requisito dell’"appartenenza"). E’ quello, infatti, il momento in cui si viene a cristallizzare "il legame tra trasgressore, persona giuridica e sede legale della società alla quale far riferimento per la competenza sulle opposizioni alle sanzioni". In tal senso si deve, dunque, interpretare la menzionata norma del comma 4, art. 195, "onde stabilire, secondo la chiara intenzione del legislatore, un criterio di competenza oggettivo e non meramente ambulatorio, che sarebbe potenzialmente lesivo del principio costituzionale della precostituzione del giudice" (così in motivazione la citata Cass. n. 16667 del 2010).
8.4. – E’ dunque opportuno enunciare il seguente principio di diritto: "Il comma 4, art. 195 del D.Lgs. n. 58 del 1998, nel testo vigente prima della modifica ad esso recata dal D.Lgs. n. 164 del 2007, art. 16, comma 6, lett. c), (ed in quello, identico, attualmente vigente, reintrodotto dal D.Lgs. n. 101 del 2009, art. 1), individua un criterio principale di competenza territoriale, funzionale ed inderogabile, della "corte di appello del luogo in cui ha sede la società o l’ente cui appartiene l’autore della violazione", dovendosi apprezzare la sussistenza del menzionato legame di "appartenenza" al momento della commissione dell’illecito amministrativo; al criterio principale anzidetto si aggiunge poi l’ulteriore criterio di collegamento (quello del foro ove la violazione è stata commessa) che opera soltanto in linea subordinata e residuale e cioè ove non sia applicabile il primo criterio. Ne consegue che in relazione alle opposizioni a sanzioni amministrative inflitte dalla CONSOB ai promotori finanziari deve trovare applicazione il criterio principale di competenza territoriale indicato dal citato comma 4, dell’art. 195, dovendo i promotori essere inclusi tra gli autori della violazione che "appartengono" alla società o all’ente".
8.5. – Dagli atti – cui questa Corte ha accesso in ragione della natura del procedimento, di regolazione della competenza, della cui trattazione è investita, ciò implicando poteri di indagine e di valutazione, anche in fatto, in relazione ad ogni elemento utile acquisito al processo, al fine di individuare definitivamente il giudice competente (tra le altre, Cass. sez. lav., 24 agosto 2007, n. 13040) – risulta che l’illecito amministrativo che ha dato origine alla sanzione inflitta dalla CONSOB alla D.C.V. si è consumato nel periodo dicembre 2003/gennaio 2004 allorquando essa ha operato in qualità di promotore finanziario della R. S.p.A., con sede in Milano, con la quale ha cessato il rapporto di collaborazione nel maggio 2004.
Sicchè, alla luce del principio sopra enunciato, la competenza a decidere sull’opposizione proposta dalla stessa D.C.V. avverso la sanzione della radiazione dall’albo dei promotori finanziari spetta alla Corte di appello di Milano, davanti alla quale la causa dovrà essere riassunta nei termini di legge (art. 50 cod. proc. civ.).
8.6. – Il giudice della riassunzione provvederà a regolare le spese anche del presente giudizio.
8.7. – La presente pronuncia è assunta con sentenza in adesione al principio – affermato da Cass., sez. 1, 9 gennaio 2009, n. 287 ed al quale il Collegio intende dare continuità – secondo cui "proprio per effetto della trattazione in pubblica udienza, essendo ormai scisso il legame, istituito dall’art. 375 cod. proc. civ., fra rito camerale e l’ordinanza che ne costituisce il provvedimento conclusivo, l’istanza di regolamento non può che essere decisa con sentenza, tale forma risultando prescritta in via generale per i provvedimenti collegiali destinati a definire il giudizio all’esito di una pubblica udienza di discussione".
P.Q.M.
LA CORTE provvedendo sull’istanza di regolamento ex art. 42 cod. proc. civ. proposta dalla CONSOB, dichiara la competenza della Corte di appello di Milano; cassa la sentenza impugnata, disponendo che il giudice della riassunzione, da effettuarsi nei termini di legge, provveda anche al regolamento delle spese processuali del presente procedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012
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