Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-01-2013) 10-04-2013, n. 16357

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ordinanza del 04/09/2012, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano dispose la misura cautelare della custodia in carcere di B.G. indagato per il reato di partecipazione al sodalizio di tipo mafioso (‘ndrangheta di Seregno), con l’aggravante dell’essere l’associazione armata.

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, ma il Tribunale di Milano, con ordinanza del 04/10/2012, la respinse.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo la contraddittorietà e illogicità della motivazione per quanto riguarda la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; sottolinea, poi, che il Tribunale non ha risposto alle specifiche censure proposte dal ricorrente con memoria difensiva. Per quanto concerne la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori, utilizzate come fonte indiziaria esclusiva a carico dell’indagato, evidenzia una serie di principi di questa Corte su come deve essere accertata la credibilità degli stessi collaboratori e sulla necessità dei riscontri esterni individualizzanti. In particolare per quanto riguarda il collaboratore Be.An. – appartenente a una cosca avversa a quella del B. e che ha effettuato una chiamata de relato sulla base di quanto riferitogli da tale C. G. – sulla valutazione della sua credibilità rileva: 1) il Tribunale nell’affrontare il tema della personalità del Be.

lo definisce "soggetto pressochè incensurato" a fronte di una persona divenuta "capo locale in pochi anni di appartenenza alla ‘ndrangheta" e gravato di una condanna a 7 anni di reclusione; 2) lo stesso rilascia le sue dichiarazioni quando è detenuto con una contestazione relativa all’omicidio di N.C. " N.";

3) è detenuto anche per associazione mafiosa con posizione apicale nel locale di (OMISSIS); 4) ha carichi pendenti per violazione della legge sugli stupefacenti e vari precedenti penali; 5) ha minime disponibilità economiche. Pertanto la decisione di collaborare nasce per le "vicissitudini personali del Be. i cui contorni sfioravano il dramma esistenziale". Il difensore del ricorrente evidenzia che le dichiarazioni del Be. sono incerte e non riscontrate da "elementi individualizzanti".

Il difensore del B. sottolinea che le dichiarazioni del Ca. non possono costituire riscontro a quanto dichiarato dal Be.. Invero ciò che dichiara il Ca. è generico e deve essere "considerato niente di più che personalissime impressioni del collaboratore" e non può certo essere ritenuto riscontro esterno individualizzante. Il difensore dell’indagato rileva, infine, che nel caso di specie manca del tutto la prova della "permanenza nel delitto" e non vi è alcun accertamento sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Il difensore del B. conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata ordinanza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. Infatti il Tribunale -richiamando anche l’ordinanza del G.I.P. – ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi a carico dell’indagato per il reato di cui sopra. Ha infatti ben valutato gli elementi acquisiti e in particolare le dichiarazioni convergenti dei collaboratori di giustizia correttamente ritenute spontanee, credibili e utilizzabili facendo propria la condivisa motivazione sul punto del G.I.P. (si vedano le pagine da 3 a 6, da 8 a 9 impugnata ordinanza per quanto riguarda Be.An., e da 7 a 9 per quanto riguarda Ca.Sa.). Il Tribunale ha cosi – richiamando, anche, la condivisa motivazione del G.I.P. e in linea con i principi giurisprudenziali affermati, sul punto, da questo Supremo Collegio (ad esempio: Sez. U, Sentenza n. 1653 del 21/10/1992 Ud. – dep. 22/02/1993 – Rv. 192470; Sez. U, Sentenza n. 36267 del 30/05/2006 Cc. – dep. 31/10/2006 – Rv. 234598) – ben evidenziato come i collaboratori di cui sopra siano assolutamente attendibili sotto il profilo intrinseco e nessuno di essi pare animato da intenti calunniosi. Il Tribunale ha, poi, rilevato – in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte citata (Sez. 6^, Sentenza n. 7627 del 31/01/1996 Ud. – dep. 30/07/1996 – Rv. 206588) – l’importante valenza dimostrativa delle chiamate di correo convergenti. Il Tribunale da tutto quanto sopra esposto ricava, correttamente, anche l’attendibilità estrinseca delle dichiarazioni.

Si deve rilevare in proposito che le dichiarazioni accusatorie rese da imputati dello stesso reato ovvero di reato connesso o interprobatoriamente collegato, per costituire prova, possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che siano dotate ciascuna di intrinseca attendibilità, soggettiva ed oggettiva, e (in assenza di specifici elementi atti a far ragionevolmente sospettare accordi fraudolenti o reciproche suggestioni), risultino concordanti sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto (si veda, tra le tante, ad es.: Sez. 1^, Sentenza n. 1263 del 20/10/2006 Ud. – dep. 18/01/2007 – Rv. 235800).

Infine, si deve rilevare che sia il Tribunale, sia il G.I.P., hanno – correttamente – valutato le dichiarazioni dei chiamanti in correità secondo il canone previsto dall’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, – richiamato dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, – e hanno specificamente indicato le emergenze investigative che corroborano, ulteriormente, le dichiarazioni di cui sopra (accertamenti P.G.; si vedano comunque le pagine da 9 a 11 dell’impugnata ordinanza).

L’accurata analisi del materiale probatorio effettuata dal Tribunale non viene scalfita dalle generiche doglianze del ricorrente, che si fondono solo su mere congetture e su circostanze affermate apoditticamente. Emblematica, in tal senso, è la genericissima doglianza contenuta a pagina 2 del ricorso ove si afferma che il Tribunale non ha risposto "alle specifiche censure mosse in sede di memoria difensiva", senza, però, evidenziarne neppure una nel ricorso violando, cosi, il principio della necessaria autosufficienza del ricorso più volte affermato da questa Suprema Corte (Sez. 6^, Sentenza n. 45036 del 02/12/2010 Ud. – dep. 22/12/2010 – Rv. 249035).

Inoltre per quanto riguarda le dichiarazioni di Be. che sarebbero state apprese da tale C.G. – e quindi sarebbero de relato – si deve tener presente che, invece, nell’ordinanza si evidenzia che il Be. ha direttamente constatato una serie di comportamenti del B. sicuramente rappresentativi del suo consapevole ruolo di stretto collaboratore tuttofare di S.A. con importanti contatti con il referente calabrese dello S., G.G. (si vedano, oltre le pagine già sopra richiamate, la pagina 13 dell’impugnata ordinanza). Si deve, in ogni caso, sottolineare che sono, comunque, direttamente utilizzabili le dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia su circostanze apprese in relazione al ruolo di vertice del sodalizio criminoso di appartenenza e derivanti da patrimonio conoscitivo costituito da un flusso circolare di informazioni relative a fatti di interesse comune degli associati, in quanto non assimilabili nè a dichiarazioni "de relato", utilizzabili solo attraverso la particolare procedura di cui all’art. 195 c.p.p., nè alle cosiddette "voci correnti nel pubblico" delle quali la legge prevede l’inutilizzabilità (Sez. 5^, Sentenza n. 4977 del 08/10/2009 Ud. – dep. 08/02/2010 – Rv. 245579).

Per quanto riguarda, poi, le censure (di cui ai punti da 1 a 5 di cui sopra) sull’analisi condotta dal Tribunale per accertare la credibilità del Be. si deve sottolineare che il Giudice di merito evidenzia tutti gli elementi relativi al propalante (ivi compresa la condanna a 7 anni di reclusione; si veda pag. 4 dell’ordinanza) che non sono affatto in contrasto con quanto evidenziato nel ricorso.

Per quanto riguarda l’importanza delle dichiarazioni di Ca.

il Tribunale, come già detto, evidenzia tutti i fatti concreti che confermano la consapevole partecipazione del B. al gruppo ‘ndranghetistico di S.A. (si vedano, oltre le pagine già sopra richiamate, le pagine 13 e 14 dell’impugnata ordinanza).

Per quanto riguarda la permanenza della partecipazione del B. all’associazione mafiosa si deve rilevare che il Tribunale l’ha evidenziata in modo incensurabile (si vedano, oltre le pagine già sopra richiamate, la pagina 14 dell’impugnata ordinanza).

Si deve sottolineare che il Tribunale a differenza di quanto sostenuto nel ricorso indica il ruolo del ricorrente nell’ambito dell’associazione (ad esempio: procurava macchine e moto rubate ed armi al gruppo mafioso, si veda pag. 9 dell’impugnato provvedimento;

ha ospitato un amico del G. coinvolto in un omicidio a (OMISSIS) si veda la pag. 11 dell’impugnata ordinanza). Si deve, comunque, ricordare in proposito che per i reati associativi, il "thema decidendum" riguarda la condotta di partecipazione o direzione, con stabile e volontaria compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio: ne consegue che le dichiarazioni dei collaboratori o l’elemento di riscontro individualizzante non devono necessariamente riguardare singole attività attribuite all’accusato, giacchè il "fatto" da dimostrare non è il singolo comportamento dell’associato bensì la sua appartenenza al sodalizio (Sez. 2^, Sentenza n. 23687 del 03/05/2012 Ud. – dep. 14/06/2012 – Rv. 253221).

A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il ricorrente contrappone, quindi, solo generiche contestazioni in fatto.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2013

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