Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-01-2013) 10-04-2013, n. 16355

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ordinanza del 04/09/2012, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano dispose la misura cautelare della custodia in carcere di C.U. indagato per il reato di partecipazione al sodalizio di tipo mafioso (‘ndrangheta di Seregno).

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, ma il Tribunale di Milano, con ordinanza del 28/09/2012, la respinse.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo la carenza e illogicità della motivazione sulla qualificazione della ritenuta condotta associativa del C., l’omessa risposta del Tribunale alle doglianze della difesa e, infine, l’erronea o inadeguata valutazione delle dichiarazioni accusatorie provenienti da imputato di reato connesso. In particolare si evidenzia che il collaboratore di giustizia B.A. si limita a dire genericamente che l’indagato – tra l’altro detenuto dal 2003 al 2009, in regime di semilibertà fino al 24.03.2010 e poi affidato in prova al servizio sociale, benefici questi incompatibili per chi ha legami con la criminalità organizzata – era partecipe dell’associazione senza specificarne il ruolo o descrivere idonee circostanze sintomatiche della ritenuta condotta partecipativa. Nè la scarna dichiarazione dell’altro collaboratore – P.M., che dichiara di non aver mai conosciuto C.U. – apporta un contributo determinante a quanto sopra; infatti il P. si limita ad affermare di aver appreso dal B. solo che questi aveva informato il ricorrente che lo stesso P. aveva assunto "la carica di capo società del locale di (OMISSIS)". Notizia questa: mai riferita dal B.; appresa de relato dalla stessa fonte da riscontrare; e che, comunque, non fornisce alcun riscontro sulla pretesa intraneità del ricorrente nell’associazione, sul suo ruolo, condotta o carica rivestita. Il difensore del C. sottolinea, poi, la stranezza del fatto che uno come P. – soggetto da anni pienamente inserito in posizione di vertice nella "locale di (OMISSIS), che si vuole in stretto contatto con quello di (OMISSIS)" – non abbia potuto riferire nulla di più di quanto sopra ricordato. A pagina 6 del ricorso si evidenziano ulteriori dichiarazioni del B. che a giudizio del ricorrente sono del tutto ininfluenti rispetto al tema di prova (ad esempio: conoscenza del ricorrente del progetto di uccidere gli S. ritenuti gli autori dell’omicidio del fratello R.; la generica e non riscontrata affermazione del B. che il ricorrente era il braccio destro del fratello).

Infine, il ricorrente sottolinea che nell’impugnato provvedimento non viene evidenziato alcun riscontro oggettivo che possa confermare quanto genericamente riferito dai collaboratori di giustizia; nè possono essere considerati tali, quelli valorizzati dal Tribunale e criticati alle pagine da 8 a 10 del ricorso (ad esempio: vincoli parentali con altri coindagati; la presenza del ricorrente, insieme ai cugini, ad un incontro con due soggetti non identificati; i precedenti remoti per detenzione di una pistola e spaccio di sostanze stupefacenti; la conoscenza di un importante investimento da parte del fratello R., poi, ucciso; nè il recupero di un credito del fratello).

Il difensore del C.U. conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata ordinanza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato. Infatti il Tribunale – richiamando anche l’ordinanza del G.I.P. – ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi a carico dell’indagato per il reato di cui sopra. Ha, infatti, ben valutato gli elementi acquisiti e in particolare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia B. correttamente ritenute spontanee, credibili e utilizzabili facendo propria la condivisa motivazione sul punto del G.I.P. (si vedano: la pagina 3; le pagine da 4 a 6 e da 8 a 9 impugnata ordinanza). Il Tribunale ha così – richiamando, anche, la condivisa motivazione del G.I.P. e in linea con i principi giurisprudenziali affermati, sul punto, da questo Supremo Collegio (ad esempio: Sez. U, Sentenza n. 1653 del 21/10/1992 Ud. – dep. 22/02/1993 – Rv. 192470; Sez. U, Sentenza n. 36267 del 30/05/2006 CC. – dep. 31/10/2006 – Rv. 234598) – ben evidenziato come il collaboratore di cui sopra sia assolutamente attendibile sotto il profilo intrinseco e non pare animato da intenti calunniosi. Il Tribunale da tutto quanto sopra esposto ricava, correttamente, anche l’attendibilità estrinseca delle dichiarazioni.

Infine, si deve rilevare che sia il Tribunale, sia il G.I.P., hanno – correttamente – valutato le dichiarazioni del chiamante in correità secondo il canone previsto dall’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, – richiamato dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, – e hanno specificamente indicato le emergenze investigative che corroborano le dichiarazioni di cui sopra (intercettazioni conversazioni;

accertamenti P.G.; dichiarazioni dell’altro pentito P. M.; si vedano comunque le pagine da 9 a 13 dell’impugnata ordinanza). L’accurata analisi del materiale probatorio effettuata dal Tribunale non viene scalfita dalle generiche doglianze del ricorrente, che si fondono solo su mere congetture e su circostanze affermate apoditticamente. Emblematica, a tal proposito, la generica rimostranza su una presunta omessa risposta del Tribunale alle lamentele della difesa che non vengono, però, specificate. L’unico argomento per il quale viene indicata una carenza motivazionale è quello relativo alle dichiarazioni del pentito P.. A tal proposito si deve rilevare che nell’ordinanza sono, invece, evidenziati ampiamente tutti gli elementi utili per comprendere perchè i Giudici di merito hanno ritenuto importanti e utili le dichiarazioni del P. (pagina 3; le pagine da 6 a 7; la pagina 13). In particolare il Tribunale evidenzia che le dichiarazioni del P. sono sostanzialmente coincidenti con quelle di B. per quanto specificamente attiene alla struttura della locale di (OMISSIS), all’identità degli affiliati, ai summit che si sono svolti nel periodo compreso tra la fine del 2008 e il mese di luglio 2010 (quando il B. è stato arrestato), alle armi in dotazione alla locale. Il Tribunale sottolinea, poi, che tale coincidenza nelle dichiarazioni tra i due collaboratori rafforza la credibilità del B. perchè allorchè il P. riferiva quanto sopra le dichiarazioni del B. erano ancora coperte da segreto istruttorie (si veda pagina 7 dell’impugnata ordinanza). Il Tribunale rileva, infine, che le dichiarazioni accusatorie del B. nei confronti del ricorrente sono riscontrate dal fatto che il P. riferisce di aver appreso dallo stesso B. che questi aveva informato il C.U. (da poco scarcerato e sottoposto a degli obblighi) della nomina del P. a capo della locale di (OMISSIS) (si veda pagina 13 dell’impugnato provvedimento). Nè queste dichiarazioni possono essere considerate del relato. Invero, il P. con le sue affermazioni conferma che il B. conosceva – ben prima del suo pentimento – il ruolo di rilievo che il ricorrente ricopriva nella locale contigua a quella sua e del P. (si veda sempre pag. 13). Il Tribunale ha, poi, rilevato – in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte citata (Sez. 6^, Sentenza n. 7627 del 31/01/1996 Ud. – dep. 30/07/1996 – Rv. 206588) – l’importante valenza dimostrativa delle chiamate di correo convergenti. Si deve evidenziare in proposito che le dichiarazioni accusatorie rese da imputati dello stesso reato ovvero di reato connesso o interprobatoriamente collegato, per costituire prova, possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che siano dotate ciascuna di intrinseca attendibilità, soggettiva ed oggetti va, e (in assenza di specifici elementi atti a far ragionevolmente sospettare accordi fraudolenti o reciproche suggestioni), risultino concordanti sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto (si veda, tra le tante, ad es.: Sez. 1^, Sentenza n. 1263 del 20/10/2006 Ud. – dep. 18/01/2007 – Rv. 235800). Si deve, in ogni caso, sottolineare che sono, comunque, direttamente utilizzabili le dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia su circostanze apprese in relazione al ruolo di vertice del sodalizio criminoso di appartenenza e derivanti da patrimonio conoscitivo costituito da un flusso circolare di informazioni relative a fatti di interesse comune degli associati, in quanto non assimilabili nè a dichiarazioni "de relato", utilizzabili solo attraverso la particolare procedura di cui all’art. 195 c.p.p., nè alle cosiddette "voci correnti nel pubblico" delle quali la legge prevede l’inutilizzabilità (Sez. 5^, Sentenza n. 4977 del 08/10/2009 Ud. – dep. 08/02/2010-Rv. 245579).

Il Tribunale fornisce, poi, una motivazione incensurabile sul perchè il B. non può precisare il ruolo ("la dote" comunque elevata) del ricorrente (si veda pag. 10 dell’impugnato provvedimento) anche se lo stesso collaboratore indica il ricorrente come "una figura molto importante" che non prendeva parte alle riunioni per il suo status – prima di semilibero e poi dai affidato – che lo limitava nei movimenti e lo esponeva a controlli; il B. indica, anche, "le circostanze sintomatiche della ritenuta condotta partecipativa" (si vedano le pagine 9 e 10 dell’impugnato provvedimento), apoditticamente ritenute dal difensore del C. ininfluenti sul tema di prova. Dalla lettura della motivazione del Tribunale si comprende chiaramente perchè P. non ha fornito sul ricorrente molti particolari;

infatti a pagina 6 dell’ordinanza impugnata si legge che " P. prima delle dichiarazioni di B. era totalmente sconosciuto agli inquirenti, anche perchè…egli a differenza degli altri, faceva una vita piuttosto ritirata, non frequentava mai gli altri affilati al di fuori delle periodiche riunioni di ‘ndrangheta…".

Infine, il Tribunale, come già rilevato, fornisce una congrua, logica e non contraddittoria motivazione sui riscontri (si vedano, in particolare le pagine da 9 a 13) contrastati dal ricorrente solo con una diversa e apodittica interpretazione dei fatti e delle intercettazioni. E’ il caso di ricordare, in proposito, che nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4^ sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il ricorrente contrappone, quindi, solo generiche contestazioni in fatto. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2013

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