Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-07-2012, n. 13722

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Svolgimento del processo
Con citazione del 22/5/1993 R.M. conveniva in giudizio la A. S. s.r.l., la B. s.r.l., la T. e D. s.r.l., T.A. e B.G. quale titolare della ditta G.B.M. e ne chiedeva la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti per immissioni intollerabili delle quali chiedeva l’immediata cessazione.
In fatto esponeva:
– di essere proprietaria di una casa posta in via (OMISSIS);
– che la T. e D. s.r.l. e T.A. erano proprietari di terreni e capannoni circostanti la propria casa;
– che prima la A. S. s.r.l. e poi la B.R.T. che era succeduta alla prima nella stessa attività e con gli stessi soci, svolgevano attività di segagione del marmo provocando immissioni di rumori e vibrazioni intollerabili; la seconda era stata costituita, a dire dell’attrice, allo scopo di eludere le statuizioni di precedente sentenza passata in giudicato che aveva accertato l’intollerabilità delle immissioni della prima;
– che nei piazzali circostanti era inoltre svolta dalla ditta G.B.M. di B.G. una collegata attività di deposito e trasporto che provocava, per la movimentazione dei materiali e il passaggio dei mezzi di trasporto, immissioni rumorose e meccaniche;
– che la T. e D. s.r.l. e T.A. erano responsabili in quanto, quali proprietari dei terreni, avevano consentito lo svolgimento delle attività che avevano provocato le immissioni dannose.
I convenuti si costituivano e contestavano la fondatezza delle domande; la T. e D. s.r.l., T.A. contestavano, inoltre, la loro responsabilità in quanto, essendo meri proprietari, non erano autori del fatto dannoso.
Con sentenza dell’8/7/2005 il Tribunale di Massa, espletata una CTU sulle immissioni e poi rinnovata con altro consulente, espletata CTU medica e altra C.T. tecnica per la liquidazione dei danni, dichiarava la responsabilità solidale di tutti i convenuti che condannava al risarcimento del danno biologico permanente (Euro 6.000) e temporaneo (Euro 5.000), del danno morale (Euro 10.000), del danno esistenziale (Euro 10.000) e dei danni all’immobile (Euro 21.000), oltre alle pronunce consequenziali anche in punto spese.
la T. e D. s.r.l. e T.A. proponevano appello al quale resisteva la R. che proponeva appello incidentale si costituiva e proponeva appello incidentale anche B.G. che chiedeva il rigetto delle domande della R. e, in subordine, la riduzione del risarcimento liquidato in primo grado;
rimanevano contumaci la B. s.r.l. e il fallimento della A. S., nei cui confronti la causa, interrotta per fallimento della soc. A. S., era poi proseguita.
Con sentenza in data 1/3/2008 la Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza appellata:
– dichiarava l’improcedibilità della domanda risarcitoria proposta nei confronti del Fallimento A. S.;
– respingeva la domanda risarcitoria proposta dalla R. contro il B.;
– escludeva il risarcimento del danno biologico da temporanea e del danno esistenziale;
– riduceva l’importo del risarcimento per danni all’immobile;
– compensava le spese tra la R. e il fallimento;
– condannava la R. al pagamento delle spese nei confronti di B. e le compensava per 1/3 tra la R. e le due controparti T. e D. s.r.l. e T.A. che condannava a rifondere all’attrice i restanti due terzi.
La Corte distrettuale rileva che:
– che nei confronti del fallimento A. C. (essendo stato proposto appello dalla R. anche nei suoi confronti) non possono essere proposte domande risarcitorie con rito diverso da quello previsto per i crediti concorsuali e che pertanto deve essere dichiarata l’improcedibilità della domanda, trattandosi di vizio attinente al rito prescelto per la proposizione della domanda rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento;
– che l’area nella quale si trova l’immobile della R. non rientra nella classe II del D.P.C.M. 1 marzo 1991, sui limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e negli ambienti esterni, ma nella classe IV, prevista per le aree di intensa attività umana, e interessate da intenso traffico veicolare, con elevata presenza di attività commerciali e artigianali;
– che infatti le due strade tra le quali è posizionato l’immobile della R., pur residenziali, non possono considerarsi un’area, dovendosi attribuire a tale termine, dimensione più ampia e non limitata a poche decine di metri (la Corte di Appello, a questo punto, segnala le modeste distanze dell’edificio da una strada ad alto traffico e da una segheria, nonchè la classificazione nel PRG quale zona densamente edificata e la presenza di attività artigianali);
– che considerati i livelli di rumorosità accertati, applicati i criteri differenziali e la riduzione di 3 DB per il rumore a tempo parziale, tenuto conto del limite di 65 DB previsto per la classe IV, deve ritenersi insussistente il superamento della soglia della normale tollerabilità e anche il fatto ingiusto che possa giustificare un risarcimento ex art. 2043 c.c.;
– che pertanto è infondata la domanda proposta contro il B., non essendovi neppure la prova della provenienza dei rumori dalla sua attività ed essendo stata addirittura contestata dal B., che si dichiara semplice cliente della A. S., la disponibilità di mezzi per la movimentazione dei materiali;
– che per le ragioni sovra esposte sono altresì infondate le pretese risarcitorie nei confronti dei convenuti in relazione alle immissioni di rumore;
– che è invece fondata la domanda risarcitoria nei confronti di T.A. e della soc. T. e D. per danni subiti per gli scuotimenti e le vibrazioni provocate dalla sua attività;
– che nella liquidazione del danno il Tribunale ha errato facendo corrispondere alla somma in lire determinata dal CTU la stessa somma, ma in Euro, senza operare la conversione lira/Euro e non potendosi ritenere applicata la rivalutazione, che, comunque va applicata sull’importo liquidato con riferimento alla data del 18/0/1988 e, quindi, da tale data;
– che per aggravamento di precedenti patologie, provocato dalla prolungata esposizione alle vibrazioni deve essere altresì liquidato un danno biologico permanente del 6%;
– che nulla è dovuto per danno biologico da invalidità temporanea, trattandosi di danno non prodotto da un evento traumatico o morboso;
– che il danno morale deve essere riconosciuto, ma ridotto nel quantum e liquidato nella stessa misura del danno biologico;
– che non è dovuto il risarcimento del danno esistenziale trattandosi di duplicazione del danno biologico e di quello morale quanto al disagio pregiudicante le aspettative esistenziali e la riduzione della capacità di estrinsecare la propria personalità e mancando elementi idonei a dimostrare l’esistenza di un danno ulteriore rispetto a quello biologico e morale.
R.M. propone ricorso affidato a sette motivi illustrati con memoria.
Resistono con controricorso T. e D. s.r.l. e T. A.; sono rimasti intimati B. s.r.l., il fallimento A. S. s.r.l. e B.G..
Motivi della decisione
Preliminarmente occorre dichiarare l’inammissibilità del ricorso nei confronti di B. s.r.l. (asserita coobbligata solidale) in quanto non risulta mai notificato alla predetta società, come riconosce la stessa ricorrente con nota del 21/2/2009.
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, con riferimento agli artt. 325, 333 e 334 c.p.c., la violazione del giudicato sulla illiceità delle immissioni e l’omesso rilievo della sopravvenuta inammissibilità degli appelli di T. e D. s.r.l., T.A..
La ricorrente sostiene:
– che i soggetti (B. s.r.l. e poi A. S. s.r.l.) riconosciuti in primo grado autori delle immissioni non hanno proposto appello;
– che pertanto sulla illiceità delle immissioni si è formato il giudicato;
– che, infatti, T. e D. s.r.l., T.A., quali proprietari delle aree dove si svolgevano le lavorazioni rumorose, si erano difesi in primo grado asserendo di non essere responsabili in quanto proprietari e non autori della condotta asseritamente illecita;
– che il mancato appello sulla responsabilità diretta da parte degli autori delle immissioni determina il formarsi del giudicato sulla loro responsabilità in quanto la responsabilità degli autori e la responsabilità dei proprietari si fonda su due titoli di diversi, uno per responsabilità diretta e uno per responsabilità indiretta;
la responsabilità diretta degli autori della condotta illecita non è stata da questi impugnata.
La ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "dica la Corte se il giudice di appello ha errato pronunziando, con violazione degli articoli enunziati in epigrafe, sugli appelli dei condebitori proprietari contro il capo della sentenza di primo grado che dichiarava i condebitori gestori responsabili di immissioni illecite in quanto capo passato in giudicato formale e sostanziale con effetto per tute le parti in causa".
1.1 Il motivo è infondato e deve essere rigettato.
Occorre premettere che non è in discussione il principio per il quale il vincolo solidale nell’adempimento dell’obbligazione anche risarcitoria non incide sull’autonomia e indipendenza dei rapporti sostanziali tra il creditore e ciascun obbligato con la conseguenza che la mancata impugnazione da parte di uno dei debitori solidali, soccombenti in un rapporto obbligatorio scindibile, qual è quello derivante dalla solidarietà, determina il passaggio in giudicato della sentenza nei suoi confronti, ancorchè altri condebitori solidali l’abbiano impugnata e ne abbiano ottenuto l’annullamento o la riforma (cfr. Cass. civ., Sez. 2A, 29/01/2007, n. 1779).
Tuttavia l’attrice odierna ricorrente ha agito nei confronti di tutti i condebitori in solido sul presupposto dell’unicità del fatto che, ai sensi dell’art. 2055 c.c., ha prodotto responsabilità solidale tra gli autori dell’illecito.
T. e D. s.r.l., T.A., quali proprietari delle aree non hanno concorso nella causazione del fatto con distinte azioni, ma l’azione produttiva del danno (l’immissione dei rumori) è stata unica e i predetti sono concorrenti (per omissione) in quella unica azione.
Viene pertanto meno lo stesso presupposto di fatto della censura.
Il soggetto convenuto quale responsabile solidale del danno in quanto concorrente può, quindi, difendersi non solo contestando il suo concorso, ma anche contestando la sussistenza del fatto dannoso.
Tale difesa, così come poteva essere esercitata in primo grado, poteva essere esercitata in appello (con le preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c., qui non in contestazione) avendone gli appellanti interesse in quanto proprio la condotta violatrice degli autori delle immissioni costituiva il fondamento della loro responsabilità in quanto concorrenti nella loro condotta.
Nessun giudicato, quindi, poteva formarsi nei confronti dei concorrenti nell’illecito che tempestivamente hanno appellato la sentenza deducendo l’assenza del fatto dannoso (le immissioni pregiudizievoli) denunciato dall’attrice e che la stessa attrice loro addebitava con l’appello incidentale così che la loro responsabilità, anche sotto tale ulteriore profilo, apparteneva al thema decidendi del giudizio di appello.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione e sostiene.
– che la prima CTU sulle immissioni, era stata implicitamente ritenuta inattendibile dal primo giudice che aveva disposto una rinnovazione affidata ad altro CTU;
– che la decisione per la quale erano stati ritenuti non superati i limiti fissati per le immissioni sonore era fondata sull’applicazione dei limiti previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991, per le aree di classe IV invece che di classe II; infatti la Corte territoriale aveva ritenuto che l’immobile della R. si trovasse in un’area avente le caratteristiche previste la classe IV;
– che tale conclusione era erronea perchè nella classe IV era contemplata la presenza di piccole industrie e di attività artigianali, mentre tale non poteva essere definito l’impianto industriale per il taglio del marmo della A. S.;
– che pertanto la vicinanza dell’industria della A. S. non doveva essere considerata per l’individuazione dell’area in quanto ben poteva, l’impianto trovarsi in un’area contigua, posto che il citato DPCM non esclude la possibilità che l’area appartenente ad una categoria possa confinare con l’area appartenente ad una diversa categoria e il rumore prodotto in un’area può rientrare nei parametri fissati per tale area, ma non nei parametri fissati per l’area contigua;
– che le immissioni erano state considerate eccedenti la normale tollerabilità con due ordinanze comunali del 1985, con una sentenza del 1991, con un provvedimento di urgenza del 1995, confermato in sede di reclamo. Conclude il motivo osservando che la motivazione non è congrua rispetto alla fattispecie oggetto di causa, non essendo "consapevole" di dati presenti in atti quali la "rimozione del primo CTU per inadeguatezza, la esatta qualità da riconoscere all’impianto de quo, se industriale o artigianale, la insufficienza e lacune della limitazione per classi operata dalla fonte amministrativa, non sottovalutati, ma proprio ignorati ai fini del decidere".
2.1 Il motivo è manifestamente infondato perchè:
– il giudice di appello ha dato conto delle caratteristiche previste per l’inserimento nella classe II (traffico veicolare locale, bassa densità di popolazione, limitata presenza di attività commerciali, assenza di attività industriali e artigianali) e di quelle previste per la classe IV (intensa attività umana, intenso traffico veicolare, alta densità di popolazione, elevata presenza di attività commerciali e uffici, con presenza di attività artigianali, prossimità a strade di grande comunicazione…aree con limitata presenza di piccole industrie);
– dopo la corretta ricognizione del dato normativo il giudice di appello ha escluso che l’immobile della R. potesse considerarsi ubicato nella zona residenziale di cui alla classe II perchè a 190 metri da una strada ad alto traffico veicolare, a 130 metri da una segheria e a 40 metri da altra segheria "oltre che essere prossima alla A. S."; inoltre, secondo il PRG l’immobile era ubicato in zona densamente edificata e ad elevata densità abitativa con la presenza di attività artigianali;
– pertanto, non solo la motivazione risulta completa e comprensibile, ma addirittura risulta evidente l’impossibilità di attribuire i caratteri di zona residenziale alla zona nella quale è ubicato l’immobile dell’attrice;
– per contro risultano irrilevanti le considerazioni circa precedenti provvedimenti o sentenze (non aventi efficacia di giudicato e dei quali non si conosce la motivazione) e in parte addirittura anteriori all’inizio della presente controversia, così come l’ingiustificato rilievo attribuito alla frase "oltre che essere prossima alla A. S." che compare in sentenza, perchè questa frase non significa che il giudice di appello ha voluto attribuire la classe IV all’area di ubicazione dell’immobile perchè "prossimo" alla A. S., dovendosi invece considerare che l’individuazione della classe è motivata sulla base dei ben più solidi argomenti di cui si è detto.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., e il vizio di motivazione e sostiene:
– che il B., movimentando due gru a carro ponte e automezzi provocava sia immissioni sonore che vibrazioni nocive;
– che era erronea l’affermazione per la quale l’attrice non aveva assolto l’onere probatorio;
– che invece i danni da vibrazioni erano riconosciuti dalla stessa sentenza;
– che il B. non era un semplice cliente della A. S., ma ne era amministratore unico e socio, così come era amministratore unico e socio della precedente B.;
– che la Corte di Appello non aveva valutato elementi di prova liberamente valutabili quali le risultanze delle relazioni del CTU Valente e la relazione dell’ausiliare del CTU ing. M..
La ricorrente conclude l’esposizione del motivo con un quesito di diritto volto a stabilire se può assolversi l’onere probatorio invocando risultati di indagini commesse dal giudice al CTU, esposti nella sua relazione, liberamente utilizzabile e valutabile ex artt. 115 e 116 c.p.c., e individua il fatto controverso nella partecipazione o meno del B. alla causazione dei danni alla persona e alla proprietà della ricorrente attraverso immissioni da scuotimenti e vibrazioni ed anche da rumore, prodotti dalla sua attività, come titolare della ditta G.B.M..
3.1 Il motivo è infondato. Occorre premettere che nei confronti del B. è stata proposta domanda di risarcimento in proprio quale titolare della ditta GBM B. e, quindi, per tale responsabilità rileva l’attività della ditta e non quella delle società di cui egli era amministratore e che comunque sono state citate in giudizio quali autonomi soggetti.
Con riferimento ai danni da rumore le censure sono inammissibili per irrilevanza essendo stata esclusa l’illiceità delle immissioni rumorose in quanto contenute nei limiti della normale tollerabilità e, sotto questo profilo, il quesito risulta non pertinente.
Con riferimento ai danni da vibrazioni in motivazione la Corte di appello da atto che non v’è neppure prova che al B. appartenessero i mezzi per la movimentazione dei carichi e, in ogni caso è assorbente rilevare che con riferimento alle vibrazioni cagionate dall’attività del B. nel motivo di ricorso non sono nè indicate nè richiamate prove afferenti al tema, ma solo prove riguardanti le immissioni rumorose.
4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 844 e 2043 c.c., in ordine alla reiezione della domanda di risarcimento del danno esistenziale e formula il quesito diretto a stabilire se, ritenuta l’autonomia della figura del danno esistenziale come danno da illecito civile (nella specie extracontrattuale), incorra nella violazione dei citati articoli la sentenza che respinge la domanda risarcitoria del danneggiato sol perchè da lui presentata come caso di danno esistenziale.
4.1 Nella memoria illustrativa la stessa ricorrente dichiara di non volere coltivare questo motivo di ricorso prendendo atto della giurisprudenza di questa Corte.
Questa corte a S.U. (Cass. S.U. 11/11/2008 n. 26972) ha affermato che il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici; quindi è inammissibile, perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d.
estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale, In sostanza, i danni non patrimoniali di cui all’art. 2059 cod. civ. costituiscono un’unica voce di danno, che è però suscettibile di atteggiarsi con varie modalità e secondo molteplici aspetti, nei singoli casi; risulta pertanto incensurabile la decisione della Corte di Appello secondo la quale la liquidazione del danno esistenziale in aggiunta al danno biologico e a quello morale, già congruamente liquidati, costituisca una indebita duplicazione;
il motivo deve quindi essere rigettato.
5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di liquidazione del danno biologico temporaneo; assume che la motivazione è viziata nel suo ritenere impossibile il verificarsi di danno biologico temporaneo in assenza di un fatto dannoso avente in caratteri di un fatto traumatico o morboso realizzato in un momento determinato; individua il fatto controverso nell’asserita "inconcepibilità, nella specie, di un danno biologico temporaneo argomentando per impropria analogia con fattispecie di danni oggettivamente diversi; la insufficienza di questa premessa del ragionamento della Corte rende priva di fondamento la decisione".
5.1 Il motivo è infondato perchè la motivazione sussiste e non è affetta da quei vizi di insufficienza o contraddittorietà considerati dall’art. 360 c.p.c., n. 5; in particolare, la Corte territoriale ha fatto riferimento all’assenza di un evento traumatico o morboso che si realizza in un momento determinato e pertanto, non essendo possibile l’individuazione del momento iniziale dal quale fare decorrere il danno biologico temporaneo non è neppure possibile procedere alla sua liquidazione.
6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione alla conversione (riformata dal giudice di appello) dell’importo dei danni stimato dal CTU in lire e convertito dal giudice di primo grado nello stesso importo, ma in Euro.
La ricorrente sostiene che la Corte di Appello non avrebbe dovuto convertire nuovamente in lire l’importo in Euro determinato dal primo giudice, perchè il primo giudice, così facendo, non era incorso in una "svista", ma, pronunciando dopo sette anni dalla stima del CTU, aveva inteso operare una rivalutazione.
6.1 Il motivo è infondato perchè la motivazione della Corte di Appello esiste ed è sufficiente e non contraddittoria, essendosi giustamente rilevato che non v’era alcun elemento per ritenere che il tribunale avesse inteso rivalutare l’importo perchè si era limitato a riportare in Euro l’importo che il CTU aveva invece indicato in lire.
7. Con il settimo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in relazione alla sua domanda, formulata con appello incidentale, di elevare il risarcimento globale per le tre voci di danno (danno biologico temporaneo, danno morale e danno esistenziale) ad Euro 100.000 e, in particolare lamenta l’incongrua liquidazione di un danno morale di "soli" 6.000 Euro, tenuto conto della durata, della dolorosità della impunita arroganza, della indomita iattanza dei violatori.
7.1 Il motivo è infondato: il giudice di appello ha motivato indicando i parametri di riferimento per il danno morale e ha ritenuto che il danno potesse essere liquidato in somma corrispondente al danno biologico tenuto conto della prolungata esposizione al fatto dannoso; trattasi di valutazione discrezionale ragionevolmente motivata quanto al parametro di riferimento e pertanto insindacabile in questa sede.
8. Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di B. s.r.l.; rigetta per il resto il ricorso e condanna la ricorrente a pagare a controricorrenti le spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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