Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-07-2012, n. 13717

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Svolgimento del processo
Con citazione del 1 Ottobre 1992 la soc. il Q. s.r.l. conveniva in giudizio V.A. e premetteva:
che in data 9/1/1990 aveva stipulato con la convenuta, promissaria acquirente, un preliminare di compravendita di un appartamento (descritto in planimetria allegata al contratto) in fase di ristrutturazione e da suddividersi in due distinte unità;
che aveva provveduto alla ristrutturazione e suddivisione nei termini convenuti;
– che il 19/6/1992 la promissaria acquirente davanti al notaio si rifiutava di sottoscrivere il rogito già predisposto pretendendo che nel contratto fosse previsto un diritto di passaggio a favore della proprietà oggetto del preliminare e a carico di una porzione di balcone che era stata inglobata nella proprietà esclusiva di altro acquirente e non gravata da alcun diritto reale;
– che il diritto di passaggio non era previsto nè dal contratto preliminare, nè dalla planimetria, nè dalla necessità di accesso, assicurata da due distinte entrate che si affacciavano sul pianerottolo comune;
Ciò premesso chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento della promissaria acquirente e la sua condanna al risarcimento del danno e alla restituzione di quanto aveva ricevuto a titolo di canone avendo locato una delle due unità pur in assenza di formale consegna.
La convenuta si costituiva, chiedeva il rigetto delle domande e in via riconvenzionale chiedeva sentenza costitutiva del trasferimento della proprietà ai sensi dell’art. 2932 c.c. esponendo che aveva manifestato per iscritto la sua volontà di stipulare il definitivo, ma la promittente venditrice aveva posto la condizione nuova e non prevista nel preliminare, della chiusura di ogni controversia con il rogito, ossia la rinuncia ad ogni azione giudiziaria.
Con sentenza del 13/12/2002 il Tribunale di Bergamo rigettava la domanda attorea e in accoglimento della riconvenzionale trasferiva alla V. le proprietà immobiliari oggetto del preliminare, ma riduceva in percentuale il prezzo previsto in contratto in accoglimento della domanda quanti minoris proposta per il mancato trasferimento del diritto di passaggio sulla porzione di ballatoio attribuita ad altro acquirente in proprietà esclusiva e per il conseguente deprezzamento del valore della proprietà.
La soc. il Q. proponeva appello al quale resisteva V. A..
La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 23/4/2007 in riforma della sentenza appellata dichiarava risolto il preliminare per inadempimento della V. e condannava la soc. Q. alla restituzione dell’acconto ricevuto dalla promissaria acquirente.
La Corte territoriale rilevava:
che l’edificio, nel suo complesso apparteneva per intero alla soc. Q. e, pertanto "aveva perso significato giuridico" la distinzione tra proprietà esclusiva e proprietà condominiale e non poteva essere applicato l’art. 1117 c.c. che si riferiva a parti dell’edificio destinate ad uso comune.
che pertanto la clausola n. 2 del preliminare, secondo la quale le proprietà erano trasferite con gli eventuali diritti, oneri e obblighi di natura condominiale derivanti dall’atto di provenienza e obblighi futuri derivanti dalla nuova costituzione condominiale, proprio perchè faceva riferimento a diritti eventuali e non certi e agli obblighi futuri e quindi certi derivanti dalla nuova costituzione condominiale doveva essere interpretata nel senso che l’unica proprietaria si era riservata, oltre che la facoltà di mutare la destinazione di uso di parti che in precedenza erano comuni, anche la facoltà di dotare le proprietà di un nuovo regolamento che tenesse conto delle modifiche;
– che comunque l’appellante non aveva prodotto il regolamento dal quale desumere l’uso comune del ballatoio;
– che l’accoglimento del motivo diretto alla pronuncia della risoluzione per inadempimento, ravvisato nell’illegittimo rifiuto di sottoscrivere il rogito, assorbiva la censura relativa all’accoglimento della quanti minoris;
– che la domanda di pagamento dei canoni riscossi dalla V. per la locazione di una delle due unità immobiliari non poteva essere accolta in mancanza di prova sulla locazione, sull’oggetto della stessa, sul canone percepito e non essendo indicati i criteri per determinare il canone legale.
V.A. propone ricorso affidato a tre motivi e deposita memoria.
Resiste con controricorso la soc. il Q. che propone ricorso incidentale affidato a tre motivi e deposita memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 2697 c.c. e sostiene che per stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di proprietà comune occorre fare riferimento al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dall’originario unico proprietario e, in mancanza di un titolo idoneo a escludere la presunzione di bene comune o destinato all’uso comune, la presunzione non può essere superata per facta concludentia; nella specie, non v’era prova di un nuovo regolamento delle parti comuni e, in particolare, non v’era prova che l’atto di vendita dell’unità immobiliare confinante con quella oggetto di causa fosse stato il primo atto di compravendita, con la quale era prevista una diversa regolamentazione delle parti comuni; le parti già comuni, quindi, dovevano restare comuni fino ad una formale diversa disciplina.
Conclude l’illustrazione del motivo con il quesito diretto a stabilire se, al fine di determinare l’oggetto di un contratto preliminare, per verificare il carattere non condominiale di una determinata porzione di edificio, riconducibile alle parti comuni ex art. 1117 c.c., il giudice possa tenere conto di quanto, in deroga all’art. 1117, risulta da un formale titolo idoneo (atto costitutivo del condominio, o successive modifiche) e non possa decidere su indizi o fatti concludenti o sul fatto che in un dato momento la proprietà si è consolidata nelle mani di un unico proprietario con facoltà di configurare un nuovo regolamento condominiale la cui esistenza non è provata in giudizio.
1.1 Il motivo è inammissibile in quanto non attinge la ratio decidendi della sentenza che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, non è affetta, in relazione al motivo di censura, dai "palesi errori giuridici" che essa le addebita, ma è sostenuta da una corretta motivazione.
La Corte di Appello, infatti, ha ritenuto che, a prescindere dal considerare se il ballatoio fosse stato o meno destinato all’uso comune (il che, comunque ha escluso in altra parte della motivazione rilevando che la distinzione tra proprietà esclusiva e proprietà condominiale perdeva significato nel momento in cui l’intero edificio apparteneva ad un unico proprietario), la promittente venditrice si era riservata (evidentemente fino alla vendita) di disciplinare ciò che era parte comune e ciò che non lo era e, quindi, la V. non poteva pretendere il diritto di passaggio sulla parte di ballatoio che non era indicato come oggetto di trasferimento nel preliminare e che non era qualificabile come parte comune in quanto già ceduta in proprietà esclusiva ad altro acquirente.
In altri termini, nell’interpretazione (che non ha formato oggetto di censura) della Corte territoriale, la clausola contrattuale subordinava gli eventuali diritti derivanti dall’atto di provenienza, quanto all’individuazione delle parti condominiali, alla concreta destinazione di uso che sarebbe stata decisa dall’unica proprietaria;
la Corte di appello rilevava inoltre che la promittente venditrice aveva provveduto a modifiche strutturali dell’edificio e alla anteriore vendita dopo l’esecuzione di tali modifiche così che la promissaria acquirente non avrebbe potuto riporre alcun affidamento sulla pregressa condominialità per destinazione all’uso comune di alcune porzioni dell’edificio che sarebbe stata conservata solo in quanto non esclusa dal nuovo assetto del condominio.
Il quesito, pertanto, non è pertinente rispetto alla ratio decidendi della sentenza che, da un lato ha escluso la permanenza della destinazione del ballatoio all’uso comune dopo l’acquisto da parte dell’unico proprietario e, dall’altro, ha ritenuto che per effetto della clausola contrattuale la promittente venditrice si fosse riservata il diritto di non riconoscere la natura condominiale a parti dell’edificio ancorchè in precedenza fossero destinate ad un uso comune.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui afferma che sarebbe stato onere della V. produrre il precedente regolamento condominiale onde dimostrare che il ballatoio in contestazione era di proprietà condominiale e che era destinato all’uso comune.
La ricorrente deduce che anche in mancanza di regolamento condominiale la natura condominiale del ballatoio discendeva direttamente dalla legge ex art. 1117 c.c. essendo necessario all’uso comune e, d’altra parte, la sua condominialità doveva ritenersi pacifica in quanto controparte aveva dichiarato di non avere voluto mantenere comune il ballatoio del secondo piano, implicitamente riconoscendo che in precedenza lo era; in applicazione dell’art. 366 bis c.p.c. individua il fatto controverso dal carattere comune del ballatoio e la contraddittorietà della motivazione nell’avere preteso la prova di un regolamento condominiale attestante il carattere di parte comune del ballatoio quanto tale carattere discendeva dall’art. 1117 c.c..
2.1 Il motivo è inammissibile per irrilevanza per le ragioni già esposte a fondamento della declaratoria di inammissibilità del primo motivo: la Corte territoriale, come detto, ha ritenuto che per espressa previsione contrattuale la promittente venditrice, unica proprietaria, si era riservata il diritto di mutare la destinazione delle parti comuni e ciò, appunto, aveva fatto escludendo la condominialità del ballatoio del piano ove era ubicato l’immobile in contestazione; dal ricorso risulta, infatti, che la promittente venditrice aveva ceduto, in precedenza, la porzione di ballatoio ad altro acquirente in proprietà esclusiva, ossia aveva assegnato al bene una particolare destinazione incompatibile con l’uso comune; la diversa destinazione era tanto evidente che era insorta controversia proprio per affermare l’esistenza di un diritto di passaggio che il precedente atto di vendita aveva escluso.
Pertanto la produzione del precedente regolamento è irrilevante e, alla luce della motivazione della sentenza impugnata, il rigetto delle domande della promissaria acquirente non è fondato solo sulla mancata prova del precedente regolamento, ma anche, con motivazione autonomamente sufficiente a sostenere la decisione, sul venir meno del carattere condominiale del ballatoio dopo l’acquisto da parte dell’unico proprietario, le modifiche strutturali e la precedente vendita (v. supra al paragrafo 1.1).
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. e il vizio di omessa motivazione perchè la risoluzione per inadempimento è stata pronunciata:
senza alcuna valutazione sulla sua "non scarsa importanza", senza alcuna considerazione dell’offerta di adempimento intervenuta anteriormente alla domanda di risoluzione, sulla quale la promittente venditrice aveva espresso accettazione condizionata alla rinuncia, da parte della promissaria acquirente da ogni azione, senza alcuna considerazione della propria domanda riconvenzionale di trasferimento ex art. 2932 c.c. significativa della volontà di adempiere e del fatto che il rifiuto di adempimento, considerato dal giudice come grave inadempimento, non permaneva, senza una valutazione comparativa degli inadempimenti.
Conclude l’illustrazione del motivo con il quesito diretto a stabilire se il giudice, al fine di pronunciare la risoluzione per inadempimento debba verificare la gravita e non scarsa importanza dell’inadempimento con valutazione comparativa degli inadempimenti che le parti si addebitano.
3.1 Il motivo è infondato.
La Corte di appello aveva premesso che la promissaria acquirente, costituendosi, aveva denunciato l’inadempimento della promittente venditrice per essersi sottratta alla stipula ponendo la condizione, nuova e non prevista nel preliminare, della chiusura di ogni controversia con il rogito, ossia la rinuncia ad ogni azione giudiziaria.
Ciò premesso, la Corte di Appello ha ravvisato l’inadempimento della promissaria acquirente nel suo rifiuto a stipulare il rogito e ha escluso che fosse giustificata la pretesa (addotta a giustificazione del rifiuto di stipulare il contratto) di vedere riconosciuta la natura condominiale del ballatoio e il suo diritto di passaggio su di esso.
Ne discende che la V. si era assunta il rischio dell’infondatezza della ragione addotta per sottrarsi alla stipulazione del contratto e della conseguente colpevolezza del suo rifiuto.
Il rifiuto di stipulare il rogito, per contro, costituisce inadempimento dell’obbligazione primaria ed essenziale del preliminare e la non scarsa importanza dell’inadempimento deve considerarsi implicita nell’accertamento dell’inadempimento di tale primaria ed essenziale obbligazione (cfr. Cass. 23/1/2006 n. 1227;
Cass. 17/8/2011 n. 17328; Cass. 28/10/2011 n. 22521); pertanto nessuna ulteriore motivazione era necessaria e, d’altra parte, la volontà della promissaria acquirente di stipulare il contratto a condizioni diverse da quelle pattuite, non può assumere rilevanza alcuna.
4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la controricorrente deduce violazione degli artt. 1453 e 1458 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.; espone che il giudice di appello ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento dei danni subiti per l’inadempimento della promissaria acquirente (che aveva già ricevuto la consegna dell’immobile), pur essendo stati indicati i riferimenti necessari per la liquidazione (l’equivalente pecuniario dell’uso e del godimento del bene nel tempo compreso tra la consegna e la restituzione, con riferimento al tasso del 3,85% del valore dell’immobile); formula il relativo quesito circa l’obbligo del giudice di provvedere sulla domanda risarcitoria del promittente venditore in caso di inadempimento del promissario acquirente che abbia ottenuto l’uso e il godimento del bene.
5. Con il secondo motivo la controricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 e 1226 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. per l’omessa valutazione delle prove raccolte da parte della Corte territoriale, che ha ritenuto non provato che la promittente venditrice avesse locato una delle due unità immobiliare oggetto del preliminare, contrariamente alla testimonianza del teste O. il quale aveva dichiarato di corrispondere un canone per la locazione alla V.; la Corte territoriale non aveva neppure ritenuto di esercitare il potere di valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c..
La ricorrente incidentale formula quesiti diretti a stabilire se costituisce violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. la mancata valutazione delle prove testimoniali e se può essere pronunciata condanna con valutazione equitativa del danno a ristoro del danno riferito al mancato godimento dell’immobile concesso in locazione dalla parte inadempiente.
6. Con il terzo motivo la controricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. perchè la Corte territoriale ha pronunciato condanna alla restituzione dell’acconto di euro 80.567,28 (lire 156.000.000)senza che la restituzione fosse richiesta dalla V.; al riguardo richiama la giurisprudenza di questa Corte (il riferimento è a Cass. 3/2/2006 n. 2439)secondo la quale la declaratoria di risoluzione del contratto, pur comportando, per il suo effetto retroattivo espressamente sancito dall’art. 1458 cod. civ., l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere i relativi provvedimenti restitutori, in assenza di domanda della parte interessata perchè è rimesso all’autonomia delle parti disporre delle conseguenze della risoluzione e, pertanto, chiedere, o no, la restituzione della prestazione eseguita in base al contratto risolto e rimasta senza causa; formula il quesito diretto a stabilire se, in caso di risoluzione del contratto, con effetto retroattivo, il giudice possa emettere i provvedimento restitutori in assenza di domanda di parte.
7.1 I primi due motivi del controricorso devono essere esaminati congiuntamente in quanto riguardano il mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno, rapportato al canone di locazione delle porzioni immobiliari occupate nella vigenza del preliminare risolto per inadempimento; la liquidazione del danno, secondo la società ricorrente doveva essere effettuata:
– sia con riferimento al tasso di rendimento del 3,85% annuo previsto dalla L. n. 372 del 1978 (cd. dell’equo canone) sul valore dell’immobile da considerarsi equivalente al prezzo pattuito (profilo neppure esaminato, con violazione dell’art. 112 c.p.c.);
– sia con riferimento al canone percepito dalla promissaria acquirente per la locazione dell’immobile. La doglianza è fondata quanto al primo motivo del ricorso incidentale.
La promissaria venditrice aveva richiesto il risarcimento del danno sia per il mancato godimento delle due unità abitative nel periodo in cui erano rimaste nella disponibilità della promissoria acquirente inadempiente, sia per il controvalore che questa ne aveva ricavato locandolo.
La Corte di Appello ha correttamente escluso il risarcimento collegato al canone percepito per la locazione di una delle due unità immobiliari non essendo stato neppure indicato il canone che sarebbe stato percepito, nè quale delle due unità immobiliari sarebbe stata locata.
Pertanto il secondo motivo del ricorso incidentale deve essere rigettato.
Tuttavia la Corte territoriale ha completamente omesso di considerare il danno da mancato godimento dell’immobile per il periodo nel quale è rimasto nella disponibilità della promissaria acquirente inadempiente.
Sussiste pertanto il denunciato vizio di omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria con riferimento al danno da occupazione sine titulo e il primo motivo del ricorso incidentale deve essere accolto.
Infatti, come è stato più volte affermato da questa Corte, il promissario acquirente di un immobile, che immesso, nel possesso all’atto della firma del preliminare, si renda inadempiente e provochi la risoluzione del contratto preliminare, è tenuto al richiesta dalla V.) è fondato e deve essere accolto.
La declaratoria di risoluzione del contratto, pur comportando, per il suo effetto retroattivo espressamente sancito dall’art. 1458 c.c., l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere i relativi provvedimenti restitutori, in assenza di domanda della parte interessata perchè rientra nell’autonomia delle parti disporre delle conseguenze della risoluzione e, pertanto, chiedere, o no, la restituzione della prestazione eseguita in base al contratto risolto e rimasta senza causa (Cass. Sez. 1 3/2/2006 n. 2439; Cass. Sez. 2 2/2/2009 n. 2562). Ne discende anche l’irrilevanza della dichiarata disponibilità della promittente venditrice a restituire gli acconti ricevuti, posto che la stessa non può sostituirsi alla sua controparte nel formulare la domanda restitutoria.
9. In conclusione, riuniti il ricorso principale e quello incidentale, deve essere rigettato il ricorso principale e deve essere accolto il primo e il terzo motivo del ricorso incidentale e rigettato il secondo – la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi del ricorso incidentale che sono stati accolti e la causa deve essere rinviata, anche per le spese di questo giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia per la decisione sulla domanda di risarcimento proposta dalla soc. il Q. s.r.l. per il danno da mancato godimento dell’immobile in conseguenza dell’occupazione sine titulo.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso incidentale, cassa, in relazione ai motivi del ricorso incidentale accolti, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.
Così deciso in Roma, il 24 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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