Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 30-01-2013) 02-04-2013, n. 14991

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con sentenza del 20/09/01 il Tribunale di Roma ha dichiarato M.D.P., B.D. e T.A. colpevoli dei reati di costituzione di associazione a delinquere e truffa irrogando a M. e T. la pena di anni 4 di reclusione, al B. la pena di anni 3 mesi 6 di reclusione, al To. la pena di anni 2 mesi 6 di reclusione, oltre la condanna in solido al risarcimento dei danni in favore delle parti civili "S. F." e "S. s.p.a.".
2. Avverso la decisione hanno proposto appello gli imputati e la Corte di Appello di Roma con sentenza resa in data 12/03/04 ha accertato che il delitto associativo riconosciuto al To. ed al T. era già stato giudicato con sentenza irrevocabile della stessa Corte di Appello di Roma in data 5/10/00; ancora, ritenendo che il residuo delitto di truffa continuata (tre episodi) è stato commesso in continuazione con i reati riconosciuti con detta sentenza i giudici di appello hanno determinato un aumento di pena di anni 1 mesi 6 di reclusione ed Euro 200,00 di multa per il T.. La Corte territoriale ha poi confermato la decisione nei confronti del M.. Interposto ricorso in Cassazione, la Corte con decisione del n. 6354/06 ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.D. in ordine al reato di cui all’art. 416 c.p. per precedente giudicato; ha annullato con rinvio la sentenza impugnata nei confronti di T.A. e di B.D. limitatamente alla determinazione della pena per i reati di truffa; ha annullato con rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M.D.P. limitatamente alla circostanza di cui all’art. 62 bis c.p..
3. Con sentenza del 17 giugno 2011 la Corte di Appello di Roma in sede di rinvio, parzialmente riformando la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Roma, per come modificata a sua volta dalla sentenza della Corte di appello di Roma del 12 marzo 2004, determinava in mesi sei di reclusione l’aumento per la continuazione con i reati di cui alla sentenza resa dalla stessa corte in data 5 ottobre 2000 per T.A.; sempre in mesi sei determinava l’aumento per la continuazione con il reato di cui alla sentenza del 12 maggio 2003 resa dalla stesa corte distrettuale per B. D.. Confermava per il resto la sentenza nei confronti del M..
4. Avverso questa sentenza hanno proposto autonomi ricorsi in cassazione T.A., B.D. e M. D.P..
5. T.A. per il tramite dei difensori fiduciari articola due diversi motivi di ricorso.
5.1 Con il primo motivo lamenta violazione di legge avuto riguardo all’art. 133 c.p.p. ed alla L. n. 689 del 1981, art. 53. Segnala in particolare che l’aumento a titolo di continuazione sarebbe stato reso nella specie pretermettendo le difese esposte in appello volte ad un contenimento della pena nei minimi edittali e comunque tesi ad ottenere la conversione in pena pecuniaria; evidenzia al fine che la Corte distrettuale, limitandosi ad una richiamo stereotipato alla gravità della pena non avrebbe preso in considerazione l’effettivo apporto concorsuale del T., il lungo tempo trascorso dal fatto, la personalità dell’imputato, tutti elementi da considerare nel dosare la pena ai sensi dell’art. 133 c.p.p..
5.2 Con il secondo motivo la difesa del T. lamenta violazione di legge avuto riguardo agli artt. 538, 539 e 540 c.p.p. e omessa motivazione in ordine alla chiesta revoca della statuizione di condanna al risarcimento in favore della parte civile S.. La corte distrettuale ha rigettato la richiesta di revoca sul presupposto della estraneità di siffatto tema al perimetro cognitivo delimitato dal rinvio disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento. Ciò tuttavia non considerando che la sentenza passata in giudicato richiamata per fondare il ne bis idem riscontrato dalla cassazione, quanto al reato associativo come anche con riferimento alle ipotesi di truffa ivi considerate, aveva escluso ogni profilo di responsabilità del T. nei confronti della parte civile S.. Con la conseguenza che, mantenendosi ferma la statuizione di condanna resa in primo grado nel presente giudizio, finirebbe per formarsi un inammissibile conflitto di giudicati.
6. I difensori fiduciari di B.D. propongono ricorso articolando una unica doglianza ricondotta alla violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui all’art. 133 c.p.p. e L. n. 689 del 1981, art. 53. Lamentando l’assoluta assenza di motivazione in relazione alla dosimetria della pena; l’erroneo richiamo ai precedenti ascritti al ricorrente posti in essere successivamente alle condotte alle condotte in processo e la pretermissione del dato afferente il risarcimento delle parti civili; ancora l’assenza di riferimenti al ruolo, al tempo trascorso, alla durata della condotta, alla personalità dell’imputato; il tutto in ragione di una mera apparenza motivazionale, tanto nella determinazione della pena quanto nella scelta di non convertire la pena detentiva in pena pecuniaria.
7. M.D.P., per il tramite dei difensori fiduciari articola due motivi di ricorso.
7.1 Con il primo lamenta violazione di legge avuto riguardo agli artt. 129, 531, 648, 649, 624 e 627 c.p.p., artt. 111, 112 e 117 Cost., art. 6 Conv Europea diritti dell’Uomo, art. 461 c.p.. Deduce al fine che la Corte distrettuale non ha accolto, ritenendola estranea al giudizio di rinvio, l’eccezione di giudicato sollevata nell’occasione innanzi alla Corte distrettuale. Precisa al fine che, al pari degli altri coimputati, quanto al reato associativo, anche il ricorrente era stato giudicato e per l’effetto mandato assolto da siffatta contestazione, con conseguente operatività del ne bis in idem, suscettibile di rilievo in ogni stato del processo e dunque anche in cassazione.
7.2 Con il secondo motivo lamenta violazione di legge avuto riguardo all’art. 62 c.p.p. nonchè vizio di motivazione. Segnala che gli elementi addotti a sostegno del denegato riconoscimento delle attenuanti generiche sarebbero oltre che apparenti anche frutto di travisamenti. E così meramente generico si rivela essere il riferimento al precedente citato a sostegno; travisato nel fatto il riconosciuto ruolo di soggetto che ebbe a costituire l’associazione, negato dalle sentenze di merito; generico il riferimento alla gravità del fatto determinata in ragione della entità del nocumento patrimoniale arrecato.
CONSIDERATO IN DIRITTO 8. Dei ricorsi in esame merita l’accoglimento esclusivamente quello del M. limitatamente al ne bis in idem prospettato con riferimento alla sentenza resa dal Tribunale di Roma in data 7 novembre 1998 in punto al reato associativo contestato al capo A della rubrica. Per contro, si sono rilevati manifestamente infondati i motivi sottesi ai ricorsi del T. e del B..
9. Prendendo le mosse dai ricorsi del T. e del B. avuto riguardo ai motivi dagli stessi sollevati con riferimento alla addotta violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui all’art. 133 c.p.p. e L. n. 689 del 1981, art. 53 osserva la Corte come la sentenza impugnata non meriti censura alcuna.
Mette conto di ribadire che nella specie compito della Corte distrettuale era quello di operare l’aumento di pena per la continuazione tra la truffa di cui al capo b della rubrica e la fattispecie associativa giudicata per il T. con sentenza della Corte di Appello di Roma del 5 ottobre 2000 e per il B. con sentenza del 12 maggio 2003. Ciò precisato la Corte ha compiutamente motivato riferendosi alla personalità degli imputati per un verso, ma soprattutto evidenziando la oggettiva gravità del fatto contestato, il danno pecuniario arrecato, indicato in L. 10.000.000.000, le modalità di esecuzione delle condotte e rimarcando, per entrambi, l’abuso del rapporto di prestazione d’opera e per il solo B. la presenza di precedenti (per quel che qui interessa, certamente sussistenti con riferimento a quelli posti in essere precedentemente alla condotta contestata). Lungi dal mostrarsi frutto di formule stereotipe pedissequamente modulate sul tenore letterale del dato di riferimento, la dosimetria della pena pare a questa Corte concretamente e coerentemente effettuata alla stregua degli elementi di cui all’art. 133 c.p.p siccome immediatamente desunti dalla fattispecie in disamina; e ciò tanto più nella specie se si consideri che trattavasi di determinazione di pena in continuazione, ordinariamente assorbita, nel valutare ascritto al decidente, dalle considerazioni rese a supporto della determinazione della pena base, nella specie tuttavia operata in altro processo. Va da sè, infine, che determinata nei termini di cui alla decisione in contestazione la misura della continuazione – id est in misura di mesi sei di reclusione – senza che, per quanto sopra, siffatta valutazione possa ritenersi censurabile in questa sede, risultava preclusa a monte la possibilità di procedere alla chiesta conversione L. n. 689 del 1981, ex art. 53 in pena pecuniaria.
10. Parimenti infondato è il secondo motivo addotto in ricorso dalla difesa del T..
In coerenza con quanto evidenziato dalla Corte distrettuale e a differenza di quanto si dirà da qui a poco con riferimento al ne bis in idem eccepito dal M. (in ragione della applicabilità dell’art. 649 c.p.p., in parte qua non richiamabile), la Corte distrettuale, nel suo operare, non poteva travalicare i limiti tracciati dalla statuizione di annullamento con rinvio.
Coerentemente, dunque, nulla avendo statuito la Corte di cassazione al momento dell’annullamento con rinvio della prima sentenza della Corte di appello di Roma in punto alle conseguenze risarcitorie correlate alla revoca della decisione di condanna in ordine al reato associativo, la decisione qui impugnata ha lasciato immutate siffatta previsione non potendo agire oltre i confini delimitati dal giudizio di rinvio.
11. Diversa è la conclusione da assumere avuto riguardo al primo motivo di ricorso articolato dal M.. In primo luogo osserva la Corte come, grazie alla allegazione difensiva del 14 gennaio 2013, sia pacifico che la condanna per il fatto associativo di cui al capo A risulti coincidere, avuto riguardo al titolo di reato, ai fatti in contestazione ed al periodo di riferimento (addirittura più ampio nel giudicato eccepito, caduto sino a condotte poste i essere a tutto il 1992) con la sentenza di assoluzione resa in data 7 novembre 1998 dal Tribunale di Roma nel procedimento promosso tra gli altri, anche ai danni del ricorrente e distinto dal n. 15001/92 RGNR. Altrettanto incontroverso è il fatto in forza al quale, pur essendo in grado di formulare il relativo rilievo, la difesa non ha mai sollevato, prima dell’odierno ricorso in cassazione la doglianza in esame. Ciò malgrado, ritiene la Corte che il disposto di cui all’art. 649 c.p.p., comma 2 imponga comunque di addivenire all’annullamento della statuizione impugnata in parte qua. Ferma l’idea di fondo in forza alla quale deve ritenersi deducibile nel giudizio di cassazione la preclusione del giudicato formatosi sul medesimo fatto, atteso che la violazione del divieto del "bis in idem" si risolve in un "error in procedendo" che, in quanto tale, consente al giudice di legittimità l’accertamento di fatto dei relativi presupposti (in linea con l’orientamento espresso da questa sezione, cfr Sentenza n. 44484/2009 Rv. 244856), è poi da evidenziarsi che ragioni di economia di giudizio e di coerenza logica del sistema (che consente in qualsiasi stato e grado del processo e finanche in sede di esecuzione di rilevare la questione) portano a ritenere che il ne bis in idem trovi applicazione pur quando, come nella specie, la relativa contestazione non risulti in precedenza sollevata a fronte di altro gravame di legittimità nel medesimo processo in precedenza proposto.
Da qui l’annullamento della decisione impugnata quanto alla condanna resa con riferimento al capo A, giusta il disposto di cui all’art. 649 c.p.p.; annullamento che assorbe l’ulteriore motivo di gravame, occorrendo trasmettere gli atti ad altra sezione della stessa Corte di Appello di Roma per la rideterminazione della pena per la residua ipotesi di reato contestata.
12. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso del T. e del B. consegue la condanna alle spese processuali ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, determinata equitativamente come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti del M., con riferimento al delitto associativo di cui al capo A) perchè l’azione non era procedibile ex art. 649 c.p.p.; dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della stessa Corte di Appello di Roma per rideterminare la misura della pena in relazione al reato residuo di cui al capo b).
Dichiara inammissibili i ricorsi del B. e del T. che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2013

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