Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 30-01-2013) 02-04-2013, n. 14990

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. T.S., per il tramite del suo difensore fiduciario, impugna la sentenza della Corte di Appello di Torino con la quale, confermando la decisione in primo grado assunta dal Tribunale di Ivrea, il T. è stato condannato alla pena di giustizia perchè ritenuto colpevole in ordine al reato ex art. 572 c.p.p. allo steso ascritto (in esso assorbite le altre ipotesi contestate nei diversi procedimenti riuniti promossi a suo carico ricondotte agli artt 581, 612 e 594 c.p. anche ai sensi del comma 3 stessa disposizione) e segnatamente per aver, con più condotte riunite dal vincolo della continuazione, concretatisi in percosse, minacce e ingiurie, maltrattato la convivente F.A.S.A., sottoponendola abitualmente ad una serie di atti lesivi dell’integrità fisica e della sfera morale della stessa.

2. Due i motivi posti a sostegno del ricorso.

3.1 Con il primo la difesa lamenta violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui all’art. 340 c.p.p. per aver ritenuta condizionata e dunque non efficace la remissione di tutte le querele proposte ai danni del convivente dalla persona offesa, remissione manifestata dapprima con atto scritto depositato il 29 agosto 2007 e di poi confermata in dibattimento. Lamenta in particolare la non equivocità della volontà della persona offesa quanto alla remissione, ribadita in modo evidente in sede di conferma dibattimentale senza che la richiesta, nell’occasione processuale manifestata, che il T. mutasse la propria residenza allontanandosi da quella comune potesse in alcun modo intendersi in termini condizionanti l’efficacia della stessa remissione, trattandosi, nella erronea convinzione della dichiarante, giustificata dalla modesta conoscenza della lingua e dalla ignoranza delle prassi amministrative, di incombente di pertinenza esclusiva dell’autorità amministrativa o giudiziaria.

2.2 Con il secondo motivo denunzia la manifesta illogicità della motivazione laddove viene ascritta attendibilità alla persona offesa ed al suo narrato, posto a fondamento del reso giudizio di responsabilità. Evidenziato che già il Giudice di primo grado ebbe a dubitare della attendibilità della persona offesa avuto riguardo al denunziato e di poi del tutto non riscontrato episodio di tentata violenza sessuale, originariamente contestato, e ribadito che sempre nella sentenza del Tribunale si dava atto della natura patologica del legame affettivo tra i due protagonisti della vicenda in processo, la difesa, muovendo dalla particolare rigorosità che deve connotare il vaglio critico afferente le dichiarazioni della persona offesa, lamenta come, a fronte della notevoli incongruenze comportamentali riferibili alla F. (l’ausilio prestato al T. nel violare la misura dell’allontanamento dalla casa familiare; la richiesta di revoca della misura cautelare adottata ai danni del T.), la Corte distrettuale si sia trincerata dietro un pregiudizio logico concretatosi nell’affermazione, illogica e priva di sostegno processuale, in forza alla quale siffatti contegni trovavano giustificazione nella illusoria speranza della persona offesa in un miglioramento dei rapporti. Piuttosto, per quanto distorte, le modalità del rapporto erano volute da entrambi; e la contraddittorietà del comportamento tenuto dalla persona offesa non poteva che inficiarne in radice la credibilità con la conseguente espunzione del relativo narrato dagli elementi posti a fondamento della condanna.

Motivi della decisione

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi sottesi al gravame.

4. Il primo motivo non solo è apertamente contraddetto dalla coerenza logica e dalla correttezza in diritto dell’argomentare della Corte distrettuale, ma trova anche smentita nel riscontro documentale afferente i dati processuali di riferimento, la cui disamina nella specie è consentita dalla natura del vizio lamentato.

Partendo da tale ultima considerazione giova rimarcare, in linea con quanto già evidenziato dal Giudice dell’appello, che le due dichiarazioni depositate il 28 agosto 2007, poste a supporto della remissione evidenziata dalla difesa, recano la firma non della persona offesa bensì di un difensore della stessa, sfornito tuttavia del necessario mandato ad hoc, non evincibile dal tenore della procura speciale nel caso allegata contestualmente alle dette dichiarazioni remissorie. Da qui l’indifferenza di siffatte dichiarazioni rispetto alla proseguibilità dell’azione penale in ragione del difetto di legittimazione del dichiarante.

In ogni caso, poi, si condivide appieno la motivazione della decisione impugnata nella parte in cui spoglia di efficacia qualsivoglia volontà remissiva della persona offesa in quanto condizionata. Il verbale della udienza del 4 dicembre 2007 non lascia spazio al dubbio in parte qua laddove la volontà della persona offesa (quanto alla possibile conferma in dibattimento del tenore di siffatte rimessioni, risulta palesemente subordinato al futuro comportamento dell’imputato, avendo la F. dichiarato di voler ritirare le denunzie solo se "lui dichiara qua un foglio che non viene più a disturbarmi a casa mia".

La chiarezza letterale dell’intento condizionato non merita ulteriori approfondimenti rendendo al contempo palesemente illogica l’interpretazione fornita dalla difesa del ricorrente per come rassegnata nel primo motivo del ricorso.

Da qui la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso alla luce del disposto di cui all’art. 152 c.p., comma 3.

4. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

Giova premettere che nell’ipotesi di ricorso per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, il sindacato in sede di legittimità è limitato alla sola verifica della sussistenza dell’esposizione dei fatti probatori e dei criteri adottati al fine di apprezzarne la rilevanza giuridica nonchè della congruità logica del ragionamento sviluppato nel testo del provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive. Ne consegue che resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche.

Nella specie, ritiene la Corte che la valutazione resa dal Giudice distrettuale in ordine agli elementi probatori sottesi al reso giudizio di responsabilità – più precisamente in relazione alle dichiarazioni della persona offesa, filtrate dalla credibilità soggettiva della stessa e attraverso l’attendibilità del narrato nonchè integrate anche da elementi esterni – siano estranee ad ogni incongruenza logica e sfuggano dunque ad ogni censura in questa sede.

In particolare, nel caso a mano la credibilità soggettiva della dichiarante risulta esaustiva mente valutata sottolineando l’assenza di ostilità preconcetta ed anzi rimarcando sul piano logico la perduranza di un legame sentimentale con l’imputato malgrado le vessazioni patite nel tempo; spunto logico, quest’ultimo, condivisibile in ordine alla affermata coerenza delle propalazioni aventi un contenuto oggettivamente accusatorio e motivo utile a giustificare possibili momenti di contraddizione nell’ottica legata alle continue alternanze, tra denunzie e contegni di segno remissorio, tipiche dei rapporti sentimentali conflittuali connotati da un squilibrio di forze, senza che per ciò solo ne risulti inficiato il dire della persona sottoposto a maltrattamenti posto a supporto della prospettiva accusatoria.

Del resto, non fa gioco nella specie il mancato riscontro accusatorio in ordine alla in origine prospettata violenza sessuale: nulla esclude infatti che si possa procedere ad una valutazione frazionata della dichiarazioni della persona offesa sempre che non esista un’interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato per le quali non si ritiene raggiunta la prova della veridicità e le altre parti che siano intrinsecamente attendibili ed adeguatamente riscontrate e sempre che l’inattendibilità di alcune delle parti della dichiarazione non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere per intero la stessa credibilità del dichiarante (cfr. Cassazione penale sez. 6^, sentenza n. 3015/10). E nella specie, neppure la difesa segnala la presenza di momenti conflittuali nel narrato tali da portare ad una siffatta conclusione radicale, essendosi limitata ad un generico richiamo all’assoluzione per la violenza sessuale.

Di più ed infine, va segnalato come le dichiarazioni della persona offesa, estranee com’è noto all’obbligo di riscontro esterno, vedono tuttavia nella specie una conferma ulteriore nei dati forniti dalle dichiarazioni dei carabinieri intervenuti in occasione di alcune delle condotte concretatesi nei maltrattamenti contestati oltre che dei clienti del bar gestito dalla F.; momenti questi che costituiscono definitivo riscontro dei nodi fondamentali del narrato della stessa, chiudendo definitivamente il discorso in ordine alla compiutezza e coerenza logica della valutazione sottesa agli elementi probatori posti a fondamento del reso giudizio di responsabilità.

Da qui la declaratoria di inammissibilità per la manifesta infondatezza anche di questo secondo motivo di doglianza, valutazione che rende la fattispecie insensibile alla maturata prescrizione nelle more tra la sentenza di secondo grado e l’odierno giudizio di legittimità.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende determinata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2013

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