Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 30-01-2013) 15-03-2013, n. 12370

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. B.P. e Q.L. venivano tratti a giudizio innanzi al Tribunale di Perugia, in uno alla moglie del primo, F.L., ed a P.E. e F.O. con le seguenti imputazioni.
1.1 Al capo A) della rubrica, venivano contestate al B., sotto un unico capo di imputazione, diverse condotte, tutte ascritte all’egida degli artt. 110, 81 cpv, 319 e 319 ter c.p., rese in concorso con la F. (cui veniva imputata la disponibiltà mostrata al marito di intestarsi fittiziamente i beni acquistati con i proventi delle ipotesi corruttive sotto descritte).
In particolare, nella sua qualità di Giudice delegato ai Fallimenti presso il Tribunale di Roma veniva imputato al B., in tempi diversi con condotte tutte avvinte dal vincolo della continuazione, di aver ricevuto ingenti somme di denaro da P.E. e Q.L. per compiere sistematicamente, in relazione ad alcune procedure concorsuali delegate alla sua gestione, atti contrari ai propri doveri d’ufficio volti a favorire indebitamente alcune delle parti dei procedimenti in oggetto. Quanto agli atti contrari ai doveri d’ufficio veniva contestato al B. l’essersi fatto attribuire determinate procedure concorsuali in aperta violazione delle regole di ripartizione tabellare; l’aver assicurato al Q. la disponibilità ad ottenere in violazione delle regole tabellari la assegnazione della procedura Immobiliare E. srl garantendo al suddetto una gestione della procedura funzionale agli interessi di cui questi era latore; l’aver danneggiato i creditori delle diverse procedure concorsuali interessate, omettendo di dare adeguata pubblicità alla vendita di rilevanti cespiti immobiliari (nel fallimento P. D.) ovvero consentendo aggiudicazioni per valori sottostimati (fallimenti D. e J.). Quale corrispettivo per le citate condotte contrarie ai doveri d’ufficio riceveva danaro e utilità: in particolare dal Q. (quale corrispettivo legato alla vicenda legata al fallimento della Immobiliare E. srl) riceveva l’impegno fittizio, stipulato per iscritto, volto all’acquisto del cespite di proprietà del B. sito in (OMISSIS), scrittura questa utilizzata dal B. per dare dimostrazione – nell’ottica di una benevola valutazione dei relativi presupposti finanziari – alla Banca M. – che all’epoca stava vagliando la possibile erogazione di un mutuo in favore del B. per l’acquisto di altro cespite – della prossima disponibilità di una imminente liquidità e della futura estinzione di altro pregresso mutuo in precedenza contratto sempre dal B. con riferimento all’immobile per il quale il Q. aveva manifestato la fittizia disponibilità ad acquistare.
1.2 Al capo C, le condotte descritte con riferimento alla posizione del B. al capo A venivano di poi contestate al Q. nella sua veste contrapposta di soggetto corruttore.
1.3 Al capo E) della rubrica veniva contestato al B., in concorso con F.O., il primo nella qualità di giudice delegato e il secondo di curatore del fallimento Immobiliare P. D. srl, il delitto di cui agli artt 110 e 323 c.p.p.. In particolare veniva contestato al B. di aver disposto la vendita senza incanto, nel procedere alla liquidazione di un cespite facente parte dell’attivo patrimoniale della citata procedura fallimentare, senza sentire previamente il comitato dei creditori e senza l’assenso preventivo del creditore ipotecario, in violazione delle norme previste in materia dalla legge fallimentare; ed ancora, di aver provveduto alla aggiudicazione per mancanza di pluralità di offerte senza rispettare le previsioni in precedenza dettate per la pubblicizzazione della vendita, in particolare disponendo che la pubblicità fosse effettuata esclusivamente presso un periodico edito a Roma e a diffusione locale e, ancora, prescindendo dal rispetto delle disposizioni sull’incombenza pubblicitaria rese in seno alla ordinanza con la quale la vendita era stata disposta (l’ordinanza prevedeva la pubblicazione di un avviso per almeno due volte entro dieci giorni prima della data fissata per la presentazione delle offerte; l’aggiudicazione venne disposta in presenza di una sola offerta malgrado la pubblicità fosse stata effettuata solo una volta e oltre il termine ultimo indicato in ordinanza, a brevissima distanza rispetto al termine stabilito per le offerte). Il tutto procurando un ingiusto profitto alla società aggiudicatrice del cespite, posta in condizione di partecipare alla vendita senza altri offerenti, acquisendo il cespite al prezzo base d’asta senza gara al rialzo.
2. In primo grado il Tribunale di Perugia dichiarava il B. colpevole dei reati di corruzione previsti dal capo A con esclusione delle contestazioni relative al Fallimento P. D. e D.;
il Q. colpevole del reato di cui al capo C limitatamente alla sola vicenda afferente il fallimento della Immobiliare E.;
P. e F. colpevoli per le imputazioni loro ascritte;
riqualificava le condotte di cui alle contestazione di cui allo stesso capo A) legate al fallimento D. siccome ricondotte all’art. 323 c.p. e ritenuta assorbita la contestazione relativa al fallimento P. D. in quella sub E), dichiarava non doversi procedere per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione.
Condannava il B., in solido con Q.L., P.E. e F.L. al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Giustizia e Z.A..
3. In esito al proposto appello, la Corte d’Appello di Perugia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha assolto B.P. dalle residue imputazioni di cui al capo A) perchè i fatti non sussistono e Q.L. dalla residua imputazione di cui al capo C perchè il fatto non sussiste; ha assolto con formule diverse tutti gli altri imputati dai reati loro ascritti; ha altresì revocato le statuizioni rese in favore delle parti civili e confermato per il resto la sentenza impugnata, avuto riguardo, in particolare, in relazione al gravame proposto dal B., alla declaratoria del non doversi procedere per l’intervenuta prescrizione in parte qua rigettando l’appello che mirava piuttosto alla assoluzione nel merito anche dalle imputazioni ex art. 323 c.p. per come originariamente articolare o riqualificate da parte del giudice di primo grado.
4. Avverso quest’ultima decisione hanno proposto ricorso in Cassazione B.P., la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Giustizia e, infine, la Curatela del fallimento Immobiliare P. D..
5. Quest’ultima ricorrente con dichiarazione depositata il 13 settembre 2012 ha rinunziato al ricorso.
6. B.P., per il tramite dei suoi difensori B. A. e M.C., propone un unico motivo di ricorso ricondotto all’egida della violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui all’art. 323 c.p. e art. 129 c.p.p.. La doglianza involge i capi di imputazione A e E, inerenti le condotte ascritte al B. rispettivamente in relazione al fallimento D. e al fallimento Immobiliare P. D., contestando la scelta del giudice distrettuale di non addivenire alla invocata assoluzione ritenendo non evidente la prova della insussistenza del reato contestato, in linea con la decisione del Tribunale.
6.1 Avuto riguardo ai fatti contestati in relazione al fallimento D., evidenzia la difesa come per il Giudice distrettuale sarebbe presente un forte sospetto di intenzionali atti di abuso compiuti dal ricorrente volti a favorire il soggetto fallendo e di conseguenza a pregiudicare i possibili contrastanti interessi dei creditori, individuando nell’assegnazione del procedimento al B. in violazione delle disposizioni tabellari, dei criteri di distribuzione automatica e della prassi in vigore presso il Tribunale fallimentare di Roma, la violazione di legge o di regolamento sottesa al contestato abuso. Contesta tuttavia la difesa che i criteri e le prassi tabellari, avendo una funzione di ripartizione organizzativa interna, possano ritenersi dotati dei requisiti tipicamente propri delle norme giuridiche o regolamentari.
La loro trasgressione non da luogo a violazione di legge come si ricava dall’art. 33 c.p.p. che esclude possano ritenersi nulli gli atti assunti in violazione dei criteri tabellari. Nella specie, evidenzia ancora la difesa, la Corte peraltro rintraccia il fondamento della regola violata in una prassi (id est quella di assegnare al medesimo giudice la trattazione dei procedimenti prefallimentari preceduti da una pregressa desistenza o un rigetto) più che in una apposita previsione tabellare, ponendosi ancor di più al di fuori del tracciato imposto dall’art. 323 c.p.. E ciò tralasciando ogni ulteriore approfondimento legato alla natura collegiale e non esclusivamente riferibile al ricorrente, del provvedimento di assegnazione; alla mancanza di qualsivoglia altra indicazione, anche solo indiziante, sull’ingiusto vantaggio patrimoniale o sul danno e men che meno sul dolo intenzionale con la conseguenza che nella specie la formula di proscioglimento nel merito non poteva che prevalere sulla causa estintiva a fronte della assoluta mancanza della prova della colpevolezza.
6.2 In ordine poi ai fatti di abuso riferiti alla vicenda inerente la vendita nel fallimento Immobiliare P. D., evidenzia la difesa che la Corte distrettuale avrebbe individuato, tra tutte le possibili anomalie contestate una certamente costituente violazione di legge, id est quella afferente la mancata assunzione preventiva del parere del comitato dei creditori oltre che del creditore ammesso dotato di prelazione ipotecaria ed ancora quella afferente l’inosservanza delle modalità inerenti la pubblicità che doveva precedere l’aggiudicazione dopo averne pacificamente riscontrato l’inadempimento. Con riferimento all’omesso parere del comitato ed al mancato assenso del creditore ipotecario lamenta la difesa che la motivazione della sentenza di secondo grado avrebbe pretermesso in parte qua le deduzioni esposte con il gravame (in forza alle quali il parere favorevole del comitato era stato assunto comunque prima della vendita mentre, seguendo una linea interpretativa autorevolmente tracciata in dottrina, l’assenso del creditore ipotecario, cui era stata comunque data comunicazione della vendita, non occorreva in quanto all’epoca non ancora insinuato al passivo) finendo per ritenere la violazione di legge – elemento materiale del reato di abuso di ufficio – per il solo fatto del non essersi il dott. B. attenuto nell’interpretazione dell’art. 108 LF, al dato letterale e finendo per favorire una interpretazione del dato normativo di riferimento non accettabile giacche la violazione di legge a mente dall’art. 323 c.p., è sostanziale e non formale, nonchè finalizzata ingiustamente a favorire o danneggiare.
Del pari, la violazione di legge richiesta dalla norma incriminatrice non avrebbe potuto ravvisarsi nel fatto dell’essersi il B. discostato, nel disporre la vendita, dal proprio precedente provvedimento in materia di pubblicità, potendo il Giudice sempre revocare, anche implicitamente, i propri precedenti provvedimenti afferendo il potere di revoca o modifica al potere stesso della giurisdizione; ciò ancor più nella specie in considerazione del fatto che era pervenuta in cancelleria un’offerta non inferiore al prezzo di stima, debitamente cauzionata. L’insussistenza del reato sarebbe dovuta risultare altresì dalla circostanza – incidente sull’elemento soggettivo del reato – che il Giudice Delegato aveva contestualmente disposto procedersi, ove del caso, a successiva gara con aumento di sesto nonchè ad ulteriore notifica al creditore ipotecario.
Del resto e infine, evidenzia la difesa che nella motivazione delle sentenze di merito e finanche guardando al tenore del capo di imputazione non risultava fatta menzione alcuna dell’elemento fondamentale, ai fini della configurabilità del reato contestato, costituito dall’intenzionalità della pretesa violazione di legge rispetto alla prospettazione del vantaggio proprio o altrui. In particolare, non risultava in alcun modo descritta, o minimamente accennata, l’esistenza di un qualsivoglia rapporto tra il Giudice B. e la società acquirente asseritamente avvantaggiata dalla pretesa inosservanza delle forme pubblicitarie disposte, essendosi il Giudice, tanto di primo quanto di secondo grado, limitato alla mera giustapposizione della pretesa violazione di legge e del vantaggio che altro soggetto, in nessun modo collegato o collegabile all’autore della violazione, ne avrebbe tratto. In tali condizioni, già sulla sola base del testuale tenore del capo di imputazione, il giudice di merito altro non avrebbe potuto fare se non pervenire ad un’assoluzione.
7. L’Avvocatura dello Stato, nell’interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Giustizia articola un unico motivo di ricorso lamentando al fine travisamento probatorio nonchè motivazione contraddittoria e manifestamente illogica limitatamente al capo di sentenza afferente la corruzione contestata sub A della rubrica in ragione della vicenda afferente il fallimento della Immobiliare E. in ordine alla quale il Tribunale, in primo grado, aveva ritenuto sussistente la responsabilità ascritta al B. ed al Q., responsabilità poi esclusa dalla Corte distrettuale con la sentenza oggi impugnata.
7.1 Lamenta l’Avvocatura il travisamento della prova compiuto dal Giudice di secondo grado avuto riguardo alla rilevanza assunta, nell’ottica della erogazione del mutuo finalizzato all’acquisto di un immobile da parte del B. (rectius formalmente della moglie del B.), dal parere istruttorio reso in data 5 settembre 2002 dal funzionario della banca chiamata ad erogare il mutuo richiesto dal B.. Parere in seno al quale, diversamente da quanto affermato dalla Corte distrettuale, risultava evidenziato con chiarezza che il mutuo poteva essere erogato a condizione della preventiva dismissione dell’immobile di via (OMISSIS), circostanza data per presupposta nella valutazione della capacità finanziaria dei soggetti richiedenti, al fine positivamente esitata senza prendere in considerazione l’uscita legata al mutuo contratto per l’acquisto dell’immobile da dismettere. Partendo da tale erroneo presupposto in fatto la Corte avrebbe poi negato illogicamente rilievo alla dichiarazione dell’11 ottobre 2002 con la quale il Q. si era dichiarato disponibile ad acquistare il citato immobile perchè temporalmente intervenuta quando già la pratica di definizione del mutuo era stata definitivamente approvata dalla banca; ciò tuttavia tralasciando che proprio l’istruttoria svolta in funzione della erogazione del mutuo, lungi dal prescindere dalla vendita dell’immobile di via (OMISSIS), risultava positivamente resa proprio sul presupposto di siffatta dismissione. La Corte distrettuale, dunque, avrebbe travisato siffatta documentazione che, lungi dal costituire momento logico destinato a tradire l’indifferenza della promessa del Q. rispetto alla successiva erogazione del mutuo, ne costituisce ragione a riprova; e ciò senza peraltro entrare in contraddizione con le dichiarazioni rese in dibattimento dal responsabile del procedimento per conto della banca erogante (contraddizione erroneamente ritenuta presente dalla Corte) ed anzi ponendosi in linea con le affermazioni dello stesso in ordine alla primaria importanza assunta da tale prospettiva di vendita in punto alla erogazione successiva del mutuo.
7.2 La motivazione poi mostrerebbe i segni chiari della sua contraddittorietà e manifesta illogicità nella parte in cui, dopo aver escluso incidenza alla dichiarazione del Q. in funzione dell’erogazione del mutuo, per altro verso, muovendo dalla circostanza in forza alla quale la stessa venne comunque trasmessa alla banca, finisce per affermare che alla detta scrittura doveva ascriversi un qualche rilievo; ciò, nel ritenere della Corte distrettuale, non tanto in punto alla concessione del mutuo in sè quanto piuttosto al solo fine di evitare possibili contegni recessivi da parte della banca rispetto alla erogazione, motivati da impegni anche verbali verosimilmente in precedenza assunti ed in linea con il tenore letterale della scrittura, priva di prezzo, oltre che con le dichiarazioni rese dal Q., che ha confermato di aver reso siffatta dichiarazione scritta su espressa richiesta del B..
La Corte, tuttavia, avrebbe concluso in aperta distonia con siffatte considerazioni e con asserto viziato da intrinseca contraddittorietà logica, per ritenere l’incidenza meramente secondaria di siffatta scrittura unilaterale, non determinante nella erogazione del mutuo.
La motivazione, ancora, si palesa nella sua manifesta illogicità laddove per un verso ascrive alla dichiarazione in questione una finalità evidentemente legata al mutuo che il B. sperava gli fosse erogato e per altro verso mostra di recuperare un interesse del Q. all’acquisto del cespite di proprietà del B. in ragione del prezzo proposto, evidentemente inferiore a quello di mercato poi confermato dalla successiva vendita del bene in questione; ancora, laddove afferma che una proposta di acquisto come quella formalizzata dal Q. il B. ben avrebbe potuto procurarsela compulsando chiunque senza ricercare l’intervento di un professionista qualificato senza tuttavia spiegare perchè il Q. andava espunto dai soggetti cui il B. avrebbe potuto chiedere questo favore.
7.3 La sentenza impugnata ancora, risulta priva di una completa disamina del materiale probatorio – resa viepiù necessaria nella specie per smontare le argomentazioni poste a supporto del giudizio di responsabilità reso in primo grado – nella parte in cui ha escluso la necessità, per il Q., di ricompensare il B. per il suo asserito agire in contrasto ai doveri d’ufficio perchè non direttamente beneficiato dalle condotte anomale tenute dal Giudice. Valutazione questa resa pur riconoscendo che il Q. era interessato alla pratica di fallimento Immobiliare E. quale consulente dei due principali creditori della società che avevano presentato istanze per il fallimento di Immobiliare E. (il PPI di cui il Q. era consulente e il fallimento Europool di cui ugualmente il Q. era consulente) ma omettendo al contempo di considerare il complesso degli elementi emersi nel giudizio di primo grado e segnatamente (cfr. in particolare pagg. 20 e 21, da 38 a 55 e 125-126 della sentenza del Tribunale): che il PPI aveva interesse a far fallire la soc. Immobiliare E. onde far saltare l’accordo per la vendita dei beni immobili (la società in questione era promissaria acquirente dell’intero pacchetto azionario della società proprietaria dei beni immobili della ex DC); che l’istanza di fallimento del PPI era stata presentata avanti al Tribunale di Roma per "giocare in casa" risultando la sede legale della Immobiliare E. in Verona; che l’istanza formulata dal PPI era stata presentata il 5 agosto 2002 e che quella successiva, formulata dal fallimento Europol (gestito dal B. e che vedeva il Q. quale consulente tecnico contabile, depositata il giorno successivo) aveva la funzione di motivare una correlazione per connessione tra i due fallimenti (quello da dichiarare e quello già gestito dal B.) così da favorire la nomina del B. quale Giudice delegato (circostanza confermata dalle dichiarazioni del dott. T., collega del B.); che la proposta di acquisto del Q. risaliva ad epoca immediatamente successiva a quella della dichiarazione del fallimento in questione.
8. Con memoria depositata il 14 gennaio 2013 Q.L., per il tramite del difensore avvocato G. V., ha contestato l’ammissibilità del ricorso formulato dall’Avvocatura dello Stato evidenziando al fine che il gravame, proposto sotto l’egida del vizio di motivazione e del travisamento probatorio, si risolve in una sistematica lettura alternativa delle emergenze istruttorie. Andrebbe esclusa in particolare la possibilità di ritenere presente il dedotto travisamento o comunque la lamentata assenza motivazionale in relazione all’accertato disinteresse del Q. quanto alle sorti del fallimento Immobiliare E. avendo la Corte motivato sulla base del materiale istruttorio acquisito; quanto poi alla rilevanza ascritta in ricorso alla mancanza del prezzo nella dichiarazione scritta del Q. afferente la proposta di acquisto per ritenerne al fine la natura fittizia, si evidenzia che l’avvocatura avrebbe al fine profittato di un error calami in cui sarebbe occorsa la Corte distrettuale nell’affermare che la proposta di acquisto del Q. era priva del prezzo offerto (dalla mera lettura del documento allegato in atti emerge la presenza del prezzo proposto);
quanto infine al parere reso nel corso dell’istruttoria finalizzata alla erogazione del mutuo da parte di M. banca, la Corte aveva puntualmente motivato pur considerando la deposizione del teste V., autore del detto parere, riconoscendo una assoluta rilevanza minoritaria al ruolo da ascrivere alla dichiarazione del Q., in considerazione della data di formazione di tale ultimo documento.
9. Con memoria depositata il 25 gennaio 2013 la difesa del B. ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso dell’avvocatura distrettuale, non sussistendo il travisamento addotto a sostegno del ricorso, e comunque in ragione della manifesta infondatezza del gravame, destinato a sostanziarsi in una diversa lettura delle circostanze di fatto emerse in istruttoria, tutte puntualmente fatte oggetto di disamina da parte del Giudice distrettuale. Considerato in diritto.
10. Va preliminarmente dichiarata la inammissibilità del ricorso proposto dalla Curatela del Fallimento della Immobiliare P. D. srl pervie la stessa rinunziato al ricorso.
11. Ritiene poi la Corte, per le ragioni precisate di seguito, infondati i motivi di ricorso proposti dalla difesa del B..
Per contro, colgono nel segno i motivi di doglianza articolati dall’Avvocatura, inerenti la incompletezza e la manifesta illogicità della motivazione sottesa alla decisione impugnata avuto riguardo alla corruzione contestata ex artt. 319 e 319 ter c.p. al B. in concorso con il Q. al capo A) della rubrica; fondatezza dei rilievi che impone l’annullamento in parte qua della decisione impugnata con rinvio al giudice civile per nuovo giudizio, oramai strumentale esclusivamente ai profili civilistici di natura risarcitoria.
12. Prendendo le mosse dal ricorso del B. va precisato che lo stesso è caduto sulle contestazioni di cui al capo A, relativamente alle condotte afferenti il fallimento D., diversamente qualificate dal Tribunale in primo grado siccome riconducibili all’egida dell’art. 323 c.p.p. rispetto alla primigenia contestazione, resa ai sensi degli artt. 319 e 319 ter c.p.; ancora, il gravame afferisce alla imputazione di cui al capo E, relativa ai contegni contestati con riferimento alla liquidazione di un cespite dell’attivo del fallimento P. D.. Imputazioni chiuse in primo grado con la declaratoria del non doversi procedere per intervenuta prescrizione delle relative ipotesi delittuose in ordine alla quale decisione la difesa, dapprima con l’appello ed oggi con il ricorso che occupa, lamenta la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2 a fronte di evidenti emergenze che, nel ritenere della stessa, avrebbero dovuto imporre una sentenza di assoluzione nel merito.
12.1 Tanto precisato va poi ricordato che, per quel che riguarda il presupposto della evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato – ai fini della prevalenza della formula di proscioglimento sulla causa estintiva del reato – in giurisprudenza è stato costantemente affermato, senza incertezze o oscillazioni di sorta, che il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, al punto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" (percezione ictu oculi), che a quello di "apprezzamento", incompatibile, dunque, con qualsiasi necessità di accertamento o approfondimento; in altre parole, l’"evidenza" richiesta dall’art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verità processuale cosi chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi così addirittura in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia (così in termini pedissequamente riportati SS UU 35490/09).
12.2 Guardando ai contegni legati al fallimento D., la difesa sostiene che la condotta contestata non concreti una violazione di legge o regolamento giacchè i criteri e le prassi tabellari legati all’assegnazione dei procedimenti fallimentari, al fine richiamati dal giudice distrettuale a sostegno della decisione assunta, avendo una funzione di ripartizione organizzativa interna, non possono ritenersi dotati dei requisiti tipicamente propri delle norme giuridiche o regolamentari; in ogni caso, trattavasi di condotta non singolarmente ascrivibile al B. ma al Collegio che ebbe a designarlo quale giudice delegato; mancherebbe, poi, anche la semplice indicazione dell’ingiusto vantaggio patrimoniale o del danno nonchè del dolo intenzionale.
12.3 Nel caso, le emergenze istruttorie, per come ricostruite in fatto dai Giudici del merito (senza che sul punto sia caduta contestazione alcuna da parte della difesa del B. e non poteva essere diversamente non potendosi dedurre in questa sede vizi inficianti la motivazione incompatibili con la già maturata estinzione del reato) danno conto di una evidenza niente affatto conforme all’assunto della difesa.
Il dato processuale per come delineato dal Tribunale in primo grado (cfr pagine da 55 a 66) sulla cui traccia si è inserito più succintamente il Giudice distrettuale, è di segno palesemente opposto. Emerge, infatti, il riscontro (si vedano le deposizioni di P., M., T. e C. per come riportate nella sentenza di primo grado) di una programmata operazione, imbastita da management e proprietà della società e volta ad impedire dapprima il fallimento per mano della creditrice Unicalcestruzzi (dalla quale si ottenne una desistenza a pochi giorni di distanza dalla successiva presentazione di una richiesta di autofallimento, logicamente incompatibile con gli sforzi pregressi) nell’ottica finalizzata a favorire una gestione domestica della instauranda procedura fallimentare, da dichiarare su iniziativa della stessa società insolvente previa individuazione di un giudice delegato vicino e di comodo che potesse garantire momenti di attuazione dell’interesse concorsuale maggiormente consoni all’interesse della fallenda. E ciò in primis attraverso la nomina concordata di un parterre di professionisti tanto vicini alla D. da essere stati coinvolti nella gestione pre-concorsuale della relativa insolvenza (segnatamente il Curatore e il coadiutore legale che in uno all’avvocato T., legale della D., si erano occupati della visione preventiva della contabilità della società per decidere la migliore strategia da seguire). Il giudice venne individuato nel B., il quale ultimo, prima ancora di essere investito della nomina, ebbe a ricevere il T. quale difensore della D. nonchè il C., poi nominato coadiutore legale del fallimento in oggetto, discutendo dello staff dei professionisti chiamati a gestire la procedura una volta aperta la procedura; professionisti poi individuati nelle persone che avevano coadiuvato il T. nella gestione preconcorsuale della D., coincidenti con quelli che il T. stesso aveva anticipato e nominativamente segnalato all’amministratore della società prima del fallimento a comprova della volontà di incanalare l’insolvenza verso una gestione concorsuale vicina agli interessi della debitrice.
Sempre in fatto, infine, va segnalato che, secondo la prassi interna al Tribunale fallimentare di Roma, in caso di desistenza, una nuova istanza di fallimento rivolta contro il medesimo debitore andava assegnata allo stesso giudice relatore. Nel caso, questa linea di ripartizione dell’affare procedurale non venne seguita e venne nominato il B. in luogo del Giudice relatore che aveva curato la precedente istanza poi rinunziata. Quest’ultimo, peraltro, pur facendo formalmente parte del Collegio che ebbe a disporre la nomina del B., non ebbe notizia di tale istanza di autofallimento se non anni dopo a seguito della ispezione ministeriale cui si fa cenno costante nelle sentenze di merito.
12.4 Questa l’evidenza processuale, la stessa, decisamente, non si mostra a favore del proscioglimento assoluto del ricorrente.
12.4.1 Sul piano della negata sussistenza della violazione di legge o di regolamento, il riferimento alla violazione delle disposizioni tabellari e delle prassi, contenuto nella sentenza di secondo grado, va necessariamente letto in uno alla ricostruzione di sistema puntualmente e condivisibilmente tracciata dal Giudice di primo grado, dovendosi ascrivere alla prassi di ripartizione degli affari non un rilievo in se, costituendo piuttosto indice sintomatico della violazione di legge nella specie riscontrata, da ricondure all’egida dell’art. 111 Cost., comma 2. Norma questa cui non può non attribuirsi una valenza cogente in punto al principio di imparzialità ivi sancito in relazione all’attività giudiziaria: il principio che la norma in questione detta, alla stregua del più generale canone rivolto alla azione della pubblica amministrazione dall’art. 97, comma 1, inteso come divieto di trattamenti di favore, impone infatti al giudice una vera e propria regola di comportamento, di immediata applicazione, e possiede, quindi, i contenuti precettivi richiesti dall’art. 323 c.p. (così Cassazione penale, sezione sesta, 9682/2009 e, con riferimento all’art. 97 sempre nell’ottica della imparzialità quale momento immediatamente precettivo utile a configurare in ipotesi di violazione, il presupposto imposto dall’art. 323 c.p., da ultimo vedi sempre sezione sesta sentenza 41215/12); e non può revocarsi in dubbio che sia le norme tabellari come anche le prassi interne di ripartizione degli affari costituiscano strumenti di trasparenza nell’assegnazione degli affari contenziosi intrinsecamente e inscindibilmente connessi al principio di imparzialità.
Ne viene che l’azione volutamente diretta a violare le regole di ripartizione degli affari, sostanziandosi in una immediata violazione del principio di trasparenza e imparzialità nell’azione giurisdizionale, concreta la violazione di legge richiesta dall’art. 323 perchè posta in contrasto con il precetto di cui all’art. 111 Cost., comma 2.
12.4.2 L’ulteriore rilievo in forza al quale la nomina del B. venne espressa collegialmente è palesemente travolto dalle emergenze processuali che danno conto dell’interesse personale mostrato dal predetto in ordine alla detta procedura prima del fallimento nonchè dalle dichiarazioni della collega Tr. (il giudice delegato pretermesso dalla gestione della procedura D.) in punto alla sua estraneità al citato collegio, dichiarazioni che danno conferma della estrema labilità dei criteri di formale e sostanziale composizione dei collegi chiamati alla nomina dei Giudici delegati nella prassi all’epoca invalsa presso il Tribunale fallimentare di Roma, così svilendo definitivamente il valore della contestazione in esame.
12.4.3 Concretato l’evento del reato contestato con l’assegnazione al B. della gestione della procedura D. quale giudice delegato alla stessa in aperta violazione delle regole di ripartizione dei fallimenti tra i diversi componenti della sezione, va poi osservato, quanto al vantaggio patrimoniale utile alla configurazione del contestato abuso d’ufficio che lo stesso va riferito al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale e, pertanto, sussiste non solo quando l’abuso sia volto a procurare nell’immediatezza beni materiali, ma anche quando sia volto a creare un accrescimento della situazione giuridica soggettiva a favore di colui nel cui interesse l’atto è stato posto in essere. Nel caso in esame il vantaggio, ipotizzato e più che riscontrato pur nella limitata disamina imposta dal perimetro cognitivo dell’art. 129 c.p.p., comma 2 ben può essere individuato nell’aver garantito ai soggetti interessati (primariamente quelli coinvolti in ambiti economici legati alla D., non ultimi anche gli stessi professionisti retribuiti dalla società fallita), tramite la nomina di un giudice di comodo, spazi di gestione della procedura consoni all’interesse della debitrice fallita aventi un chiaro risvolto patrimoniale se si considera la finalità dell’azione concorsuale. Ne sono riprova – non sul piano della concretizzazione della condotta, da ritenersi realizzata all’atto della nomina e dunque della dichiarazione del fallimento, bensì su quello della effettiva incidenza patrimoniale della condotta – le nomine pilotate perchè pre-concordate degli organi della procedura; ed ancora, in via di consecuzione logica, le ulteriori operazioni di ricostruzione e liquidazione del patrimonio della società fallita strumentalmente colorate dal perseguimento di interessi vicini a quelli della società fallita e dei professionisti che ebbero a seguirla (operazioni fatte oggetto di separato processo nel quale risultano coinvolti, per bancarotta fraudolenta e altri fatti corruttivi legati alla D., Curatore, coadiutore legale e difensore della D., quest’ultimo condannato a pena patteggiata per come segnalato dal Tribunale in primo grado: cfr la sentenza alle pagine 57, 58, 59).
12.4.5. Da ultimo, palesemente contraddetta dal dato processuale si rivela essere la contestata sussistenza in radice dell’elemento soggettivo. E’ difficile smentire infatti che dal contegno riscontrato in punto alla nomina preconcordata degli organi della procedura siccome rivolta peraltro a soggetti professionalmente vicini alla debitrice, non possa, sul piano logico, inferirsi – nell’ottica tipica del dolo intenzionale imposto dall’art. 323 c.p.p. – anche la precipua volontà del ricorrente, ottenendo l’assegnazione della gestione del fallimento, di garantire agli interlocutori ( C. e T., primariamente ma non solo, in nome e nell’interesse della D.) il vantaggio patrimoniale ingiusto all’uopo perseguito (ottenere la nomina di un giudice delegato di comodo). Da qui anche la inconsistenza della contestazione mossa avverso l’elemento soggettivo.
13. Considerazioni non dissimili devono porsi con riferimento all’imputazione di abuso d’ufficio di cui al capo E) della rubrica, anch’essa definita con la statuizione del non doversi procedere in ragione della estinzione del reato per prescrizione, pur se in parte qua le argomentazioni rese dalla Corte di Appello meritano un intervento correttivo ed integrativo in diritto, dovendosi riportare la motivazione dentro i binari quantomeno più completi della decisione di primo grado.
Con riferimento a tale fatto di reato vengono mosse al B. (in concorso con il F.O., curatore di quel fallimento ma rimasto estraneo alla odierna fase processuale), in qualità di giudice delegato al fallimento della P. D., diverse situazioni concretanti altrettante violazioni della legge fallimentare e della correlata disciplina del codice di rito civile cui la prima rimanda in relazione alla liquidazione dei beni immobili acquisiti all’attivo fallimentare (segnatamente avuto riguardo al disposto di cui agli artt. 105 e 108 LF all’epoca vigenti e di quello di cui agli artt. 490 e 570 c.p.c. che costituiscono momento integrante dei primi).
In fatto, il B. ebbe a disporre la vendita senza incanto di un cespite immobiliare di assoluto rilievo senza previamente sentire il comitato dei creditori e il creditore ipotecario, disponendo una pubblicità ex art. 490 c.p.c. non conferente rispetto al luogo di collocazione geografica del cespite in liquidazione e comunque procedendo alla aggiudicazione non attenendosi alle disposizioni dettate con l’ordinanza di vendita sempre con riferimento alla pubblicità, pur avendo il Curatore rassegnato che non era stato rispettato il termine di propalazione pubblicitaria fissato per la presentazione delle offerte, già estremamente contingentato considerato il periodo di riferimento (dieci giorni prima della data fissata). Pur a voler tralasciare le parti della condotta correlate alla mancata assunzione preventiva del parere del comitato dei creditori e del creditore ipotecario seguendo sul punto la linea difensiva che lega siffatte scelte ad una libera e tutt’altro che apertamente inconferente interpretazione del dato normativo di riferimento, restano tuttavia cristallizzati i seguenti momenti fattuali che tradiscono una realtà che non lascia spazio all’evidenza funzionale all’assoluzione nel merito invocata ex art. 129 c.p.p., comma 2.
In particolare:
– venne disposta la vendita senza incanto, all’epoca ipotesi di liquidazione meramente residuale e subordinata al verificarsi di una motivata vantaggiosità per la massa, senza che mai il B., neppure per il tramite del presente ricorso, abbia fornito una indicazione delle ragioni che ebbero a giustificare tale deroga al canone ordinario di liquidazione (la vendita con l’incanto che tramite il meccanismo dell’asta con offerte al rialzo garantiva il raggiungimento del miglior risultato possibile nell’interesse comune dei creditori e dello stesso debitore fallito);
– la pubblicità disposta ai sensi dell’art. 490 c.p.c., comma 3 all’epoca vigente, nella discrezionale scelta spettante al giudice delegato, venne circoscritta ad ambiti temporali ma soprattutto geografici (nel raffronto tra collocazione territoriale del cespite e mercato di interesse: il bene era situato in (OMISSIS) mentre il periodico di pubblicazione non varcava i confini territoriali del Lazio) tutt’altro che funzionali all’interesse della massa;
– quel che più conta, consapevole che non erano stati rispettati i tempi di pubblicazione, il ricorrente ebbe comunque a dar corso all’aggiudicazione in presenza di una sola domanda di acquisto e ciò malgrado le osservazioni di segno contrario da parte del creditore ipotecario che con apposita istanza ebbe a contestare sia il valore di stima posto a base della vendita sia le modalità di pubblicità, inidonee a garantire l’accesso quanto più ampio da parte di possibili interessati;
– per come evidenziato dal Tribunale con la sentenza di primo grado, la società acquirente, unica offerente con il sistema della vendita senza incanto, ebbe conoscenza della liquidazione del cespite per ragioni diverse da quelle della pubblicità della vendita dello stesso (avendo ricevuto le relative informazioni dal tecnico stimatore che poi ebbe a mettere in contatto il relativo legale rappresentante con il curatore).
Questi elementi impediscono, in presenza della riscontrata causa di estinzione del reato, l’assoluzione nel merito.
Di certo, contrariamente all’assunto difensivo, v’è la violazione di legge funzionale al contestato abuso d’ufficio, riscontrata nella aperta violazione sia del disposto di cui all’art. 108 LF (per avere disposto la vendita senza incanto senza motivare le ragioni della deroga all’ordinaria procedura di liquidazione) che del disposto di cui all’art. 490 c.p.c. per come richiamato dall’art. 570 c.p.c. e art. 105 LF (avendo proceduto alla vendita senza rispettare le disposizioni sulla pubblicità in precedenza disposte). In parte qua, prive di rilievo sono le osservazioni difensive di segno contrario:
il riferimento alla possibilità di procedere alla offerta in aumento di sesto costituisce, in linea con quanto osservato in primo grado dal Tribunale, escamotage oltre che inconferente alla vendita senza incanto, privo anche di riscontro funzionale se non seguito come nella specie da alcuna pubblicità; la revoca delle disposizioni sulla pubblicità della vendita, implicitamente disposta nel ritenere della difesa, è poi del tutto fuorviante perchè, a tutto voler concedere, possibile sino a quando il provvedimento non avesse compiutamente dato corso ai relativi effetti (id est, quando ancora non era scaduto il termine da rispettare sancito in ordinanza).
La vendita in deroga all’ordinaria disciplina;
– la voluta inidoneità formale e sostanziale della pubblicità prescelta;
– il periodo di collocazione sul mercato del bene (le festività natalizie) in uno ai contingentati ed assolutamente ristretti tempi della liquidazione;
– la pervicace intenzione di procedere all’aggiudicazione malgrado i rilievi contrari del creditore ipotecario e le plurime inosservanze, formali e sostanziali da questo rimarcate;
– la modalità di approccio alla vendita da parte dell’aggiudicatario;
costituiscono poi circostanze di fatto che, in adesione a quanto evidenziato dai Giudici del merito (in particolare dal Tribunale) non consentono, nel giudizio di questa Corte, di escludere in radice l’ipotesi delittuosa contestata con riferimento anche agli ulteriori momenti costitutivi del reato in disamina diversi dalla violazione di legge, potendosi rintracciare, nei limiti di quanto consentito dall’approfondimento cognitivo legato alla operatività dell’art. 129 c.p.p., comma 2;
– il vantaggio patrimoniale in capo alla aggiudicataria nell’aver acquisito il bene senza concorrere con altri al solo limitato valore di stima;
– il dolo intenzionale del B. nell’aver agito con l’intenzione precipua di favorire l’aggiudicataria riducendo all’osso la possibilità di offerte concorrenziali quale conseguenza delle violazioni di legge riscontrate, non occorrendo al fine l’accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire e potendosi ricavare, in tema di abuso d’ufficio, la prova dell’intenzionalità del dolo da elementi sintomatici quali la specifica competenza professionale dell’agente e l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento deviato che, nella specie, portano quantomeno ad escludere l’evidente insussistenza dell’elemento soggettivo del reato in contestazione.
Da qui l’infondatezza del ricorso del B..
14. Passando al ricorso proposto dall’Avvocatura dello Stato nell’interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Giustizia va preliminarmente ribadito che lo stesso afferisce all’imputazione di cui la capo A, mossa al B. in concorso con Q.L. ai sensi degli artt. 319 e 319 ter c.p. limitatamente alle condotte legate alla vicenda del Fallimento della Immobiliare E.; contestazione definita, nei due gradi di merito, con valutazioni difformi (di condanna in primo grado e di assoluzione perchè il fatto non sussiste in grado di appello).
15. L’Avvocatura lamenta per un verso travisamento probatorio avuto riguardo al parere reso in data 5 settembre 2002 funzionale alla erogazione del mutuo chiesto dal B. ed erogato da M. banca con riferimento all’acquisto dell’immobile in via (OMISSIS); per altro verso si duole della motivazione, contraddittoria in più punti e manifestamente illogica nelle conclusioni nonchè mancante laddove viene valutata ed esclusa la necessità per il Q. di ricompensare il B. con riferimento alla condotta tenuta in ordine al fallimento Immobiliare E. senza il necessario e complessivo confronto con l’insieme degli elementi probatori posti dal Tribunale in primo grado a fondamento della condanna.
16. Non tutte le doglianze colgono nel segno.
16.1 Il lamentato travisamento probatorio, in linea con quanto affermato dalle difese del B. e del Q., deve ritenersi insussistente. La Corte distrettuale nel sostenere in prima battuta l’indifferenza dell’impegno unilaterale all’acquisto del cespite di via (OMISSIS), formalizzato dal Q. con la dichiarazione scritta dell’11 ottobre 2001, rispetto alla erogazione del mutuo finalizzato all’acquisto dell’immobile di via (OMISSIS) da parte dei coniugi B., evidenzia che già nel settembre del 2001 la banca erogante aveva già deciso di procedere alla erogazione senza condizionare in alcun modo la concessione del mutuo in oggetto alla vendita del bene di via Lero (oggetto del citato impegno unilaterale). A supporto di tale conclusione viene richiamato il tenore del parere del funzionario M. chiamato alla istruttoria, dott. V.F., datato 5 settembre 2001; la Delib. di approvazione 9 settembre successivo; la comunicazione del giorno successivo con la quale venne portata a conoscenza dei mutuatari la positiva definizione della pratica.
In nessuno di tali atti, sostiene la Corte distrettuale, v’era cenno alla dismissione del cespite di via (OMISSIS) quale momento condizionante l’erogazione del mutuo.
Ora, corrisponde al vero che nel parere di istruttoria del 5 settembre 2001 a firma del dott. V.F. viene dato conto di una evidenza probatoria non immediatamente coincidente con il tenore della motivazione in parte qua. Si legge in siffatto documento, infatti, che i richiedenti erano proprietari di due immobili, uno dei quali, quello non locato (pacificamente quello interessato dalla dichiarazione unilaterale del Q.) sarebbe stato venduto prima della erogazione del mutuo. E, in conformità a tale prospettazione, nel valutare l’equilibrio finanziario legato alla capacità reddituale dei richiedenti, il documento in questione non a caso non fa cenno alcuno al peso gravante sulla coppia dalla presenza del precedente mutuo acceso con riferimento proprio all’immobile di via Lero della quale si da per certa la futura dismissione. Tuttavia, osserva la Corte come, salvo quanto di dirà qua a poco sulla congruenza logica dell’argomentare in contestazione, tale contenuto non risulta pretermesso nella disamina del Giudice dell’appello bensì solo sminuito, seppur implicitamente, nel suo portato logico secondo considerazioni tuttavia che, se ne giustificano un controllo sul piano della linearità del motivare, per converso escludono in radice la presenza del lamentato travisamento il quale presuppone invece che del dato probatorio si sia omessa la valutazione da parte del giudice del merito o se ne sia attribuito un significato palesemente difforme da quello effettivamente emergente. Ed al fine va evidenziato come nell’ulteriore corpo della motivazione la Corte distrettuale mostra espressamente di conoscere e di avere valutato siffatto dato processuale laddove, con ragionamento non immune da palesi profili di incogruenza logica, ad esso fa esplicito riferimento nell’ammettere che alla detta dichiarazione occorre comunque riconoscere un rilievo in funzione della successiva erogazione del mutuo. Con ciò sottraendo la decisione in contestazione al lamentato vizio di travisamento del dato probatorio ma favorendo al contempo le critiche mosse alla stessa sul piano della coerenza logica del percorso argomentativo tracciato.
16.2 La Corte distrettuale non limita il proprio vaglio esclusivamente a siffatto profilo ma finisce anche per smentire in radice rilievo al dato legato alla dichiarazione unilaterale del Q. quale corrispettivo pattuito per la corruzione contestata con riferimento alla vicenda del fallimento della Immobiliare E. srl. Ciò, nel motivare dei giudici di secondo grado, perchè, anche se funzionale alla erogazione del mutuo, siffatta dichiarazione ebbe a svolgere un ruolo secondario e marginale; perchè comunque ad essa risultava sotteso un effettivo interesse del ricorrente in ragione della convenienza dell’affare; perchè, ed a chiusura, quale che possa essere stato il comportamento tenuto dal B. con riferimento alla dichiarazione del fallimento E. srl, comunque trattavasi di condotte non dirette a favorire il Q., così da togliere ragione logica ad un atto che andava ad impegnarlo personalmente.
Su tali ulteriori punti sono cadute, puntuali e condivisibili, le censure della Avvocatura.
16.3 Dopo aver motivato sulla affermata distonia temporale tra la dichiarazione del Q. e la approvazione mutuo quale elemento essenziale per negare l’incidenza della prima sulla erogazione del secondo, la Corte distrettuale da comunque atto di un presupposto logico che nella specie in disamina non pare offrire spazio al dubbio: siffatto impegno, veicolato alla Banca quando già era stata definita l’approvazione del mutuo, in qualche modo deve aver giocato un ruolo sulla erogazione del prestito giacchè diversamente non se ne comprenderebbe la ragion d’essere, non in sè quanto piuttosto della comunicazione dello stesso alla erogante ove indifferente rispetto al contratto in corso di stipula.
La stessa Corte distrettuale, recuperando, per quanto sopra anticipato, rilievo al parere istruttorio nella parte in cui nello stesso viene evidenziata la dismissione del cespite di via Lero, mostra di essere peraltro consapevole della certa divaricazione, non solo temporale, che corre tra approvazione ed erogazione del mutuo, risultando il primo atto meramente interno che non impegna l’erogante sino alla stipula del contratto così che eventuali vicende sopravvenute (qui una dismissione, data per incontroversa ma solo prospettata e non documentata) potevano costituire valide ragioni ostative alla conclusione positiva dell’accordo. Così facendo, tuttavia, emergono con evidenza i profili di incongruenza logica dell’argomentare in contestazione. E’ del tutto contraddittorio affermare per un verso che la dismissione del cespite di via Lero era fatto estraneo alla concessione del mutuo e poi, per altro verso, riconoscerne comunque rilievo in un quadro logico oggetto di difficile smentita; ancora, soffermarsi sul raffronto tra le date di approvazione del mutuo e di comunicazione della dichiarazione scritta del Q. per negarne incidenza sulla erogazione del mutuo per poi evidenziare che la stessa non poteva non avere avuto una correlazione con la concessione dello stesso; non meno illogico, inoltre, si rileva essere l’approfondimento reso in motivazione tra le apparenti distonie correnti tra la deposizione del V. in processo – in forza alla quale la dismissione del cespite era condizione primaria per l’erogazione – ed il dato documentale acquisito, quando questo, a ben vedere, non presentava effettivi momenti di contraddizione logica con la prova dichiarativa; infine ed ancor più radicalmente, sfugge ad ogni linearità dell’argomentare, muovendosi ai confini della omessa motivazione sul punto, l’affermazione in virtù della quale, ferma la rilevanza della dichiarazione unilaterale resa dal Q. nell’ottica finalizzata alla erogazione del mutuo in favore del B., la stessa avrebbe nella specie assunto una valenza solo secondaria e marginale, considerata la assenza delle indicazioni offerte a sostegno di una siffatta conclusione tali da denunziarne una sostanziale apoditticità.
16.4 Non meno illogiche le considerazioni poste a fondamento del giudizio sulla ritenuta presenza di un interesse del Q. all’acquisto del cespite in questione. Se si muove, così come mostra di fare la Corte distrettuale, dalla considerazione di fondo secondo la quale la dichiarazione scritta del Q. lascia legittimamente pensare ad una configurazione dell’atto in funzione della erogazione del mutuo – considerazione confermata, per quanto si legge in sentenza, nelle dichiarazioni rese in processo dallo stesso Q., nonchè nella peculiarità dell’atto in sè, non tanto per la mancanza di prezzo (circostanza contraddetta dalla documentazione prodotta dalla difesa del Q.), quanto per la superfluità negoziale di un atto che non vincolava in alcun modo il possibile venditore, aliunde non motivato dalle indicazioni delle stesse parti interessate, rimaste silenti sul punto – ecco che le ulteriori osservazioni esposte in motivazione per sostenere un interesse del Q. all’acquisto – afferenti l’asserita congruità dell’offerta, il riferimento alla comunicazione del notaio per la stipula dell’atto, la possibilità di reperire una disponibilità siffatta, se simulata, da chiunque altro ed infine la modestia della caparra, mai presa per vero a fondamento della ipotesi corruttiva – non costituiscono elementi in continuità logica con la rassegnata premessa, finendo anche in parte qua, per giustificare l’invocato annullamento con rinvio della decisione impugnata.
16.5 Da ultimo, nell’escludere la sussistenza del reato in contestazione, la Corte distrettuale conclude per l’assenza sostanziale di un interesse del Q. alle vicende del fallimento della E. Immobiliare srl, risultando lo stesso al più coinvolto non a titolo personale ma nell’interesse dei soggetti per i quali egli era consulente (il Partito popolare Italiano e il fallimento della Europool, gestito sempre dal B.), così da rendere ancor meno plausibile la tesi accusatola in forza alla quale lo stesso si sarebbe mosso, con la dichiarazione fittizia più volte richiamata, per compensare un beneficio, il pilotato fallimento della E. Immobiliare, goduto da altri.
Così facendo tuttavia, la Corte distrettuale è incorsa in un evidente vulnus motivazionale, omettendo di confrontarsi compiutamente con il dato probatorio globalmente emerso in processo e cristallizzato dal Tribunale nella sentenza di primo grado.
Non risultano in particolare valutare criticamente nè tantomeno superati i seguenti nodi essenziali della decisione di primo grado la quale, in parte qua, ha emarginato con nettezza:
– l’interesse dei rappresentanti del PPI ad ottenere il fallimento della società in questione giacchè dalla sorte della stessa dipendeva la liquidazione dell’intero patrimonio immobiliare della ex DC;
– l’individuazione da parte di questi soggetti nel Q. di un consulente fallimentare che potesse coadiuvarli nella adozione delle strategie più confacenti alla specie;
– la scelta di aggredire la società in oggetto tramite una istanza di fallimento senza avere contezza effettiva dello stato di insolvenza della stessa;
– le diverse anomalie procedurali che ebbero a portare alla nomina del B. quale giudice istruttore della procedura prefallimentare in nome di una ragione di connessione (quella assertivamente corrente tra la società fallenda e altro fallimento gestito dal B., quello della Europool) evidenziata al collegio decidente dallo stesso B. e formalmente motivata da una istanza di fallimento, depositata dalla Curatela del fallimento Europool ai danni della Immobiliare E. il giorno dopo quella formulata dal PPI, fondata da una ragione di credito vantata dalla società fallita nei confronti di quella fallenda siccome probatoriamente conclamata da una relazione contabile predisposta dal Q. quale consulente contabile anche della fallita Europool;
– le ulteriori anomalie legate alla istruttoria che ebbe a portare al fallimento della immobiliare E. srl (dalla questione sulla competenza, assolutamente pretermessa, a quella immediatamente afferente la stessa esistenza di un credito esigibile vantato dalla Europool per come messo in discussione dagli ispettori ministeriali);
– la assoluta contiguità temporale tra la dichiarazione del fallimento della E. immobiliare srl e la dichiarazione scritta, contenente l’impegno all’acquisto, rivolta dal Q. al B. e da questi veicolata alla banca M..
Non v’è chi non veda, dunque, come l’evidente rilievo logico da ascrivere a tali elementi in fatto, puntualmente rassegnati nella sentenza di primo grado non consentiva in alcun modo, nel concludere in termini di indifferenza del Q. rispetto alla vicenda legata alla dichiarazione del fallimento della Immobiliare E. srl, la assoluta pretermissione degli stessi per come resa, invece, nel motivare della Corte di Appello, per tale via da ritenersi monco ed incompleto e per ciò solo affetto da una linea logica manifestamente non satisfattiva. Ne viene in parte qua l’annullamento con rinvio al giudice civile giusta l’art. 622 c.p.p. il quale nel rendere il nuovo giudizio, esclusivamente in funzione delle pretese risarcitole, dovrà evitare i vizi di illogicità del motivare segnalati filtrando la fondatezza della prospettazione accusatoria alla luce anche delle emergenze in fatto pretermesse dalla Corte distrettuale per come sopra rassegnate.
All’esito del giudizio di rinvio si procederà alla liquidazione delle spese in favore delle ricorrenti parti civili anche con riferimento al presente grado di giudizio. Al rigetto del ricorso del B. consegue la condanna al pagamento delle spese processuali; alla declaratoria di inammissibilità del ricorso della Curatela del fallimento della Immobiliare P. D., la condanna della stessa al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle Ammende, equitativamente determinata come da dispositivo.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso dell’Avvocatura dello Stato, annulla la sentenza impugnata nei confronti del B. e del Q., con riferimento alla procedura fallimentare Immobiliare E. s.r.l., rinvia ai soli fini della responsabilità civile al Giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo giudizio.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla Curatela fallimentare P. D. srl, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta il ricorso del B. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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