Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-07-2012, n. 13703

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado con la quale erano state rigettate sia la domanda proposta da M.C. perchè venisse accertata l’illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione di dieci giorni dal servizio e dalla retribuzione comminatagli dal Banco di Roma spa, sia la domanda riconvenzionale proposta dalla Banca per ottenere la condanna del lavoratore al risarcimento dei danni subiti per effetto della condotta dello stesso lavoratore.

A tali conclusioni la Corte territoriale è pervenuta osservando che la condotta addebitata al M., cassiere presso una filiale di (OMISSIS) della Banca – consistita nell’essersi recato da solo all’interno del locale caveau per riporre una borsa contenente una ingente somma di denaro nell’armadio corazzato sito all’interno dello stesso caveau e nell’avere poi lasciato le chiavi del caveau e dell’armadio incustodite sulla scrivania del cassiere accentratore – costituiva una grave violazione dell’obbligo di diligenza, oltre che della normativa interna. D’altra parte, secondo il giudice d’appello, neppure la domanda della Banca poteva trovare accoglimento, posto che non era stata provata, con il grado di dovuta certezza, l’esistenza del nesso causale tra la condotta negligente del lavoratore e la sottrazione della somma – che era stata constatata il giorno successivo -, tenuto conto anche del fatto che, al momento della chiusura del caveau, cui avevano provveduto il cassiere accentratore e un funzionario, non era stata rilevata alcuna anomalia.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Unicredit spa (già Banco di Roma e poi Capitalia spa) affidandosi ad un unico motivo di ricorso cui resiste con controricorso M.C., che ha proposto anche ricorso incidentale fondato su un unico articolato motivo.

La Unicredit ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale, nonchè memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente, deve essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ex art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza.

1.- Con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 1218 e 2104 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, relativamente alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto che non fosse stato provato il nesso causale tra la condotta del dipendente e la sottrazione della somma di denaro riposta nella borsa che gli era stata affidata per essere, a sua volta, custodita nel locale caveau della Banca.

2.- Con il ricorso incidentale si denuncia violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, in ordine alla statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto la legittimità della sanzione disciplinare irrogata dalla Banca al lavoratore.

3.- Esaminando nell’ordine logico le questioni proposte dalle parti, va rilevato anzitutto che non sussiste la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato denunciata dal M., in quanto, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, la Corte territoriale, nell’esaminare le diverse infrazioni contestate al lavoratore, ha ritenuto di dare rilievo preminente alla prima delle due violazioni – e cioè a quella di essersi il M. recato da solo all’interno del locale caveau, anzichè farsi accompagnare da almeno un altro operatore – osservando che tale infrazione, attenendo all’osservanza del dovere di diligenza nell’esecuzione della prestazione, posto a carico del lavoratore dall’art. 2104 c.c., era già di per sè sufficiente a giustificare la legittimità della sanzione disciplinare irrogata.

4.- Così decidendo, la Corte territoriale ha fatto puntale applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte secondo cui nell’ipotesi in cui al lavoratore siano state contestate più infrazioni, alcune delle quali siano di per sè sole sufficienti a giustificare la sanzione irrogata, la validità del provvedimento sanzionatorio non è inficiata dal fatto che determinate infrazioni, fra quelle contestate dal datore di lavoro, non risultino provate in giudizio, ove lo stesso giudice – al quale compete ogni valutazione circa la proporzionalità della sanzione inflitta – fornisca logica spiegazione della ritenuta proporzionalità fra la sanzione in concreto irrogata dal datore di lavoro e le violazioni dei doveri del lavoratore delle quali sia stata fornita prova certa (cfr. ex plurimis Cass. n. 2579/2009, Cass. n. 19343/2007, Cass. n. 11674/2005, Cass. n. 6668/2004, Cass. n. 454/2003, Cass. n. 3946/89).

Ed infatti la legittimità di una sanzione disciplinare irrogata al lavoratore subordinato per una pluralità di infrazioni contestate non può essere esclusa con riguardo al principio di proporzionalità di cui all’art. 2106 c.c. solo per il fatto che alcuni di tali addebiti risultino infondati (fuori dall’ipotesi di una specifica previsione contrattuale che configuri i diversi addebiti come componenti essenziali di un’unica figura complessa di illecito disciplinare), atteso che la proporzionalità risulta dalla comparazione tra sanzione inflitta e infrazione commessa nel caso concreto, ed anche una sola delle infrazioni può risultare proporzionata alla sanzione inflitta (Cass. n. 9262/2005, Cass. n. 7860/91).

5.- Peraltro, il giudizio circa la gravità delle infrazioni commesse dal lavoratore e la loro attitudine a giustificare il provvedimento disciplinare implica un tipico accertamento di fatto demandato al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione se priva di errori logici o giuridici (cfr. ex plurimis Cass. n. 16628/2004, Cass. n. 8571/96).

6.- Il M. ha contestato la valutazione operata dalla Corte d’appello in ordine alla legittimità della sanzione disciplinare inflitta dalla Banca (per quanto riguarda entrambe le infrazioni contestate), sostenendo, in sintesi, che la responsabilità dell’accaduto doveva far carico esclusivamente al suo superiore gerarchico (che aveva funzioni di cassiere accentratore), il quale gli aveva ordinato di compiere da solo l’operazione in questione ed era l’unico responsabile della custodia delle chiavi del locale caveau.

7.- Premesso che le deduzioni svolte dal lavoratore in ordine alla responsabilità della custodia delle chiavi del locale caveau sono irrilevanti ai fini del giudizio di proporzionalità della sanzione inflitta in quanto la Corte territoriale, come già detto, non ha esaminato tale questione ai fini della legittimità della sanzione disciplinare, va rilevato, quanto al primo dei due addebiti mossi al lavoratore (e cioè quello consistente nell’aver provveduto al trasferimento di valori dal locale cassa al locale caveau, recandosi da solo all’interno di quest’ultimo locale), che la Corte d’appello ha ritenuto che la mancanza commessa dal lavoratore giustificasse l’applicazione della sanzione disciplinare in quanto afferente ad una elementare quanto fondamentale procedura interna, che era stata portata a conoscenza dei dipendenti mediante apposito ordine di servizio, e che rispondeva ad evidenti ragioni di sicurezza e di tutela del buon fine delle operazioni di trasporto di valori. Tale violazione assumeva poi particolare rilevanza nell’ambito del rapporto di lavoro bancario, in cui l’elemento fiduciario riveste evidentemente una fondamentale importanza in relazione alla delicatezza delle mansioni affidate ai dipendenti.

8.- Si tratta, dunque, di una valutazione di fatto, demandata al giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perchè, come condivisibilmente osservato dalla Corte di merito, la eventuale responsabilità del cassiere accentratore per non avere disposto e curato che il M. fosse coadiuvato da un altro operatore nell’esecuzione dell’operazione di trasporto valori, nulla toglie alla configurabilità di una responsabilità disciplinare a carico dello stesso M. per non avere usato la diligenza richiesta dalla natura della prestazione e per avere comunque violato, nel corso dell’operazione, precise disposizioni impartite dal datore di lavoro per l’esecuzione delle operazioni di trasporto valori, tanto più importanti in un caso in cui si trattava della custodia di una ingente quantità di denaro contante (L. 190.000.000).

9.- Quanto all’affissione del codice disciplinare, deve ritenersi che la Corte territoriale, con l’affermazione che nel caso in esame veniva in rilievo la violazione di uno dei doveri fondamentali del lavoratore, riconducitele all’obbligo di diligenza stabilito dall’art. 2104 c.c., abbia implicitamente rigettato l’eccezione sollevata sul punto dal M., decidendo così in senso conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. n. 1926/2011, Cass. n. 17763/2004), secondo cui anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative – e non per le sole sanzioni espulsive – deve ritenersi che in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorie sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perchè contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale o perchè si tratta di fatti che costituiscono gravi violazioni di doveri fondamentali del lavoratore, non sia necessario provvedere all’affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta.

10.- Le censure proposte con il ricorso incidentale devono essere pertanto rigettate. La decisione impugnata non appare invece condivisibile, dovendo ritenersi fondate le censure svolte con il ricorso principale avverso la stessa decisione, laddove ha ritenuto di dover confermare il rigetto della domanda risarcitoria proposta dalla società nei confronti del lavoratore sul rilievo della mancanza di prova di un nesso causale tra la condotta del dipendente e l’ammanco della somma di L. 190.000.000.

11.- Al riguardo, la Corte territoriale ha osservato che la domanda della società non poteva trovare accoglimento, atteso che "tra la condotta negligente del dipendente (consistita nell’omesso accompagnamento) e l’evento della sparizione dei soldi" non era ravvisabile "con il grado di dovuta certezza e concretezza, la prova della sussistenza del nesso causale". Ed infatti, "come si rileva già dalla stessa memoria di costituzione della banca nel giudizio di primo grado, una volta che il M. restituiva le chiavi (sia pur nel modo "anomalo " sopra indicato) sulla scrivania del C., quindici minuti dopo il C. ed il S. "procedevano alla chiusura del caveau, ed all’inserimento del dispositivo di allarme, non rilevando alcunchè di anomalo" (pag. 3 della memoria in atti)".

12.- La motivazione sul punto presenta, tuttavia, una obiettiva incoerenza ed un evidente vizio logico, poichè, non avendo il giudice d’appello preso in esame la condotta del M. successiva al trasferimento dei valori dal locale cassa al locale caveau, non si vede come possa poi avere senz’altro escluso che tale successiva condotta – consistita, secondo la lettera di contestazione, nell’aver lasciato le chiavi del locale caveau e dell’armadio corazzato incustodite sulla scrivania del capoufficio – possa avere quanto meno contribuito alla causazione dell’evento. Nè, d’altra parte, può assumere rilievo decisivo al fine di escludere comunque la riferibilità dell’evento alla condotta del lavoratore la circostanza che al momento della chiusura del locale caveau non sia stato rilevato alcunchè di anomalo, giacchè tale constatazione atteneva evidentemente alle condizioni esterne della cassaforte e dell’armadio corazzato siti all’interno del caveau – che non presentavano, infatti, segni di effrazione – ma non può valere certamente ad escludere, di per sè, la possibilità che il denaro sia stato sottratto da ignoti utilizzando le chiavi lasciate dal M. sulla scrivania del capoufficio nel lasso di tempo intercorso fino alla chiusura del locale caveau.

13.- La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione al ricorso accolto e la causa va rinviata ad altro giudice, che si designa nella Corte d’appello di Lecce, il quale provvederà ad effettuare gli accertamenti omessi nella precedente fase di merito e liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale, accoglie il principale, cassa in relazione al ricorso accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Lecce.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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