Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13695

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Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data 15.5.1998, la s.s. M. di F. R. & più, in persona dell’omonimo titolare F.R. (di seguito, brevemente, s.s. M.), conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Nuoro il Comune di Orosei, esponendo che in data 9 e 10.12.1997 si erano verificate intense precipitazioni, le quali, presso la foce del fiume Cedrino, a causa della barriera di dune che chiudeva il varco verso il mare, avevano provocato l’innalzamento del livello idrico della foce stessa e l’allagamento dei terreni circostanti, compreso quello dove operava essa impresa ricorrente, con ingenti danni alle colture presenti nelle serre; aggiungeva che la situazione di emergenza era stata preannunciata al Comune convenuto dal Consorzio di Bonifica della Sardegna centrale con fax in data 9 dicembre 1997 diretto al Sindaco di Orosei, per cui quest’ultimo avrebbe potuto evitare l’inondazione aprendo tempestivamente nella duna un varco di deflusso verso il mare. Tanto premesso e precisato che l’intervento del Sindaco era stato intempestivo, per cui a lui dovevano essere imputati i danni provocati dall’allagamento in considerazione della colpevole inerzia, la società attrice chiedeva di condannare l’ente locale al risarcimento dei danni conseguenti all’evento in questione, in ragione di L. 101.371.750.
Si costituiva in giudizio il Comune di Orosei, che eccepiva, in via pregiudiziale, la carenza di legittimazione passiva, rilevando che in materia di eventi calamitosi sussisteva una competenza dello Stato e delle Regioni e che, in ogni caso, l’eventuale potere di intervento del Sindaco sarebbe stato riconducibile soltanto all’azione espletata in qualità di Ufficiale di Governo; negava, peraltro, nel merito, qualsiasi responsabilità, assumendo di essere stato allertato quando ormai non vi era più tempo materiale per evitare alcuna misura preventiva utile ad evitare l’evento.
Con sentenza pubblicata in data 1 ottobre 2003 il Tribunale di Nuoro rigettava la domanda compensando interamente le spese tra le parti.
La decisione, gravata da impugnazione della s.s. M., era confermata dalla Corte di appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari, la quale con sentenza in data 2 marzo 2005 rigettava l’appello, compensando le spese del grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s.s.
M., svolgendo un unico motivo.
Ha resistito il Comune di Orosei, depositando controricorso.
Motivi della decisione
1. La sentenza impugnata – previa inquadramento della fattispecie nell’ambito normativo della protezione civile, siccome fondata sull’inosservanza dello specifico dovere di fronteggiare nei modi previsti dalla L. n. 225 del 1992 la straordinaria situazione di emergenza, indotta da un evento calamitoso (inondazione) – ha, da un lato, ritenuto inammissibile, per la sua novità, la domanda formulata con la memoria ex art. 183 cod. proc. civ. intesa a far valere la violazione da parte del Sindaco dei doveri di gestione ordinaria dell’assetto del territorio comunale (L. n. 142 del 1990, art. 9) e, dall’altro, affermato il difetto di legittimazione passiva del Comune in relazione alle funzioni della protezione civile, trattandosi di materia, almeno all’epoca di riferimento (anteriore al D.Lgs. n. 112 del 1998), di interesse proprio dello Stato.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente – dichiaratamente prestando acquiescenza alla ridetta qualificazione della domanda – denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 225 del 1992, artt. 6 e 15, anche in combinato disposto tra loro e in relazione all’art. 2, lett. a, della medesima legge (art. 360 c.p.c., n. 3).
A corredo del motivo formula il quesito, chiedendo a questa Corte:
"se ai sensi della L. n. 225 del 1992, artt. 6 e 15 interpretati sistematicamente e in combinato disposto tra loro, avuto riguardo all’art. 2, lett. a, della medesima legge, il Sindaco sia titolare di competenze proprie in materia di protezione civile e, correlativamente, sotto la vigenza della L. n. 225 del 1992 debba essere evocato in giudizio nella sua qualità di Autorità Comunale di protezione civile e non già come Ufficiale di governo".
1.2. Il ricorso non merita accoglimento.
La questione è già stata risolta con sentenza di questa Corte 20 luglio 2010, n. 16921, riguardante analoga vicenda tra le stesse parti, con la quale è stato affermato il principio, cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui anche le emergenze rientranti nella L. n. 225 del 1992, art. 2, lett. a, ("eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria") rientrano nelle attività di protezione civile, come emerge chiaramente dal disposto dell’art. 3, comma 1, stessa legge ("Sono attività di protezione civile quelle volte alla previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio, al soccorso delle popolazioni sinistrate ed ogni altra attività necessaria ed indifferibile diretta a superare l’emergenza connessa agli eventi di cui all’art. 2 ") e sono (nel regime, che qui rileva, antecedente al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 che ha demandato alle Regioni buona parte delle funzioni di protezione civile, affidando alle Province e ai Comuni l’attuazione dei programmi regionali) di competenza statale.
Il fulcro della L. n. 225 del 1992 sta, infatti, nella esigenza di unitarietà di direzione della protezione civile, tenuto conto della rilevanza nazionale delle attività di tutela nel loro complesso e della necessità che i molteplici organismi, a vario titolo interessati ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, agiscano in modo armonico e razionale, di modo che le risorse disponibili vengano impiegate opportunamente e conducano alla maggiore efficacia degli interventi.
1.3. Con riferimento alla concreta vicenda all’esame, la Corte d’Appello ha, dunque, correttamente evidenziato che, ai sensi della L. 24 febbraio 1992, n. 225 (anteriormente al cit. D.Lgs. n. 112 del 1998) le funzioni di protezione civile erano interamente affidate allo Stato, il quale, a tal fine, promuoveva e coordinava le attività delle amministrazioni centrali e periferiche, tra i quali anche il Comune, operante, però, in tale quadro, non già quale ente locale, ma come organo del servizio nazionale della protezione civile; ha, altresì, osservato che – seppure è consentito al Comune di dotarsi di una struttura di protezione civile (art. 15, comma 1, di detta legge) – ciò non ha inciso sulla natura delle attività svolte in tale contesto dal Sindaco, il quale in ogni caso agisce in qualità di "autorità comunale di protezione civile", parallelamente a quanto è previsto anche nei riguardi del prefetto e del presidente della giunta regionale. Peraltro, nel caso di specie, la sentenza impugnata da atto che non risulta che il Comune di Orosei si fosse dotato di una propria struttura di protezione civile all’epoca dei fatti.
1.4. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il Sindaco cumula istituzionalmente nella propria persona la qualità di capo dell’amministrazione comunale e, nei casi previsti dalla legge, quella di ufficiale di governo, così assommando una doppia investitura; con la conseguenza che per effetto di tale investitura, al fine di stabilire, nell’ipotesi considerata, in quale veste egli abbia concretamente agito, non si può aprioristicamente dare la preferenza all’una o all’altra, ma occorre individuare, di volta in volta, l’appartenenza dello specifico interesse pubblico perseguito, con la conseguente riferibilità dell’attività svolta allo Stato o al Comune, secondo la titolarità dell’interesse dato, associata, questa, di norma, alla titolarità passiva delle obbligazioni derivanti dal suo esercizio (Cass. 6 dicembre 2005 n. 26691; cfr.
anche Cass. n. 9268 del 1992, 5677 del 1979).
Nella fattispecie, vertendosi nell’ambito di attività di esclusiva competenza statale (almeno all’epoca dei fatti), è stata, dunque, correttamente esclusa la legittimazione del Comune.
In conclusione il ricorso va rigettato; segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012
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