Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 30-01-2013) 04-03-2013, n. 10141

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari – con sentenza del 11/03/2011 in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato F.S. per il delitto di estorsione.

L’estorsione, qualificata in primo grado quale esercizio arbitrario delle proprie ragioni e ritenuta in quella sede improcedibile per difetto di querela, riguarda la richiesta di pagamento effettuata da F., imprenditore edile, nei confronti di uno degli acquirenti di lotti edificabili, successivamente ceduti, nonchè del titolare dell’impresa che avrebbe dovuto proseguire i lavori per conto della società acquirente, lotti su cui l’impresa facente capo al ricorrente aveva realizzato in precedenza lavori di scavo ed i rustici su incarico dell’originaria proprietaria, poi dichiarata fallita. Le richieste di pagamento hanno ad oggetto delle somme, asseritamente spettanti alla società facente capo al F. per i lavori eseguiti, formulate con la minaccia di impedire l’emissione delle concessioni edilizie necessarie per il completamento delle opere in corso di realizzazione, resa concreta dalla possibilità di agire presso il capo dell’ufficio tecnico ed il sindaco, ai quali lo legavano vincoli di parentela.

2. La difesa di F., con due atti graficamente e temporalmente diversi ma sostanzialmente identici, ha proposto i seguenti motivi di ricorso:

a. assenza di motivazione nella pronuncia impugnata sull’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’accusa, in quanto formulato dal P.m. in servizio presso il Tribunale di Sassari, nonchè analogo vizio dell’impugnazione proposta dal P.g. presso la competente Corte d’appello, perchè privo di qualsiasi autonomia valutativa, essendosi questi limitato a sottoscrivere atti predisposti da terzi.

b. analisi solo parziale delle risultanze istruttorie quali la sentenza civile, che aveva respinto la richiesta di risarcimento in favore della società di cui faceva parte F., per motivi procedurali e non di merito; la chiara deposizione di una parte lesa che aveva affermato la volontà di risarcire in qualche modo l’odierno ricorrente; la circostanza che F., contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, non aveva agito in proprio, poichè si era fatto rilasciare assegni intestati alla società a cui apparteneva. Il dato dimostrava l’esistenza oggettiva del credito della società a lui facente capo, che aveva eseguito le opere, il cui valore era superiore alla somma ottenuta; l’inesistenza della capacità di pressione, fondata, secondo la sentenza, su una parentela con P., capo dell’ufficio tecnico del comune, in realtà inesistente.

c. contrasto della motivazione con le risultanze, quale il richiamo alla pretesa di pagamento fondata sulla realizzazione di lavori di scavo, causale diversa dalla stessa indicazione contenuta nel capo di imputazione, che farebbe pensare ad una sua modifica, in violazione dell’art. 522 c.p.p..

d. contrasto della ricostruzione dal punto di vista logico e giuridico, che riconosce la necessità che, al fine dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni sussista la convinzione dell’esistenza di un credito da parte dell’agente, per poi giungere ad attribuire rilevanza alla natura oggettiva, di fatto contraddicendo tale assunto e la tracciata differenza tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

e. contrasto nella ricostruzione giuridica ove in motivazione si colgono elementi del reato meno grave, cui viene invece conferita rilevanza al fine della configurazione del reato di estorsione, anche nella parte in cui si considera che F. avrebbe escusso un credito non suo, omettendo di considerare che l’esistenza del credito farebbe venir meno l’ingiustizia del danno.

f. contrasto della ricostruzione posta a base della sentenza con il giudicato sull’ipotesi di tentativo di estorsione, riqualificato in primo grado come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non oggetto di impugnazione, che costituisce episodio intimamente connesso con quello oggetto di questo procedimento.

g. mancata giustificazione del dolo del reato, in presenza di tali presupposti di legittimità, quanto meno soggettiva, dell’azione da parte dell’agente.

Denunciata la presenza di violazione di legge e vizio di motivazione sui punti richiamati, si chiede l’annullamento della sentenza impugnata.

In linea subordinata la difesa ha sollecitato l’accertamento di prescrizione del reato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente inammissibile, sollecitando una nuova valutazione di merito, preclusa in questa fase.

2. L’esame degli atti ha consentito di accertare che contrariamente all’assunto contenuto in ricorso, nella sentenza impugnata è presente una specifica motivazione di rigetto dell’eccezione di inammissibilità degli appelli proposti dall’accusa a fg. 39 della pronuncia, con le cui argomentazioni il ricorrente non si confronta.

In particolare, in ordine alla ritenuta inammissibilità dell’appello proposto dall’accusa la sentenza impugnata pone in dubbio la mancata potestà di impugnazione del P.m. di primo grado, dando per non accertato pacificamente il suo avvenuto trasferimento presso diverso ufficio, in ogni caso rilevando che la Procura generale aveva operato autonoma impugnazione.

Sul punto la difesa si limita a riproporre il vizio sollevato in ordine all’impugnazione del P.m., senza argomentare o richiamare documentazione dimostrativa contenuta in atti, riguardo alla regolarità della sua presenza in servizio presso quell’ufficio, mentre, quanto all’impugnazione del P.g. ne desume l’inammissibilità sulla base di precedenti che ne ritengono la sussistenza nel caso di rinvio per relationem ai motivi redatti da altri, indubbio essendo al contrario, che nella specie con la sottoscrizione dell’atto il P.g.

abbia fatto propri i motivi formulati, irrilevante essendone, al fine della legittimazione alla proposizione, l’ipotetica materiale redazione di questi a cura di terzi.

Peraltro per completezza si rileva che, come è agevole rilevare dal testo della pronuncia (segnatamente fg. 48) è stata valutata nel merito esclusivamente l’impugnazione del P.g. circostanza che da ulteriormente conto dell’inammissibilità e irrilevanza del primo rilievo.

3. La rilevanza delle ulteriori deduzioni di fatto, di cui si assume l’illegittima valutazione deve essere esaminata sulla base, della differenza strutturale tra l’ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e del diverso reato di estorsione ritenuto dalla Corte di merito. Sul punto deve condividersi l’impostazione seguita dalla Corte ove, richiamato l’elemento differenziale tra le due ipotesi di reato nell’atteggiamento soggettivo del richiedente, si è poi precisato che tale atteggiamento non può risolversi in una valutazione autoreferenziale di fondatezza della richiesta, dovendo possedere una parvenza di oggettività che nella specie non è stata riscontrata per le ragioni esaurientemente esposte dalla sentenza, con valutazione coerente e completa, rispetto alla quale la difesa si limita alla riproposizione delle medesime circostanze di fatto, di cui si sollecita una nuova valutazione.

In particolare, considerato che F., come si accennava in narrativa, aveva eseguito per conto di un società poi fallita, lavori sui lotti edificabili, poi venduti ad altra società, è stato rilevato che egli non aveva alcun titolo per richiedere una somma la cui determinazione risulta del tutto sganciata da documentazioni di spese effettivamente affrontate, sia alla società acquirente, che aveva già pagato il valore di beni attività che avevano innalzato il valore del lotto, sia a maggior ragione presso la società che aveva acquisito da quest’ultima l’appalto per la prosecuzione dei lavori, per di più senza dimostrare di aver operato un’analoga valutazione dei costi nella domanda di insinuazione al fallimento, al fine, quanto meno, di conferire un minimo di concretezza alle sue richieste.

A fronte di tali pertinenti osservazioni che giustificano il discrimine tra le diverse fattispecie penali, l’impugnante si limita a reiterare osservazioni di merito, senza segnalare incongruità o contraddizioni della pronuncia, dovendo intendersi che la convinzione di agire per la tutela del proprio diritto non può muoversi solo sulla base di una determinazione soggettiva che non abbia alcun collegamento con titolo di legittimazione giuridicamente riconosciuto, quali obbligazioni derivanti da contratti, o da indebito arricchimento, o fatti illeciti idonei a provocare un danno ingiusto, come invece risulta esposto nella specie.

Nè tale conclusione può essere superata dalla generica valorizzazione di quanto affermato dalla parte lesa in ordine alla volontà di risarcimento espressa nei confronti di F., poichè la sua formulazione generica, in assenza dell’individuazione di una causa dell’obbligazione, ben può correlarsi ad una valutazione di opportunità svolta dall’imprenditore, in considerazione dei fastidi, e dei relativi costi derivanti all’attività aziendale, nel caso di ostinata opposizione alla richiesta ingiusta, che nella stessa prospettazione difensiva risulta sganciata dal riconoscimento di un diritto.

Per completezza si osserva l’insussistenza della pretesa modifica dell’imputazione che si assume operata nella pronuncia impugnata sulla individuazione di lavori di scavo, in luogo che di edificazione sul suolo oggetto di vendita, da parte del F., poichè elemento caratterizzante la fattispecie è la pretesa economica da questi correlata ad attività svolta sul terreno edificabile, al contrario risultando l’incertezza del suo contenuto, un ulteriore elemento di inconsistenza della pretesa, che, come si è già rilevato, non trae fondamento in uno specifico atto contrattuale. In fatto sì rileva che nel capo di imputazione è assente l’individuazione del preteso titolo della richiesta, il che esclude, a monte, che possa profilarsi una modificazione dell’imputazione non consentita.

Si deve inoltre osservare che le ulteriori imprecisioni nella ricostruzione dei fatti presenti nella pronuncia ed evidenziate nell’atto di ricorso, prima che essere irrilevanti, sono indimostrate.

Ci si riferisce, in particolare, alla qualificazione della natura della pronuncia che ha definito la causa civile promossa dal F., per motivi procedurali e non di merito, in quanto quel che rileva è che, a seguito di tale insuccesso, l’interessato abbia abbandonato la via del recupero giudiziario, pur avendo ottenuto un ulteriore indebolimento della sua sensazione soggettiva di essere titolare di un diritto, e sia passato a formulare minacce; come indimostrata è l’assenza di potenzialità delle minacce, formulate richiamando la propria qualità di affine del responsabile dell’ufficio tecnico del comune, legame di parentela che nel ricorso si contesta genericamente, senza denunciare sul punto travisamento del fatto.

4. Da ultimo, per completezza, si rileva che la valutazione della fattispecie deve essere svolta, come correttamente eseguito dal Tribunale, sulla base dei criteri oggettivi che hanno caratterizzato l’acquisizione delle prove, in tal senso quindi del tutto irrilevante è il passaggio in giudicato della pronuncia che ha qualificato tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni altro episodio analogo realizzato da F., in quanto tale definizione è stata conseguenza di scelte operate dall’organo dell’accusa, sulla base di una valutazione di economia processuale, che non contribuisce a creare un contrasto di giudicati, non essendo la verifica sull’accertata oggettività di fatto confliggente con la verifica svolta per il diverso reato.

5. All’accertamento dell’inammissibilità originaria del ricorso, consegue l’irrilevanza nel giudizio della maturazione della prescrizione, intervenuta il 28 maggio 2011, data successiva a quella di pronuncia della sentenza impugnata.

La dichiarazione di inammissibilità impone, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende determinata come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di F.S. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2013
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