Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13694

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 18-29 ottobre 2002, il Tribunale di Roma – decidendo sulla domanda proposta da B.A. e R. T., in nome e per conto del figlio minore B.D., nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione e della scuola elementare statale (OMISSIS) per il risarcimento dei danni occorsi al minore, mentre si trovava nel giardino della scuola per svolgere attività sportive – condannava il Ministero al pagamento della somma di Euro 14.475,00 oltre interessi, mentre rigettava la domanda nei confronti della suddetta scuola elementare.

La decisione, gravata da impugnazione del solo Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, succeduto al Ministero della P.I., era confermata dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza in data 9 ottobre 2006, rigettava l’appello, condannando il Ministero al pagamento delle spese del grado in favore di B.D., divenuto nelle more maggiorenne; compensava, invece, le spese tra lo stesso Ministero e B.A. e T.R., ritenendo che l’impugnazione, con il raggiungimento della maggiore età del figlio, si fosse concentrata nei confronti di quest’ultimo.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'(attuale) Ministero della Pubblica Istruzione sia nei confronti di B. D. (erroneamente indicato in ricorso come B.), sia nei confronti di B.A. (anche lui individuato come B.) e di T.R., svolgendo cinque motivi.

Hanno resistito, depositando distinti controricorsi, sia B. D. che ha chiesto il rigetto del ricorso, sia B.A. e T.R., che hanno eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione nei loro confronti.

B.D. ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione

1. La Corte di appello – muovendo dalla premessa che era incontroverso che l’incidente di cui trattasi si verificò nel corso di una lezione dedicata ad attività sportiva, tenuta nel giardino della scuola e dalla ulteriore considerazione, desunta dalla deposizione della teste Pi., che il piccolo D. ebbe a danneggiarsi, urtando contro un sostegno in ferro, mentre correva insieme ad altri bambini – è pervenuta alla conferma della responsabilità del Ministero, per non avere lo stesso fornito la prova liberatoria ad esso incombente di dimostrare che il danno si era verificato per causa ad esso non imputabile e, segnatamente: a) per non avere provato di avere considerato (e neutralizzato) la pericolosità del sostegno in ferro del canestro del campetto di basket; b) per non avere l’insegnante svolto alcun intervento idoneo a controllare la naturale esuberanza dei bimbi, che, con il piccolo D., in gruppo avevano cominciato a correre, contravvenendo le regole del gioco; c) perchè l’età dei bambini che costituiva la classe (9 anni) richiedeva una maggiore attenzione da parte dell’autorità scolastica che avrebbe dovuto potenziare la sorveglianza, anche in considerazione delle condizioni in cui si svolgeva la lezione.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., degli artt. 1218, 1243, 2043 e 2697 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3). A corredo del motivo parte ricorrente enuncia il quesito di diritto, chiedendo a questa Corte: se alla stregua del comb. disp. dell’art. 116 (cod. proc. civ.), degli artt. 1218, 2043 e 2697 (cod. civ.) la mera testimonianza de relato della Pi. valeva a ritenere dimostrata la situazione fattuale costituita dalla pericolosità del sostegno in ferro e della naturale esuberanza dei bambini dell’età del B. e dei suoi compagni all’epoca dell’incidente che li aveva portati a correre, in rapporto alla quale il Ministero avrebbe dovuto fornire la prova liberatoria.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), per non avere tenuto conto del contrasto esistente tra la testimonianza Pi. e la relazione della docente, che doveva ritenersi più attendibile.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) per non avere preso in esame la relazione della docente.

1.4. Con il quarto motivo si denuncia si denuncia insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) per non avere considerato che non spettava alla docente neutralizzare il sostegno del canestro o potenziare la vigilanza della classe.

1.5. Con il quinto motivo si denuncia si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere ritenuto che l’impugnazione si fosse concentrata nei confronti del solo minore e non avere annullato la statuizione emessa in primo grado con cui si riconosceva ai genitori l’importo di Euro 500,00 ciascuno in proprio.

2. Il ricorso è inammissibile per inosservanza del disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ. applicabile alla fattispecie all’esame, attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare l’ultra-attività della norma (per tutte, v. espressamente Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194), la quale resta applicabile in virtù del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2 ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze (come quella in oggetto) e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che rilevi la sua abrogazione, a far tempo dal 4 luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett- d), in forza della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima.

Si rammenta che il quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., prima parte in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 deve comprendere (tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339) sia la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; sia la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; sia ancora la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Mentre per quanto riguarda il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 la chiara indicazione (c.d. quesito di fatto) richiesta dalla seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, (omologa del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Unite, 1 ottobre 2007, n. 20603).

2.1. Orbene il quesito enunciato da parte ricorrente a corredo del primo motivo e sopra riportato risulta privo del requisito essenziale della specifica, diretta ed autosufficiente formulazione di un interpello a questa Corte, sull’errore di diritto asseritamente commesso dai giudici del merito e sulla corretta applicazione della norma quale proposta nella specie dalla ricorrente, rivelando, piuttosto, il suo contenuto come, nella sostanza, il motivo sia surrettiziamente finalizzato ad una rivalutazione delle risultanze probatorie, inconciliabile con la natura del giudizio di legittimità.

Gli altri motivi – denuncianti tutti insufficienza (e l’ultimo anche contraddittorietà) della motivazione – non si concludono e neppure contengono un momento di sintesi da cui risulti non solo il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ma anche – se non soprattutto – la decisività del vizio, e cioè le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, ma anche la decisività del vizio (cfr. Sez. Unite, 1 ottobre 2007, n. 20603;

Cass. ord., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass. ord. 7 aprile 2008, n. 8897).

2.2. Alle pur assorbenti considerazioni che precedono non si ritiene superfluo aggiungere quanto segue.

2.2.1.Con specifico riferimento ai primi quattro motivi – incentrati, per vario verso, sul presupposto dell’"irrilevanza" della deposizione de relato, quantomeno in considerazione della diversa ricostruzione della vicenda che emergerebbe dalla relazione dell’insegnante – si osserva che i motivi stessi, per un verso, si rivelano, anche, manifestamente infondati e, per altro verso, incorrono in un ulteriore profilo di inammissibilità.

Manifestamente infondati, perchè in tema di rilevanza probatoria delle deposizioni di persone che hanno solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso, occorre distinguere i testimoni de relato actoris e quelli de relato in genere: i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell’accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa; gli altri testi, quelli de relato in genere (come la testimone di cui trattasi), depongono invece su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata perchè indiretta, ma, ciononostante, può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità. (Cass. 3 aprile 2007, n. 8358).

I suddetti motivi (soprattutto il 2, il 3 e il 4) si rivelano anche inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, facendo riferimento ai contenuti di una relazione che si assume "esibita" dal Ministero, senza peraltro che venga precisato nè quando sia avvenuta siffatta "esibizione", nè dove la produzione documentale sia rinvenibile (e, anzi, lasciando dubitare l’espressione usata che vi sia stata una rituale produzione documentale). Nè a tutto ciò supplisce quanto riportato nell’esposizione del terzo motivo, posto che il testo ivi trascritto non corrisponde al contenuto della relazione che il resistente B.D. ha puntualmente individuato come doc. n. 5 del proprio fascicolo di parte di primo grado.

2.2.2. Con specifico riferimento all’ultimo motivo va, altresì, aggiunto che la censura – presupponendo che l’intervenuta "concentrazione" dell’impugnazione nella persona di D. B. avrebbe dovuto comportare l’annullamento di una "voce" di danno, asseritamente riconosciuta ai genitori in proprio – postula un error in procedendo per cui avrebbe dovuto essere formulata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 4, consentendo in tal modo alla Corte l’esame degli atti. Peraltro la ricostruzione dell’iter processuale, quale emergente dalla decisione impugnata, unitamente alle indicazioni risultanti dall’epigrafe della sentenza impugnata (da cui risulta che B.A. e T.R. vennero evocati in appello quali genitori esercenti la patria potestà sul figlio D.), smentisce l’assunto del Ministero, secondo cui i suddetti genitori fossero presenti nel giudizio anche in proprio.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore di B.D. in Euro 3.000,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge e in favore di B.A. e T.R., in solido, in Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012
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