Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 30-01-2013) 04-03-2013, n. 10140

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Venezia con sentenza del 24/04/2012, pronunciata in sede di giudizio di rinvio da questa Corte, parzialmente riformando la sentenza del 12/01/1998 del Tribunale di Padova, ha assolto T.F.A. dalle imputazioni di cui ai capi 26) e 45), confermando l’accertamento di prescrizione delle ulteriori imputazioni. Si argomenta su tali capi che i motivi d’appello originariamente proposti risultavano generici e meramente evocativi della richiesta di assoluzione, così giustificando la dichiarazione di inammissibilità del gravame di merito.

2. Propone ricorso la difesa di T. per rilevare che la conferma delle ulteriori statuizioni della sentenza di primo grado, ha coinvolto i capi di accusa 2), furto aggravato in relazione al quale nell’atto d’appello era stata sollecitata l’assoluzione per non aver commesso il fatto o la derubricazione; il capo 12) furto aggravato in relazione al quale era stata sollecitata l’assoluzione per non aver commesso il fatto o la derubricazione in favoreggiamento reale; ai capi 4), 10), 14 bis), 25), 44), 48), 56) e 60) reati di falso, in relazione ai quali era stata sollecitata la pronuncia di assoluzione per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste.

Ciò premesso si deduce che la sentenza impugnata è viziata per violazione di legge e difetto di motivazione, poichè si ritiene che in forza della disposizione di cui all’art. 581 c.p.p., lett. c), sia onere dell’impugnante indicare solo il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice dell’impugnazione, essendo in termini nel corso del dibattimento per esplicita re le ragioni a sostegno del gravame.

In ogni caso si osserva che la censura specifica contenuta nell’appello riguardava sia la nullità della pronuncia di primo grado per mancata applicazione del principio del favor rei, sia la violazione di norma processuale, essendosi eccepito che l’affermazione di responsabilità era stata fondata su prova inutilizzabile.

In ordine a tale aspetto si osserva che la condanna in primo grado era stata fondata su pretese ammissioni di responsabilità dell’imputato, malgrado non ne fosse stata disposta l’audizione in dibattimento, a fronte di una specifica richiesta in argomento formulata dal difensore.

Si sollecita pertanto l’annullamento della sentenza per violazione delle norme di cui agli artt. 129 e 530 c.p.p..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Risulta principio del tutto pacifico che, in presenza di una causa di prescrizione in giudice sia tenuto a dichiararla, eccetto che nell’ipotesi in cui emerga "positivamente" (".. risulta evidente.." art. 129 c.p.p., comma 2) dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto contestatogli.

La deduzione difensiva formulata in atto di appello nulla allegava al riguardo, tanto che la Corte, in relazione alle imputazioni residue, ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione, per mancanza dei motivi.

La tesi difensiva, sulla base della quale si ritiene doveroso indicare nel nell’atto di appello solo la richiesta, e non gli argomenti sui quali si fonda è contraddetta dalla chiara disposizione di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), che impone "l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta", specificità ancora più imperativa ove, come sollecitato, si richiedeva l’assoluzione a fronte della già intervenuta maturazione dei termini di prescrizione.

Quanto richiamato smentisce l’assunto del ricorrente, in ordine alla possibilità di precisare le proprie richieste nel corso del giudizio, ed impone di accertare la manifesta inammissibilità del ricorso.

Per contro, a fronte dell’incontestata genericità dell’atto d’appello su gli altri capi non può assumere alcun rilievo la deduzione di pretese violazioni processuali, non esaminate dal giudicante in appello, atteso che, a fronte dell’intervento della causa estintiva del reato, quel che rileva per sollecitare un accertamento di merito è esclusivamente l’esistenza di circostanze di fatto che permettano di accedere alle formule di proscioglimento richiamate dall’art. 129 c.p.p., risultando chiaro che l’applicazione di una causa estintiva del reato è imperativa quando non esista la prova evidente sulla ricorrenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito (Sez. 6, Sentenza n. 22205 del 26/03/2007, dep. 07/06/2007, imp. Bastoni, Rv. 236698) situazione concreta in relazione alla quale lo stesso ricorrente ammette di non aver svolto deduzioni.

3. All’accertamento di inammissibilità del ricorso consegue la condanna dell’interessato al pagamento delle spese del grado e della somma indicata in dispositivo, da corrispondere in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2013

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