Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. La R. srl in liq.ne ricorre – affidandosi ad un unitario motivo, corredato da due quesiti – per la cassazione della sentenza del tribunale di Roma n. 20775 del di 11.10.06, di rigetto del suo appello avverso l’accoglimento dell’opposizione dispiegata da Bo.Sa. al precetto dalla prima intimato e fondato sulla dedotta cessione di un credito verso l’intimata di tal B. C., decisione basata sulla riscontrata mancata dimostrazione del negozio di cessione; la Bo. resiste con controricorso, contestando in rito e nel merito le avverse doglianze.
Motivi della decisione
2. Va considerato in diritto che:
2.1. la ricorrente formula un unitario motivo (di "violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 1264 c.c. … nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5"), concluso dal seguente duplice quesito: "dica la Corte Suprema se la notifica del precetto può costituire o meno la comunicazione della cessione del credito richiesta dall’art. 1264 c.c. per il perfezionamento della cessione stessa"; dica la Corte Suprema se la comunicazione della cessione del credito, quando contestata dal debitore ceduto, abbisogna della dimostrazione della esistenza del fatto costitutivo del negozio di cessione con onere per il cessionario di dare la prova effettiva del negozio traslativo;
2.2. alla fattispecie si applica l’art. 366-bis cod. proc. civ.:
2.2.1. tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e resta applicabile – per l’art. 27, comma 2 del medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma 5, di questa (con ultra-attività ritenuta conforme a Costituzione da Cass., ord. 14 novembre 2011, n. 23800);
2.2.2. i criteri elaborati per la valutazione della rilevanza dei quesiti vanno applicati anche dopo la formale abrogazione, nonostante i motivi che l’avrebbero determinata, attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultra-attività alla norma (per tutte, v.
espressamente Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194);
2.2.3. quanto al capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ., va rilevato che per le doglianze di vizio di motivazione, occorre la formulazione – con articolazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico e separato passaggio espositivo del ricorso – di un momento di sintesi o di riepilogo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v., tra le ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002; da ultimo, v. Cass., ord. n. 27680 del 2009); tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002);
2.3. il duplice quesito risponde, benchè solamente nel suo complesso e se non altro quanto ai profili di violazione di legge (mancando invece il motivo incentrato sul vizio motivazionale di alcun momento autonomo e separato di sintesi o riepilogo), all’esigenza di identificare in punto di diritto il thema decidendum della presente impugnazione, con implicita indicazione della regola di diritto indicata come errata e formulazione di quella ritenuta corretta e valida per una serie potenzialmente indefinita di controversie simili: ma la doglianza, nella parte in cui in tal modo è ammissibile, non è fondata.
3. Al riguardo:
3.1. è certamente vero che la notificazione prevista dall’art. 1264 cod. civ. non si identifica con quella a mezzo di ufficiale giudiziario, potendo risolversi in qualunque mezzo idoneo a rendere noto al debitore il fatto dell’avvenuta cessione, compresa, ad esempio, la sua menzione nell’atto di citazione in giudizio direttamente proposto dal cessionario (giurisprudenza fermissima, come riconoscono, tra le ultime, Cass. 18 ottobre 2005, n. 20143 o Cass. 21 dicembre 2005, n. 28300; e ciò in quanto l’uso, da parte del legislatore, del termine "notificazione", al di fuori dell’ambito processuale, può servire anche ad indicare una forma di comunicazione, per gli atti di carattere ricettizio, diversa da quella tramite ufficiale giudiziario: Cass. 20 dicembre 2011, n. 27782): pertanto, non era necessario, nella specie, che la precettante procedesse ad una comunicazione o notificazione del negozio di cessione separata ed anteriore rispetto al precetto;
3.2. e, tuttavia, la gravata sentenza non fonda il rigetto dell’appello sulla mancanza di una comunicazione della cessione anteriore e separata rispetto al precetto, quanto piuttosto sulla carenza di prova sul negozio di cessione, mancata fin dal momento dell’intimazione del precetto e resa necessaria dalla contestazione della validità di questo operata dall’ingiunta opponente fin dall’atto di opposizione: ed a tal riguardo correttamente richiama la giurisprudenza di legittimità, per la quale il cessionario che agisca per ottenere l’adempimento del debitore è tenuto a dare la prova del negozio di cessione, quale atto produttivo di effetti traslativi (oltre a Cass. 30 luglio 2004, n. 14610, appunto indicata nella gravata sentenza, v. pure, tra le altre: Cass. 3 aprile 2009, n. 8145; Cass. 6 giugno 2006, n. 13253; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20143; Cass. 5 giugno 1987, n. 4919);
3.3. pertanto, pur non essendo effettivamente necessaria, ai fini dell’opponibilità della cessione al debitore ceduto, una comunicazione o notificazione anteriore e separata rispetto all’atto di precetto, permane l’onere, in capo al creditore cessionario, di dar prova dell’intervenuta cessione e cioè dell’effettiva esistenza del relativo negozio;
3.4. tale onere probatorio è però realmente rimasto inadempiuto, poichè una simile prova che, secondo quanto è dato rilevare dall’esame dei soli atti accessibili da questa corte e in dipendenza dell’inammissibilità della censura del vizio motivazionale, non è mai stata offerta al debitore, che contestava in toto la cessione e la sua validità: non potendo in definitiva bastare, dinanzi a tale contestazione, la mera menzione della data del relativo negozio, contenuta nel precetto.
4. Il ricorso va pertanto rigettato e la soccombente ricorrente condannata alle spese del giudizio di legittimità, con attribuzione al suo difensore, che se ne è dichiarato antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la R. srl in liq.ne, in pers. del leg. rappr.nte p.t., al pagamento, in favore di Bo.Sa. e con attribuzione all’avv. G. L. per dichiaratone anticipo, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012
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