Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13689

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Svolgimento del processo

1. Su istanza di F.A., ad A.P.A. veniva ingiunto di pagare a titolo di prestazioni professionali oltre L. 12 milioni, sulla base di riconoscimento di debito sottoscritto in data 5 marzo 1998.

Opponendosi, A. esponeva che: – il F. era stato incaricato dalla sorella B.M. di seguire la trattativa tra tutti i fratelli concernente la comune eredità di altro fratello defunto; – al momento della conclusione della transazione, nei senso della promessa di trasferimento della quota, del complesso immobiliare "La Pergola", da A. a B.M., la quale si impegnava ad acquistare per persona da nominare, contestualmente alla vendita dell’intero bene a un terzo, il F. aveva preteso la sottoscrizione dell’atto del marzo 1998; – il F. non aveva svolto attività di mediatore per la vendita della villa oggetto della divisione, che era stata svolta da una società; – comunque, non essendo iscritto all’albo dei mediatori, l’eventuale mediazione sarebbe stata nulla. Chiedeva la revoca del decreto, non essendo obbligato nei confronti del F.; in subordine, la riduzione del compenso, risultante dalla detrazione della somma versata alla società intermediatrice nella vendita.

Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’ A. a pagare Euro 2.582,28, risultante dalla sottrazione dall’importo ingiunto delle somme pagate a titolo di mediazione immobiliare dall’ A. alla società.

2. La Corte di appello di Firenze accoglieva l’appello principale dell’ A. e condannava il F. alla restituzione di quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado; rigettava l’appello incidentale proposto dal F. (sentenza del 24 gennaio 2006).

3. Avverso la suddetta sentenza, F. propone ricorso per cassazione con due motivi, dei quali il secondo espressamente subordinato al mancato accoglimento del primo.

Resiste con controricorso l’ A., che deposita memoria.

Motivi della decisione

1. Le argomentazioni della Corte di merito poste a fondamento del rigetto della domanda del F., possono così sintetizzarsi.

La dichiarazione dell’ A. contiene una promessa di pagamento/ricognizione di debito titolata in favore del F., quale compenso per l’attività svolta durante tutte le fasi della trattativa….somma …comprensiva di compensi per mediazione spettanti a terzi.

Se fosse per l’attività di mediazione, in riferimento ad importo comprensivo del compenso per tutti i mediatori, sarebbe nullo, non essendo il F. iscritto nel relativo albo.

Per questa ragione il F. non ha precisato a che titolo gli spettasse il compenso e, solo in appello, ha fatto riferimento ad una attività mediatoria in senso atecnico, nel senso di favorire accordi smussando contrasti tra coeredi.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la ricognizione di debito titolata, in quanto dichiarazione di volontà, si differenzia dalla confessione, in quanto dichiarazione di scienza, con la conseguenza che il promittente può dimostrare l’inesistenza della causa o la nullità della promessa, senza le limitazioni probatorie dell’art. 2732 cod. civ. Il promittente, sul quale gravava l’onere probatorio per via della promessa, ha dato la prova, mediante testimonianze, che non c’era stato svolgimento, non solo dell’attività di mediatore in senso proprio, ma di alcuna attività nel suo interesse, avendo il F. sempre agito nell’interesse della sorella.

2. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1988, 2730 e 2732 cod. civ., unitamente a vizi motivazionali, per avere la Corte di merito escluso che la promessa di pagamento/ricognizione di debito titolata abbia natura confessoria, con conseguente sua inefficacia solo in caso di prova di errore di fatto o violenza.

In particolare, si mette in evidenza l’identità ontologica tra promessa di pagamento e ricognizione di debito titolata, quando sono contestuali alla confessione di fatti o di situazioni sfavorevoli al dichiarante, che costituiscono la causa giustificativa del negozio ricognitivo o promissorio (nella specie il fatto confessato essendo la divisione e vendita dell’immobile). La Corte avrebbe errato nel ritenere che mai il riconoscimento o promessa può avere valore confessorio.

2.1. Il motivo va rigettato.

Nella giurisprudenza della Corte è pacifica la distinzione tra le figure giuridiche della ricognizione di debito titolata e la confessione. La prima (disciplinata dall’art. 1988 cod. civ.), ha per oggetto, infatti, rapporti giuridici, oppure opinioni o valutazioni, e comporta la presunzione, fino a prova contraria, del rapporto fondamentale; mentre la seconda (disciplinata dall’art. 2730 cod. civ. e segg.) ha per oggetto fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte. Sulla base di questa distinzione, la giurisprudenza afferma che la promessa di pagamento, anche quando sia titolata, perchè contenente l’indicazione della causa debendi, non assume per questo natura confessoria. Di conseguenza, anche in tale ipotesi, vige la regola – stabilita dall’ultima parte dell’art. 1988 cod. civ. – secondo cui il promittente può dimostrare l’inesistenza della causa e, perciò, la nullità della promessa; mentre, le particolari limitazioni di prova poste dall’art. 2732 cod. civ. (impossibilità di revocare la confessione non determinata da errore di fatto o da violenza) per la confessione, potranno trovare applicazione quando, nel contesto dello stesso documento, accanto alla volontà diretta alla promessa, coesista la dichiarazione di fatti storici dai quali scaturisce il rapporto fondamentale (Cass. 5 luglio 2004, n. 12285).

2.2. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi, facendone derivare l’ammissibilità della prova contraria senza limitazioni, concludendo nel senso dell’inesistenza di quel rapporto giustificativo della scrittura privata.

Nè a conclusioni diverse avrebbe potuto giungere, come sostiene il ricorrente, attribuendo valore confessorio alla avvenuta divisione e vendita dell’immobile. Nella fattispecie, infatti, questi non sono messi in discussione e oggetto della controversia è il ruolo svolto dal F.. Ruolo che, secondo l’accertamento compiuto dal giudice del merito, non scalfito dalle censure del ricorrente (per quanto si dirà nell’esame del secondo motivo) è stato nell’esclusivo interesse della sorella B., essendo stato A. assistito da persona diversa.

3. Con il secondo motivo, proposto in via gradata, sul presupposto di non aver mai sostenuto che la propria attività fosse stata quella di mediatore in senso tecnico, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1988, e 1754 cod. civ., unitamente a vizi motivazionali, per aver considerato inefficaci le dichiarazioni di A., escluso che il F. avesse espletato attività che danno luogo a compenso, per aver considerato generica e indimostrata la qualificazione che il F. ha fatto della propria attività. Per contro, si assume di aver sempre sostenuto di aver svolto un ruolo di mediazione in senso lato, nel senso di smussare i contrasti tra le parti e di aver chiesto di provare l’attività svolta.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Il nucleo centrale della censura – che non si traduce in specifiche critiche alla valutazione che la Corte di merito ha fatto delle risultanze istruttorie – concerne l’aver la Corte trascurato di leggere le conclusioni istruttorie di secondo grado, nelle quali il F. aveva chiesto di provare l’attività atecnica svolta.

Il motivo manca di specificità. Sembra prospettata una violazione processuale – peraltro senza che nell’epigrafe e nella parte esplicativa del motivo la stessa sia dedotta come tale – in ordine alla richiesta di prova della propria attività da parte del F.; ma la Corte non è posta in grado di sapere se la stessa fosse stata articolata in primo grado e decisa dal primo giudice (con la parziale ammissione, come parrebbe desumersi dalle conclusioni riportate in sentenza); se fosse stata ritualmente riproposta in appello.

4. In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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