Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13687

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

C.G. – convenendo in giudizio innanzi al Tribunale di Milano il prof. R.G., il Dott. V.F. e l’Ordine Ospedaliero S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli (poi, PLV – Provincia Lombardo Veneta – Ordine Ospedaliero S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli, di seguito anche "Ordine Ospedaliero") – esponeva che il giorno (OMISSIS), nel corso di un intervento di colecistectomia retrograda subito presso l’ospedale di zona (OMISSIS) e condotto per via laparoscopica dal Dott. V., aveva subito l’interruzione del coledoco con una clips metallica, che aveva reso necessario un secondo intervento, eseguito presso la medesima struttura, il giorno (OMISSIS) dal prof. R..

Ciò posto e precisato che a seguito dei due interventi erano insorte complicazioni che avevano reso necessari successivi ricoveri ospedalieri e compromesso la sua salute, chiedeva la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni subiti, cautelativamente indicati in L. 2.000.000.000, oltre accessori.

L’Ordine Ospedaliero gestore dell’ospedale (OMISSIS), nonchè i due medici, nel costituirsi in giudizio, contestavano integralmente le pretese attoree; inoltre R.G. e V.F. chiedevano e ottenevano di chiamare in causa le rispettive compagnie di assicurazione Toro s.p.a., Lloyd Adriatico s.p.a. e U.A.P. s.p.a.

(poi Axa s.p.a.).

La causa, istruita con una c.t.u. e relativo supplemento, era decisa con sentenza in data 13 maggio/6 giugno 2002, con la quale il Tribunale di Milano così provvedeva: accertava la colpa di V. F. nell’intervento chirurgico eseguito il (OMISSIS) su C.G. e lo condannava in solido con la PLV – Provincia Lombardo Veneta – Ordine Ospedaliero S. Giovanni di Dio Fatebenefrateili al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 94.414,02, oltre interessi al tasso del 3,69 % dall’evento alla sentenza e al tasso legale per il periodo successivo; condannava i predetti al rimborso di un quarto delle spese processuali in favore dell’attore, compensato il resto; dichiarava Lloyd Adriatico e Axa tenute in solido a manlevare il V. in relazione alla condanna;

compensava interamente le spese di lite tra le altre parti, ponendo interamente a carico del V. e dell’Ordine Ospedaliero le spese di c.t.u..

La decisione, gravata da impugnazione in via principale dal C. e in via incidentale dal R. e dalla s.p.a. Axa, era confermata dalla Corte di appello di Milano, la quale con sentenza in data 26.11.2005 così provvedeva: rigettava gli appelli; condannava il C. al pagamento delle spese in favore del V., del R. e dell’Ordine Ospedaliero; compensava le spese tra il C. e le compagnie di assicurazione e nei rapporti tra le stesse compagnie di assicurazione.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Gabriele C., svolgendo cinque motivi.

Hanno resistito la s.p.a. Lloyd Adriatico (ora Allianz s.p.a.), la s.p.a. Toro e l’Ordine Ospedaliero, depositando distinti controricorsi.

Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati.

Sono state depositate memorie per il ricorrente e per l’Allianz s.p.a..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme sul risarcimento del danno, nonchè omissioni, insufficienze e contraddizioni della motivazione circa i punti decisivi della causa (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Al riguardo parte ricorrente lamenta che i giudici di appello non abbiano accolto la richiesta di rinnovare le operazioni peritali per "i nuovi episodi di malattia" evidenziatisi dopo la sentenza di primo grado.

1.1. Il motivo di ricorso – pur formalmente prospettato sotto il duplice versante della violazione di non meglio precisate "norme sul risarcimento del danno" (e in relazione all’art. 61 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, e art. 345 c.p.c., comma 2), nonchè del vizio motivazionale – svolge temi che rendono necessari apprezzamenti riservati al giudice di merito, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i suoi poteri ordinatori, sicchè non è neppure necessaria espressa pronunzia sul punto, quando risulti, dal complesso della motivazione, che lo stesso giudice ha ritenuto esaurienti i risultati conseguiti con gli accertamenti svolti (Cass. 26 settembre 2006, n. 20821).

Invero questa Corte è costante nel ritenere che rientra nel potere discrezionale del giudice del merito accogliere o rigettare l’istanza di rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità, quando risulti che gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta della parte siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e ritenute esaurienti dal giudice con valutazione immune da vizi logici e giuridici. (ex plurimis Cass. 11 maggio 2007, n. 10849; Cass. 9 giugno 2004, n. 10913; Cass. 14 febbraio 2002, n. 2164). E nella specie i giudici di appello hanno motivato in termini congrui e logici le ragioni per escludere la necessità/opportunità di una nuova consulenza tecnica, segnatamente evidenziando: "la rigorosa impostazione e la diligente analisi" da parte dei c.t.u. dei dati clinici discussi nel contraddittorio con i c.t. di parti, le cui critiche erano state oggetto di attenta disamina e anche parzialmente accolte (quanto all’inabilità temporanea); la non praticabilità dell’agobiopsia epatica (e cioè dell’unica indagine che avrebbe potuto dare risultati più completi sulla funzionalità epatica), trattandosi, come risultava dalla relazione di c.t.u. di un esame "invasivo e nel caso specifico del C. non privo di rischi"; l’idoneità della consulenza di ufficio, integrata dal supplemento di relazione, ad offrire risposte "sufficientemente precise" (per la riserva derivante dalla mancanza di un elemento discriminante di giudizio, quale quello che avrebbe potuto acquisirsi con l’agobiopsia e conseguente esame istologico) "in relazione ai nuovi episodi di malattia, alla necessità di assunzione continua di antibiotici, alla persistenza di dolori e di disagi che incidono sulla vita quotidiana"; e soprattutto l’univocità dei dati emergenti dal supplemento di indagine eseguito a distanza di oltre quattro anni dalla sofferta esperienza chirurgica del C. che aveva permesso a detti consulenti di constatare, "una buona stabilizzazione degli esiti chirurgici, un soddisfacente quadro della funzionalità epatobiliare con i valori di laboratorio quasi tutti nella norma e buone condizioni generali e addominali rilevabili dall’esame obiettivo".

Si tratta di argomentazioni coerenti e logiche che, da un lato, evidenziano come i "nuovi episodi di malattia" costituissero situazione già prospettata ai c.t.u. e, dall’altro, appaiono sicuramente idonee a giustificare il diniego di altra indagine, soprattutto alla luce della rilevata stabilizzazione del quadro clinico e in considerazione dell’impraticabilità dell’unico esame che avrebbe potuto fornire ulteriori dati.

Non è superfluo aggiungere che la parte che denunzi la mancata ammissione di una consulenza tecnica deve specificare, sotto il profilo del nesso causale, come l’espletamento del detto mezzo avrebbe potuto influire sulla decisione impugnata (Cass. 12 gennaio 2012 n.305 in motivazione), onere che nella specie non risulta espletato adeguatamente dal ricorrente, avendo, tra l’altro, del tutto omesso di riprodurre nel ricorso il tenore dei documenti, che – a suo dire – documenterebbero i "nuovi episodi di malattia" e di fornire precisi elementi sia in ordine al momento della loro insorgenza, sia relativamente alla loro riconducibilità eziologica alla vicenda per cui è causa.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia omissione di pronuncia sulla domanda relativa al risarcimento del danno per spese mediche sostenute, nonchè violazione e falsa applicazione delle norme sul risarcimento del danno e omissioni, insufficienze e contraddizioni della motivazione circa un punto decisivo della causa (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5). Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello non si sia pronunciata sulla domanda di risarcimento per spese mediche sostenute negli anni 1998/2000 per Euro 1.708,95 che il Tribunale non aveva preso in considerazione e che neppure si sia pronunciata sulla richiesta di ristoro per spese mediche sostenute dopo la sentenza di primo grado per Euro 2.350,01;

inoltre non sarebbe stata spesa nessuna parola neppure con riguardo alle spese prevedibili future.

2.1. Anche il presente motivo non merita accoglimento.

Va, innanzitutto, osservato che non vi è stata alcuna omessa pronuncia, dal momento che – come emerge dal complesso della motivazione – la Corte di appello ha preso in esame anche la richiesta di spese ulteriori e/o successive e, in generale, le censure svolte dal C. in ordine ai continui esborsi "per visite specialistiche, esami di laboratorio, esami ecografici, risonanze magnetiche", evidenziando – come già rilevato nel paragrafo n. 1.1. – l’esaustività della relazione di c.t.u. anche con riguardo "alla necessità di assunzione continua di antibiotici" e la scrupolosa verifica dagli stessi svolta, in sede di supplemento, delle critiche dei c.t.p. (cfr. pag. 5 e 6 della sentenza), pervenendo, all’esito, a confermare il giudizio di condivisione dei risultati della consulenza, già espresso dal Tribunale, anche in ordine al quantum.

2.2. Per le censure concernenti la violazione di legge e il vizio motivazionale, occorre, altresì, evidenziare il carattere meramente assertivo delle doglianze e rilevare, in specie, per quelle del secondo tipo, il difetto della necessaria specificità del ricorso, giacchè il ricorrente non poteva limitarsi, genericamente, a censurare l’omesso riconoscimento delle spese sostenute e documentate, ma doveva, puntualmente, indicare quali spese – sebbene sicuramente riferibili alla vicenda per cui è causa – non erano state prese in considerazione dai c.t.u., con conseguente esclusione del relativo rimborso da parte dei giudici del merito, dando contezza della critica svolta al riguardo e degli elementi forniti a sostegno delle ulteriori pretese.

Si rammenta che il giudice del merito, qualora condivida i risultati della consulenza tecnica d’ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass., 22 febbraio 2006, n. 3881).

In tal caso l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese (cfr. fra le tante, Cass. 9 marzo 2001 n. 3519).

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme sul risarcimento del danno per perdita della capacità lavorativa, nonchè omissioni, insufficienze e contraddizioni della motivazione circa un punto decisivo della causa (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Al riguardo parte ricorrente deduce che la motivazione della decisione impugnata contiene un palese errore giuridico, per violazione dell’art. 1223 c.c., oltre che logico, laddove esclude l’incidenza dei postumi patologici riscontrati a carico del C. nella sua attività lavorativa di imprenditore edile, trattandosi di un’attività che non comporta un’attività fisica manuale.

3.1. Il motivo non merita accoglimento.

Innanzitutto parte ricorrente pur denunziando, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di norme "sul risarcimento del danno per perdita della capacità lavorativa" e segnatamente dell’art. 1223 c.c. – si astiene dall1 indicare quali siano le affermazioni, in diritto, contenute nella sentenza gravata in contrasto con le richiamate disposizioni normative e con la interpretazione che di queste danno la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, limitandosi a censurare la valutazione fatta, dai giudici del merito, delle risultanze della c.t.u. sul punto della mancata incidenza causale dei postumi sulla capacità lavorativa specifica e a sollecitare un nuovo apprezzamento, da parte di questa Corte di quegli stessi elementi.

Il motivo, del resto, prescinde totalmente da principi costantemente ribaditi da questa Corte, che predicano l’esigenza di una rigorosa dimostrazione del danno da lucro cessante. Invero il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette automaticamente, nè tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno della stessa (Cass. 23 agosto 2011, n. 17514). In particolare in tema di danno patrimoniale futuro, ai fini della risarcibilità di quello conseguente alla riduzione della capacità lavorativa specifica (anche in caso di postumi permanenti acclarati), il giudice, oltre a dover accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla suddetta capacità (e, a sua volta, sulla capacità di guadagno), è tenuto anche a verificare se e in quale misura nel soggetto leso persista o residui, dopo e malgrado l’infortunio patito, una capacità ad attendere al proprio o ad altri lavori confacenti alle sue attitudini nonchè alle sue condizioni personali e ambientali in modo idoneo alla produzione di altre fonti di reddito, in sostituzione di quelle perse o ridotte, e solo nell’ipotesi in cui, in forza di detti complessivi elementi di giudizio, risulti una riduzione della capacità di guadagno e, in virtù di questa, del reddito effettivamente percepito, tale ultima diminuzione è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante (Cass. 21 aprile 2010, n. 9444).

In definitiva il diritto al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante non può farsi discendere in modo automatico dall’accertamento dell’invalidità permanente, poichè esso sussiste solo se tale invalidità abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica; inoltre, pur essendo ammesso il ricorso alla prova presuntiva, trattandosi di danno futuro, occorre che sia certa o almeno altamente probabile la riduzione di capacità di lavoro specifica, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza, sulla scorta delle allegazioni e dei congruenti riscontri forniti dal danneggiato.

3.2. Nel caso di specie i giudici di appello hanno ritenuto condivisibile e "non contrastata da elementi obiettivi idonei a scalfir(la)" l’affermazione dei consulenti di ufficio secondo cui i postumi (caratterizzati da disturbi di tipo gastrico, attendibile dolenzia addominale in relazione a cicatrici e aderenze, nonchè riferita astenia globale) non possono incidere in modo significativo sull’attività lavorativa di imprenditore edile svolta dal C..

Non risultano denunciate nè la palese devianza da parte dei consulenti di ufficio di nozioni correnti della scienza medica o illogicità delle sue conclusioni, profili in relazione ai quali soltanto è denunciabile in sede di legittimità il difetto di motivazione della sentenza, che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio (cfr. ex plurimis:

Cass. 28 ottobre 2003 n. 1622). In particolare questa Corte non ravvisa alcuna incongruenza logica nell’affermazione dei c.t.u., fatta propria dai giudici di appello, secondo cui i postumi sopra descritti non possono incidere in modo apprezzabile su un’attività che presenta "ruoli che non comportano un’attività lavorativa fisica manuale" (v pag 7 della sentenza), nè ritiene sminuita detta affermazione dalla circostanza allegata da parte ricorrente, secondo cui la propria attività di piccolo imprenditore "richiede l’impiego di energie fisiche ed intellettuali" (v. fl. 13 del ricorso). In sostanza i consulenti hanno ipotizzato che i postumi indicati avrebbero potuto eventualmente incidere solo su un’attività di tipo manuale, ma, per quanto riferisce lo stesso ricorrente, non è questo il caso del C..

Peraltro anche in relazione al motivo all’esame sussiste il già evidenziato difetto di specificità del ricorso, dal momento che parte ricorrente si duole che la Corte milanese non abbia prestato la dovuta attenzione "ai dati attestanti concretamente la diminuzione della capacità lavorativa del C.", senza fornire alcuna indicazione specifica sui riscontri effettivamente offerti in sede di merito per contrastare la statuizione di esclusione del rapporto di causalità dei postumi con l’attività lavorativa.

4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme sul risarcimento del danno (violazione dell’art. 1223 cod. civ.) e delle regole sul consenso informato, nonchè insufficienze e contraddizioni della motivazione circa un punto decisivo della causa (art. 360 c.p.c., nn.3 e 5). Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia omesso, senza adeguata motivazione, l’esame della responsabilità dei sanitari per non avere raccolto il consenso informato del paziente.

4.1. Anche il presente motivo non merita accoglimento.

Al di là dell’assertiva censura della violazione di legge e del vizio motivazionale, il motivo si rivela privo di correlazione con la ratio decidendi, la quale muove dal rilievo che, secondo quanto già evidenziato dal Tribunale, la questione del consenso informato non faceva parte del thema decidendum et probandum e poggia sull’ulteriore considerazione della mancata precisazione della valenza causale sui danni subiti dal paziente, attesa l’esplicita affermazione contenuta nell’atto di appello: "in ogni caso tutto questo discorso appare superato da quanto precisato dal c.t.u. nella relazione del 18/1/2001…". Di qui la categorica (ma comunque ineccepibile) affermazione della Corte di appello di non volere "indugiare oltre" sulla questione.

5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme sulla condanna alle spese, nonchè insufficienze e contraddizioni della motivazione circa un punto decisivo della causa (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Al riguardo parte ricorrente lamenta che le spese del grado di appello non siano state compensate nei confronti del V., del R. e dell’Ordine Ospedaliero; deduce inoltre che nella liquidazione si doveva tener conto del valore effettivamente liquidato e che occorreva, altresì, considerare che i due medici avevano avuto i medesimi legali e che l’attività per conto del V. era stata minima.

5.1. Anche il presente motivo non merita accoglimento risultando, per una parte, inammissibile e, per altra, infondato.

Inammissibile nella parte in cui lamenta l’omessa compensazione delle spese di lite, posto che la compensazione delle spese di lite configura esercizio, da parte del giudice del merito, di un potere discrezionale il cui mancato esercizio, pertanto, non è sindacabile in sede di legittimità (ex plurimis Cass. 11 dicembre 2003, n. 18916) ovvero genericamente sollecita un diverso apprezzamento dell’attività difensiva svolta in favore dell’una o dell’altra parte, nei cui confronti, peraltro, l’odierno ricorrente proponeva medesime istanze.

Il motivo stesso è, poi, infondato (oltre che, comunque, generico) per la parte in cui censura la mancata applicazione dello scaglione di valore, corrispondente al decisum nel primo grado del giudizio.

Invero, nel caso in cui una parte impugni la decisione resa dal Giudice soltanto in parte, il valore della controversia nel suo successivo sviluppo nel grado di impugnazione è limitato a quanto richiesto dalla parte impugnante secondo il criterio del disputatum, integrato dal criterio del decisum in caso di accoglimento parziale dell’impugnazione (Cass. 11 settembre 2007, n. 19014). Nel caso di specie – come risulta dalla sentenza impugnata – il C. ha riproposto in appello tutte le istanze formulate nel primo grado del giudizio nei confronti degli originari convenuti, instando, quindi, per la condanna del R. al pagamento dell’intero importo e del V. e dell’Ordine Ospedaliero al pagamento della differenza ulteriore rispetto alla somma ottenuta in primo grado; e poichè l’appello è stato rigettato in toto il valore della controversia andava determinato con riguardo al disputatum, così come risultante con riguardo ai diversi appellati.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore di Allianz s.p.a. in Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge; in favore di Toro s.p.a. in Euro 4.500,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge; in favore di PLV – Provincia Lombardo Veneta – Ordine Ospedaliero San Giovanni di Dio Fatebenefratelli in Euro 4.500,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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