Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13682

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ricorso 30 dicembre 1989 M.F., proprietario del Fondo denominato (OMISSIS), concesso quanto a 15 moggia – con contratto 3 dicembre 1983 – in comodato a T.A. con obbligo di restituzione per il 15 luglio 1989 e con la previsione di una penale di lire 50 milioni per ogni anno di ritardo, ha convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Napoli, sezione specializzata agraria, il T. per sentirlo condannare al rilascio del fondo in questione.

Costituitosi in giudizio il T. ha eccepito la incompetenza per materia dell’adita sezione a conoscere della domanda avversaria.

Contemporaneamente, peraltro, esposto di essere coltivatore diretto, affittuario da oltre un quindicennio del M. che nel 1983 – in occasione della ricezione della somma di lire 20 milioni a titolo di canoni per il periodo 1983-1989 aveva chiesto e ottenuto di stipulare un simulato contratto di comodato, ha proposto – in via subordinata al mancato accoglimento della eccezione di incompetenza – domanda riconvenzionale perchè fosse dichiarata la esistenza tra le parti, di un rapporto di affittanza a coltivatore diretto, ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 2 o, in subordine, perchè il rapporto inter partes fosse ricondotto a un rapporto di affitto, ai sensi dell’art. 27 della stessa legge o, in ulteriore subordine, perchè il rapporto stesso fosse trasformato in affitto ai sensi della L. n. 11 del 1971, art. 24 o L. n. 203 del 1982, art. 22.

Tale giudizio si è concluso con la sentenza della adita sezione agraria 27 giugno – 4 dicembre 1991 n. 13735/91 che ha dichiarato, da un lato, la propria incompetenza, ratione materiae a conoscere della domanda principale e, dall’altro, la improcedibilità della domanda riconvenzionale perchè non preceduta dal tentativo di conciliazione di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46.

Passata in cosa giudicata tale pronunzia il M. – con atto 16 maggio 1992 – ha nuovamente convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Napoli – questa volta in composizione ordinaria – il T., riproponendo le richieste già formulate in precedenza (condanna del T. al rilascio del fondo e condanna al pagamento della penale convenuta per il caso di mancata restituzione del fondo alla data del 15 luglio 1989) sulla base del contratto di comodato 3 dicembre 1983.

Costituitosi anche in tale diverso giudizio il T. ha ribadito le difese svolte in precedenza (quanto alla natura simulata del contratto di comodato azionato da controparte) e – precisato di avere sollecitato, con raccomandata 1 giugno 1992 all’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Napoli la convocazione delle parti per l’espletamento del tentativo di conciliazione di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, ha spiegato la stessa domanda riconvenzionale già formulata innanzi alla sezione specializzata agraria nel precedente giudizio, perchè fosse dichiarata la esistenza tra le parti, di un rapporto di affittanza a coltivatore diretto, ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 2 o, in subordine, perchè il rapporto inter partes fosse ricondotto a un rapporto di affitto, ai sensi dell’art. 27 della stessa legge o, in ulteriore subordine, perchè il rapporto stesso fosse trasformato in affitto ai sensi della L. n. 11 del 1971, art. 24 o L. n. 203 del 1982, art. 22.

Peraltro, eccepito che la competenza a conoscere di tale riconvenzionale spettava alla sezione specializzata agraria del tribunale di Napoli e non a quest’ultimo in composizione ordinaria, il T. ha chiesto che, separato il giudizio sulla domanda principale da quello sulla riconvenzionale, quest’ultimo fosse rimesso alla sezione specializzata agraria, sospeso quello sulla domanda principale – sino alla definizione di quello di competenza della sezione specializzata agraria.

Svoltasi una prima fase istruttoria, nel corso della quale – tra l’altro – a seguito del decesso dell’attore il giudizio era proseguito dai suoi eredi M.E., P. e C. nei confronti di T.A., con sentenza non definitiva 1 luglio 2002 il tribunale ordinario di Napoli, ha – per quanto ancora rilevante al fine del decidere – dichiarato efficace il contratto di comodato stipulato tra M.F. e T.A. il 3 dicembre 1983, avente a oggetto il fondo, esteso 15 moggia, denominato (OMISSIS) e condannato il T. al rilascio, disponendo – con separata ordinanza – per il prosieguo.

Tale sentenza è stata impugnata da B.E., moglie superstite del T..

Nel contraddittorio di M.E., P. e C. che, costituitisi in giudizio hanno chiesto il rigetto dell’avverso gravame, la Corte di appello di Napoli con sentenza 29 dicembre 2005, disattesa la istanza di riunione di tale procedimento ad altro tra le stesse parti, ha rigettato l’appello con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite del grado.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso con atto 9 febbraio 2007, affidato a tre motivi B.E..

Resistono, con controricorso, M.E., P. e C..

Motivi della decisione

1. Censurando la soccombente B. la sentenza del primo giudice nella parte in cui aveva disatteso la richiesta di separazione delle domande proposte, rispettivamente con la citazione introduttiva (di rilascio del fondo per cessazione del contratto di comodato 31 dicembre 1983) e con la comparsa di risposta (di accertamento della natura simulata di tale contratto, dovendosi il rapporto inter partes qualificarsi di affitto a conduttore diretto) con rimessione di quest’ultima domanda alla sezione specializzata agraria dello stesso tribunale, i giudici di appello hanno disatteso tale motivo di gravame affermando che la censura non tiene conto di quanto da essa stessa appellante è stato dato per pacifico e che ha formato oggetto anche di eccezioni di cui alla comparsa degli appellati, vale a dire che la sezione agraria del tribunale di Napoli si è già pronunciata con sentenza irrevocabile dichiarandosi incompetente per materia e per converso della riconosciuta esistenza della figura del comodato.

Ad ogni modo – hanno ancora evidenziato i giudici di secondo grado – la Corte non può esimersi dal sottolineare che sarebbe stato onere del T… avendo la sezione agraria deciso sulla competenza oltre che sul merito, impugnare nella dovuta sede la statuizione della sezione agraria e quindi o nei modi ordinar con l’appello, ex art. 43 cod. proc. civ., oppure con istanza alla Corte di cassazione per il solo regolamento di competenza.

2. Con il primo e il secondo motivo – intimamente connessi e da esaminare congiuntamente – la ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando:

– da un lato, erroneità e illogicità della motivazione nel punto in cui ha ritenuto che la sentenza nelle date 21 giugno – 4 dicembre 1991 n. 13735 del 1991 il tribunale di Napoli sezione specializzata agraria ha riconosciuto la inesistenza di un contratto agrario e per converso la esistenza di un contratto di comodato ed ha fatto derivare dal passaggio in giudicato di tale decisione, la formazione del giudicato in merito a tali accertamenti, precludendo alla corte di appello l’accertamento della domanda proposta dalla attuale ricorrente primo motivo;

– dall’altro, erroneità, illogicità e carenza di motivazione nel punto in cui la Corte di appello ha ritenuto di dover rigettare il quarto motivo di appello concernente le richieste istruttorie, ed ha fondato anche tale decisione sulla circostanza che la sentenza nelle data 27 giugno – 4 dicembre 1991 n. 13735/91 del tribunale di Napoli, sezione specializzata agraria avrebbe riconosciuto la inesistenza di un contratto agrario e, per converso, la esistenza di un contratto di comodato ed ha fatto derivare dal passaggio in giudicato di tale decisione la formazione del giudicato in merito a tale accertamento secondo motivo.

3. I descritti motivi, per più profili inammissibili, per altri manifestamente infondati, non possono trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3. 1. Giusta quanto assolutamente pacifico – al momento – presso una più che consolidata giurisprudenza di questa corte regolatrice, il giudice di legittimità deve accertare l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena, che si estende anche al diretto riesame degli atti del processo e alla diretta loro valutazione e interpretazione mediante indagini e accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito.

In particolare, in ragione della riconosciuta natura pubblicistica dell’interesse al rispetto del giudicato, della ritenuta indisponibilità per le parti dell’autorità di quest’ultimo, della ravvisata identità dell’operare dei due tipi di giudicato, interno ed e-sterno, e dell’inclusione delle correlative questioni nella sfera delle questioni di diritto piuttosto che in quella delle questioni di fatto, il giudicato non deve essere incluso nel fatto e, pur non identificandosi nemmeno con gli elementi normativi astratti, è da assimilarsi, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, a tali elementi normativi, con la conseguenza che l’interpretazione del giudicato deve essere trattata piuttosto alla stregua dell’interpretazione delle norme che non alla stregua dell’interpretazione dei negozi e degli atti giuridici.

Costituendo, a sua volta, l’interpretazione del giudicato operata dal giudice del merito non un apprezzamento di fatto ma una quaestio iuris – la stessa è sindacabile, in sede di legittimità, non per il mero profilo del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della violazione di legge e gli eventuali errori di interpretazione del giudicato rilevano quali errori di diritto (cfr., ad esempio, Cass. 13 dicembre 2011, n. 26751, nonchè Cass. 8 marzo 2010, n. 5419, tra le tantissime).

3. 2. Pacifico quanto precede è palese che erroneamente i giudici di appello hanno ritenuto che il tribunale non potesse rimettere alla cognizione della sezione specializzata agraria le domande, riconvenzionali, spiegate dal T. (e poi fatte proprie dalla B.), in questo diverso giudizio a causa del giudicato conseguente alla pronunzia del 4 dicembre 1991 della sezione specializzata agraria del tribunale di Napoli, passata in cosa giudicata (e ricordata sopra, in sede espositiva).

Detta sentenza – infatti – dopo essersi dichiarata incompetente, ratione materiae, a conoscere delle domande fondate sul contratto di comodato invocato dal M., quanto alle domande dirette all’accertamento della esistenza, inter partes di un rapporto di affittanza agraria si è limitata a dichiarare la improponibilità, allo stato, delle domande stesse perchè non precedute dall’esperimento del tentativo di conciliazione di cui alla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 46.

Deriva da quanto precede, pertanto – contrariamente quanto affermato dal giudice di appello – da un lato, che non sussisteva alcun onere per il M. nè di impugnare con l’appello la dichiarata improponibilità della domanda riconvenzionale, nè di proporre regolamento di competenza (certo essendo, del resto che quanto alla incompetenza della sezione specializzata agraria a conoscere della domanda avversaria fondata sul contratto di comodato era stata accolta la sua eccezione), dall’altro che nulla si opponeva a che il M., espletato il tentativo di conciliazione innanzi all’Ispettorato provinciale dell’Agricoltura, proponesse innanzi al giudice pacificamente competente – cioè alla sezione specializzata agraria presso il tribunale di Napoli – quelle stesse domande (dirette all’accertamento, tra le parti, di un contratto di affittanza agraria).

3. 3. Quanto precede, peraltro – come puntualmente invocato dalla difesa dei contro ricorrenti – non consente di pervenire alla cassazione della sentenza impugnata.

Nella specie i giudici di appello hanno ritenuto precluso l’esame della questione posta con la domanda riconvenzionale proposta dal T. ravvisando erroneamente la sussistenza di un giudicato in ordine ad una questione rimasta in realtà estranea al decisum della precedente sentenza inter partes del 1991.

Una tale pronunzia – non diversamente dalla eventualità in cui una tale preclusione fosse stata ravvisata in un inesistente giudicato interno (cfr. Cass. 3 aprile 1987, n. 3257) – integra violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e cioè un error in procedendo.

Certo quanto sopra si osserva che la deduzione di errores in procedendo è deducibile con ricorso per cassazione esclusivamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (nullità della sentenza e del procedimento) e non anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e, a fortiori, -, come nella specie – del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (tra le tantissime, Cass. 23 gennaio 2012, n. 920; Cass. 10 novembre 2011, n. 23502;

Cass. 23 settembre 2011, n. 19484).

E’ palese, concludendo sul punto, la inammissibilità del primo e del secondo motivo ultima parte di ricorso.

3. 4. Con specifico riguardo al secondo motivo, prima parte, si è osserva che lo stesso – comunque – è inammissibile, per carenza di interesse (art. 100 cod. proc. civ.) nella parte in cui censura l’omesso espletamento di una consulenza tecnica per la determinazione e quantificazione dell’equo canone dovuto, in relazione alla conduzione – a titolo di affitto e non di comodato – in parola, e per la restituzione dell’indebito versato al resistente.

Come assolutamente pacifico presso una più che consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde la difesa del ricorrente a seguito delle sentenze n. 318 del 2002 e 315 del 2004 della C. Costituzionale sono divenute prive di effetti sia le tabelle per il canone di equo affitto come disciplinate dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 9, e dalle norme da questo richiamate, sia, ai fini della quantificazione del canone stesso, i redditi dominicali stabiliti – ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 62 – a norma del R.D.L. 4 aprile 1939, n. 589.

Di conseguenza il canone dovuto per l’affitto di fondi rustici è unicamente quello fissato, in forza di accordi liberamente intervenuti tra le parti, anche senza l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali agricole (cfr. Cass. 19 novembre 2007, n. 23931; Cass. 14 novembre 2008, n. 27264; Cass. 19 aprile 2010, n. 9266, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede è palese la carenza di interesse della parte ricorrente all’accertamento di quale fosse – in tesi – l’equo canone dovuto per il godimento del fondo in discussione.

In nessun caso – infatti – potrebbe trovare accoglimento – successivamente alle ricordate pronunce della Corte costituzionale – una azione di ripetizione di somme eventualmente corrisposte in eccedenza rispetto al non più esistente canone equo (tra le tantissime, nel senso che al momento è priva di fondamento normativo, qualsiasi domanda di ripetizione, L. n. 11 del 1971, ex art. 28, delle somme corrisposte in eccedenza ai livelli massimi d’equità stabiliti dalle tabelle di e-quo canone, Cass. 5 marzo 2007, n. 5074).

3. 5. Sempre in margine al secondo motivo, seconda parte, allorchè si censura la sentenza impugnata per non aver dichiarato che il contratto inter partes 3 dicembre 1983 simulava un contratto di affitto agrario o doveva a questo ricondursi la deduzione è inammissibile tenuto presente che quando il ricorrente censura l’erronea interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice di merito, per il principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere di trascriverle integralmente perchè al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura (Principio assolutamente consolidato: tra le tantissime, cfr., ad esempio, Cass. 6 febbraio 2007,n. 2560).

Pacifico quanto sopra, non controverso che parte ricorrente ha omesso di trascrivere, in ricorso, il contenuto della scrittura stipulata con il T., che a suo avviso simulava un rapporto di affitto agrario è di palmare evidenza – già sotto tale profilo – la inammissibilità della deduzione.

3. 6. Anche a prescindere dai pur assorbenti rilievi che precedono, si osserva che i capitoli di prova non ammessi dai giudici del merito, puntualmente trascritti alle pp. 21 e 22 del ricorso – comunque – sono assolutamente irrilevanti, al fine del decidere.

Infatti:

– al fine della qualificazione del rapporto inter partes quale comodato di fondo rustico o, piuttosto, come si invoca, contratto di affitto è assolutamente irrilevante sia la qualità di coltivatore diretto del T. e la circostanza che lo stesso fosse o meno iscritto allo SCAU, godendo dell’assistenza malattia (cfr., al riguardo L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 6) capitolo 1 sia la circostanza che esso T. sia stato dedito in maniera stabile e continuativa alla coltivazione della terra ed ha sempre compiuto direttamente tutte le operazioni colturali, relativa al fondo di cui è causa, in suo possesso per circa quindici anni, senza alcuna ingerenza da parte del M. capitolo 4 certo essendo da un lato, che tali attività sono compatibili sia con un rapporto di comodato che di affitto, dall’altro, che ciò che rileva al fine del decidere non è la circostanza che il T. abbia coltivato il fondo in discussione circostanza assolutamente incontroversa, tra le parti, ma il titolo in forza del quale ciò ha fatto;

– la circostanza indicata nel secondo capitolo, da riferirsi da parte dei testi, che il T. aveva assunto e conduceva in affitto il fondo di parte appellata da oltre quindici anni – a prescindere dalla sua assoluta genericità, quanto alle modalità di conclusione del contratto (che non consente alla controparte la formulazione di idonea prova contraria) – non riguarda fatti, oggettivi, caduti sotto la percezione dei testi ma sollecita costoro a qualificare giuridicamente un accordo contrattuale – al limite senza indicarne neppure in sintesi il contenuto – ed è palese, di conseguenza, la inammissibilità della deduzione;

– irrilevante – al fine di ritenere che il contratto di comodato stipulato il 3 dicembre 1983 simulasse un contratto di affitto sono – altresì – le circostanze articolate con il terzo capitolo. A prescindere dal considerare che contrasta con quelle che sono le caratteristiche tipiche del contratto di affitto agrario (risultanti sia dal codice civile cfr. art. 1647 e ss. cod. civ. sia dalla legislazione speciale al riguardo cfr. L. 11 febbraio 1971, n. 11 e L. 3 maggio 1982, n. 203) il pagamento anticipato di canoni per 6 annate agrarie, era onere del ricorrente non limitarsi ad affermare, del tutto genericamente, che il M. chiese ed ottenne di stipulare par il relativo periodo simulatamente un contratto di comodato, ma indicare quali fosse – da un lato – il contenuto del contratto apparente redatto per iscritto e neppure trascritto in ricorso, dall’altro, quali erano le clausole del contratto realmente voluto e da quali elementi – eventualmente indiziari – potesse ricavarsi un contrasto tra il contratto voluto e quello apparentemente stipulato.

4. Con il terzo e ultimo motivo parte ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando violazione dell’art. 1346 cod. civ., artt. 1418 e 1421 cod. civ., nonchè degli artt. 163 e 164 cod. proc. civ. e erroneità illogicità e carenza di motivazione nel punto in cui la corte di appello ha ritenuto di dover rigettare il terzo motivo di appello concernente la nullità della sentenza per omessa individuazione del cespite oggetto di causa e per la nullità e/o inesistenza della citazione e, comunque, del titolo posto a sostegno della richiesta di restituzione del terreno.

5. Il motivo, per più profili inammissibile, per altri manifestamente infondato, non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

5. 1. Quando nel ricorso per cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 2 agosto 2005, n. 16132).

Il vizio di violazione di legge – infatti – consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge, assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione;

Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Certo quanto precede è agevole osservare che parte ricorrente ancorchè assuma (almeno nella rubrica del motivo) di voler denunziare la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1418 e 1421 cod. civ., nonchè degli artt. 163 e 164 cod. proc. civ., si astiene – totalmente – nella parte espositiva del motivo stesso, dall’indicare quale sia la interpretazione data dai giudici a quibus alle ricordate disposizioni e quale quella – diversa – corretta a parere dello stesso ricorrente, limitandosi a denunciare che i giudici del merito, avendo erroneamente valutato le risultanze di causa, sono giunti a una conclusione della lite diversa da quella attesa da essa concludente.

In altri termini la difesa di parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le disposizioni di legge indicate (nella intestazione del motivo, in realtà si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere della ricorrente inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

E’ di palmare evidenza, pertanto, la inammissibilità già sotto tale profilo della censura in esame.

5. 2. Contemporaneamente si osserva – ancora una volta in conformità a quanto assolutamente incontroverso presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, che ove una statuizione del giudice di merito sia fondata su una pluralità di rationes decidendi può pervenirsi alla cassazione della stessa unicamente qualora non solo vengano censurate tutte le autonome rationes decidendi che la sorreggono, ma anche tutte tali censure risultino fondate.

Qualora infatti, venga accertata la infondatezza di una di queste le censure relative alle altre divengono inammissibili, per difetto di interesse, atteso che anche nella eventualità dovessero risultare fondate non per questo potrebbe mai pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata che rimarrebbe ferma in base alla ratio decidendi di cui si è dimostrata la correttezza (cfr. Cass. 29 novembre 2009, n. 24540; Cass. 5 giugno 2007, n. 13070).

Applicando il riferito principio al caso di specie si osserva che i giudici del merito hanno ritenuto insussistente la invocata nullità – vuoi del contratto di comodato, vuoi della citazione introduttiva del giudizio – non solo sulla base delle considerazioni riferite nel motivo ma sottolineando, altresì, che la appellante ha coltivato tale motivo, già originariamente infondato, in palese contraddizione col, nel frattempo sopravvenuto, verbale del 25 febbraio 2002 di rilascio del fondo stesso e di immissione in possesso del proprietario, nella cui sede, infatti, non sono insorte significative questioni circa l’entità da rilasciare.

In altri termini i giudici del merito hanno posto, a fondamento della statuizione censurata dalla ricorrente, oltre le considerazioni criticate dalla ricorrente anche il rilievo – assolutamente assorbente – secondo cui dimostrava che non sussisteva, nel caso concreto, la invocata nullità, la non controversa circostanza che la sentenza di rilascio è stata eseguita senza che sorgesse alcun problema in ordine alla porzione di terreno da rilasciarsi da parte del soccombente T..

5. 3. Anche a prescindere dagli assorbenti rilievi che precedono, comunque, come anticipato il motivo è più che manifestamente infondato, certo essendo che non sussistono (e non sono mai sussistite) incertezze di sorta – tra le parti – circa l’oggetto della controversia, certo essendo che il fondo del quale è stato chiesto il rilascio è – a prescindere da eventuali imprecisioni descrittive e terminologiche contenute nell’atto introduttivo del giudizio – il fondo, in (OMISSIS) di proprietà del M. e condotto dal T., a titolo di comodato e in ordine al quale quest’ultimo ha svolto domanda riconvenzionale per esserne riconosciuto affittuario.

Certo essendo che non esistono, in detta località, altri fondi di proprietà del M., condotti dal T., e dei quali non è stato chiesto il rilascio, è palese che non sono mai esistite incertezze di sorta quanto all’oggetto della lite e che di conseguenza del tutto correttamente i giudici del merito hanno escluso la nullità della sentenza di primo grado o del titolo posto a sostegno della richiesta di restituzione.

6. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per spese, oltre Euro 5.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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