Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13679

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Svolgimento del processo
Con sentenza n. 970 in data 25.09.2007, il Tribunale di Livorno – decidendo sull’opposizione proposta da P.A. avverso il precetto di rilascio dell’immobile denominato (OMISSIS) sito in (OMISSIS), nonchè sulla domanda riconvenzionale dell’opposta s.p.a. Patrimonio dello Stato – accertava l’intervenuta prescrizione dell’actio iudicati relativamente all’ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione pronunciata dal Pretore di Livorno in data 17.10.1973 posta a fondamento dell’intimato precetto; in accoglimento, peraltro, della riconvenzionale dell’opposta, accertava il diritto della locatrice di conseguire la disponibilità dell’immobile in questione, ritenendo che il diritto al rilascio fosse fondato sulla base della sentenza dello stesso Tribunale in data 27.05.1997, che aveva accertato l’estinzione del rapporto intercorso tra le parti in ordine al medesimo immobile, inserendolo nell’ambito di un contratto di affitto di azienda.
La decisione, gravata da impugnazione del P., era confermata dalla Corte di appello di Firenze, la quale con sentenza n. 1002 in data 19.07.2010 condannava l’appellante alle spese del grado in favore della E. Immobiliare s.r.l., succeduta a titolo particolare alla s.p.a. Patrimonio dello Stato.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione P. A., svolgendo sette motivi.
Ha resistito la E. Immobiliare s.r.l., depositando controricorso con cui ha eccepito l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. La Corte di appello – affrontando il nucleo centrale della tesi difensiva dell’odierna ricorrente, rappresentata dall’asserita inconciliabilità tra la qualificazione di locazione (alberghiera) del rapporto intercorso con l’allora proprietaria dell’immobile E. G. I., quale risultante dall’ordinanza di convalida di sfratto del 17.10.1973, dedotta a fondamento del precetto opposto e quella di affitto di azienda, derivante dalla sentenza del Tribunale di Livorno del 27.05.1997, posta a fondamento della domanda riconvenzionale dell’opposta intimante – ha ritenuto inconferente ai fini di causa l’accertamento della natura giuridica del rapporto, "non controvertendosi nè del diritto alla prelazione di acquisto, nè di quello alla percezione dell’indennità di avviamento, ma soltanto della cessazione del rapporto (qualunque esso sia) per scadenza del termine finale". Sulla base di tale premessa e dell’ulteriore considerazione che dalla cit. sentenza del 27.05.1997 risultava accertato che il rapporto inter partes ("incidentalmente inquadrato nella cornice del contratto di azienda") era cessato per effetto dell’ordinanza di convalida di sfratto del 17.10.1973, la Corte di merito è, dunque, pervenuta alla conferma della statuizione di primo grado, ritenendo fondata la pretesa di rilascio, avanzata in via riconvenzionale dall’opposta intimante.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e mancanza assoluta di motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia omesso di esaminare il secondo motivo di appello con cui aveva denunciato la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. da parte del Tribunale di Livorno per avere dichiarato il diritto della s.p.a. Patrimonio dello Stato ad ottenere il rilascio dell’immobile sul presupposto che dalla sentenza n. 465 del 27.05.1997 risultasse "l’accertamento della estinzione del rapporto di affitto di azienda pattuito tra le parti" e per avere, in tal modo, accolto la domanda riconvenzionale in base a un titolo diverso da quello dedotto dalla suddetta società e, cioè, "ipotizzando che tale domanda si (fondasse) su una causa petendi ben precisa, che implicava, anzitutto, la configurazione del rapporto contrattuale come affitto di azienda e inoltre l’accertamento dell’intervenuta cessazione del contratto di affitto di azienda a seguito di disdetta della concedente".
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 36 e 615 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Al riguardo parte ricorrente ripropone le considerazioni già svolte in appello, in punto di inammissibilità della domanda riconvenzionale in sede di opposizione all’esecuzione; in particolare sostiene che la riconvenzionale della parte opposta intimante sarebbe consentita solo quando la causa petendi non si ponga in contrasto o, addirittura, come nella fattispecie concreta, in netta antinomia rispetto a quella su cui si fonda il titolo esecutivo.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e, in subordine, mancanza assoluta di motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Al riguardo parte ricorrente lamenta che le proprie deduzioni in punto di inammissibilità della domanda riconvenzionale non siano state prese in esame dalla Corte di appello.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e art. 324 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Al riguardo parte ricorrente sostiene che nell’atto di appello era stato dedotto che con altra sentenza del Tribunale di Livorno n. 608 del 2008 era stata rigettata la domanda riconvenzionale del medesimo oggetto di quella fatta valere nel presente giudizio, rilevando che la sentenza era passata in giudicato; osserva che l’eccezione integrava gli estremi di una exceptio iudicati e che, su di essa, la Corte di merito non si è pronunciata.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e art. 324 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Al riguardo parte ricorrente deduce che nel giudizio di primo grado aveva evidenziato che l’unico giudicato concernente la qualificazione giuridica del rapporto era rappresentato dall’ordinanza di convalida di sfratto, che, tra l’altro, costituiva il titolo su cui si fondava il precetto;
lamenta che erroneamente il giudice di primo grado abbia interpretato la domanda riconvenzionale come un nuovo accertamento in ordine al medesimo rapporto, che avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile e che la Corte territoriale non si sia pronunciato sul punto.
2. I suddetti motivi di ricorso possono avere una trattazione, per gran parte, congiunta. Invero essi – sia pure sotto profili diversi, talora, anche scarsamente conciliabili tra loro – si focalizzano su un’unica questione: e cioè che vi fosse un’antinomia tra i titoli rispettivamente posti a fondamento del precetto e della pronuncia dichiarativa del diritto al rilascio, emessa in accoglimento della domanda riconvenzionale – trattandosi, in un caso, di locazione alberghiera e, nell’altro, di affitto di azienda – con la conseguenza che: sarebbe stato violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (1 motivo); la domanda riconvenzionale sarebbe risultata, comunque, inammissibile (2 e 3 motivo); sarebbe stata, altresì, violata la preclusione derivante da precedenti giudicati (4 e 5 motivo).
2.1. Orbene va, innanzitutto, evidenziato che le deduzioni del ricorrente muovono da una premessa in diritto errata, e cioè, che l’opposto intimante non potesse – a fronte dell’eccezione di prescrizione dell’actio iudicati fondata sull’ordinanza di cui al precetto di rilascio – richiedere il rilascio sulla base di un titolo diverso.
Al riguardo si osserva che i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in sede di opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. (nella specie, per il rilascio di un immobile), è ammissibile una domanda riconvenzionale diretta a costituire un nuovo titolo esecutivo che si aggiunga a quello per cui si procede o che ad esso si sostituisca per un’esecuzione diversa da quella iniziata. Va, in particolare, osservato che la predicata "diversità dell’esecuzione" quale presupposto di diritto necessario, affinchè possa dirsi consentito premunirsi di un titolo in sede di giudizio di opposizione, trova fondamento nella circostanza che, in presenza di un titolo esecutivo valido, tale domanda costituirebbe una inutile duplicazione se proposta con riferimento alla stessa esecuzione già iniziata; il principio è, viceversa, inapplicabile tutte le volte in cui le parti stesse concordino sulla inesistenza di un efficace titulus procedendi, sì che evidenti ragioni di economia processuale inducono a ritenere ammissibile la relativa domanda svolta dall’opposto in via riconvenzionale per ottenere proprio quel titolo mancante (così Cass. 29 marzo 2006, n. 7225). Ed è quello che è avvenuto, nel caso all’esame, dal momento che – come emerge dalle stesse conclusioni ritrascritte in ricorso – l’opposto intimante aveva chiesto un titolo di rilascio, che si sostituisse a quello posto a fondamento del precetto, in considerazione dell’eccepita prescrizione dell’actio indicati e, subordinatamente, all’accoglimento dell’eccezione stessa.
2.2. Le stesse deduzioni poggiano, altresì, su un presupposto fattuale – e, cioè, che la domanda riconvenzionale di rilascio sia stata accolta sulla base di un nuovo accertamento della natura del rapporto inter partes da parte del giudice dell’opposizione a precetto – che è smentito dai giudici di appello. Invero nella sentenza impugnata è posto in evidenza, con motivazione succinta, ma comunque adeguata (tantomeno tacciabile di omessa pronuncia), che l’accertamento dell’estinzione del rapporto era contenuto nell’altra sentenza del 27.05.1997, da cui risultava, con forza di giudicato inter partes, che il P. non aveva più diritto di continuare a gestire il complesso alberghiero, essendo il rapporto contrattuale ("incidentalmente inquadrato nella cornice del contratto di affitto di azienda") cessato per effetto dell’ordinanza di rilascio del 17.10.1973.
La contrapposizione, intravista da parte ricorrente, tra i titoli (convenzionali) sottesi al titolo (giudiziale) prescritto e al titolo (giudiziale) in base al quale è stata emessa la domanda riconvenzionale si rivela, dunque, pretestuosa e, comunque, inconferente ai fini per cui è causa, dal momento che – come evidenziato nella sentenza impugnata – nel presente giudizio non occorreva accertare la natura del rapporto, essendone già stata accertata la cessazione con l’altra sentenza passata in giudicato del 27.05.1997; donde la fondatezza, per ciò solo, della pretesa di rilascio, 2.4. Con più specifico riferimento al quarto motivo di ricorso, con cui si lamenta l’omessa pronuncia da parte della Corte di appello sull’exceptio iudicati derivante dalla sentenza del Tribunale di Livorno n. 608 del 2008, emessa in altro giudizio di opposizione all’esecuzione tra le parti, va aggiunto che il motivo si rivela, per una parte, inammissibile e, per altra, comunque, infondato.
E’ inammissibile, perchè – per consolidata giurisprudenza di questa Corte – la parte che impugna una sentenza con ricorso per Cassazione per omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, di specificare non solo in quale atto difensivo o verbale di udienza l’abbia formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, ma anche quali ragioni abbia specificatamente formulate a sostegno di essa. Ciò in quanto, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c. un error in procedendo, per il quale la Corte di Cassazione è giudice anche del "fatto processuale", non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il diretto esame degli atti processuali è sempre condizionato ad un apprezzamento preliminare della decisività della questione (Cass. 11 giugno 2004, n. 11126). E nel caso di specie parte ricorrente non indica quale dei motivi di appello "configura (sse) una vera e propria exceptio iudicati", come prospettato nel motivo di ricorso, non potendo evidentemente ciò desumersi dalla mera allegazione della sentenza n. 608 del 2008 all’atto di appello.
Il motivo è, altresì, infondato, solo che si consideri che il richiamo contenuto nello stesso ricorso alla produzione documentale in appello conferma l’assunto di parte resistente e, cioè, che nella cit. sentenza n. 608 del 2008 non c’è una decisione preclusiva alla pronuncia emessa nel presente giudizio, giacchè in quella sede la domanda riconvenzionale di rilascio (analoga a quella proposta nel presente giudizio) proposta dell’opposta intimante non venne accolta – non già perchè venne accertato il diritto alla prosecuzione del rapporto – ma perchè la sentenza n. 970/2007 (e cioè quella pronunciata nel primo grado del presente giudizio) venne depositata solo in sede di discussione orale e perchè la sentenza n.465/1997 (e, cioè, la sentenza in data 27.05.1997, in cui trova fondamento la pronuncia di rilascio emessa nel presente giudizio) non era stata prodotta.
In definitiva tutti i motivi di ricorso all’esame vanno rigettati.
3. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e art. 324 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Al riguardo parte ricorrente, da un lato, deduce che è errato quanto (sarebbe) stato affermato nella decisione impugnata e, cioè, che nel giudizio definito con la sentenza del 27.05.1997 l’allora proprietario E. G. I. avesse svolto una domanda di rilascio e che questa fosse stata accolta e, dall’altro, assume che l’accertamento della natura del rapporto inter partes era decisivo ai fini della pronuncia di rilascio emessa in questa sede.
4. Con il settimo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5). Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia omesso di esperire qualsiasi autonoma indagine nel merito del rapporto intrattenuto dalle parti e non abbia considerato che il rapporto di locazione si era rinnovato in specie in considerazione della ultratrentennale permanenza nell’immobile.
4.1. Anche i suddetti motivi – siccome focalizzati sulla necessità dell’accertamento del persistente rapporto di locazione – vanno trattati congiuntamente.
Va, innanzitutto, osservato che – contrariamente a quanto dedotto con il sesto motivo di ricorso – la Corte di appello non ha, affatto, affermato che la pronuncia di rilascio fosse contenuta nell’altra sentenza del 27.05.1997, quanto, piuttosto, che in quella sentenza fosse contenuto l’accertamento della cessazione del rapporto nei termini suindicati; il rilievo di "inconferenza" dell’accertamento della natura del rapporto è strettamente consequenziale alla considerazione che la relativa estinzione risultava già accertata dalla citata sentenza del 27.05.1997, avente efficacia di giudicato inter partes. A tali effetti le deduzioni di parte ricorrente si rilevano prive di specificità, in quanto prive di correlazione con le ragioni della decisione impugnata.
Tutte le altre questioni agitate in ordine all’esigenza di un accertamento della persistente esistenza e/o rinnovazione del rapporto si infrangono contro il rilievo contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui mancava "qualsiasi prova (o almeno deduzione) di una novazione del rapporto", con conseguente inammissibilità della relativa censura. Invero i motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che abbiano già formato oggetto del thema decidendum nel giudizio di merito, essendo consentito dedurre nuovi tesi giuridiche e nuovi profili di difesa solo quando esse si fondano su elementi di fatto già dedotti dinanzi al giudice di merito e per i quali non sia perciò necessario procedere ad un nuovo accertamento (Cass. 16 dicembre 2010, n. 25510;
2000/5845; 2000/14848; 2004/22154; 2005/19350). Inoltre ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di inerito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 12 settembre 2000, n. 12025).
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.700,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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