Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13676

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Svolgimento del processo

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Con ricorso del 16 maggio 1989 P.M. propose opposizione di terzo avverso il pignoramento eseguito, a istanza dell’avvocato C.R., su beni mobili esistenti in un appartamento di P.A., debitrice della C. e madre dell’opponente.

Sostenne il ricorrente che i beni pignorati erano suoi, essendo l’immobile adibito a sua abitazione.

Si costituirono in giudizio C.R. ed P.A., la prima contestando le avverse deduzioni; la seconda aderendo alle stesse.

Con sentenza n. 1273 del 2003 il Tribunale di Salerno rigettò l’opposizione.

Proposto dal soccombente gravame, la Corte d’appello l’ha invece accolto, dichiarando, per l’effetto, la nullità del pignoramento.

C.R. ha proposto ricorso per cassazione formulando cinque motivi.

P.M. ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

II ricorso è stato in un primo momento avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., con relazione che ne assumeva l’improcedibilità ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2. Nell’adunanza del 15 giugno 2001 la Corte ne ha tuttavia ordinato la rimessione all’udienza pubblica.

Motivi della decisione

1.1 Con il primo motivo l’impugnante lamenta violazione degli artt. 330 e 331 cod. proc. civ.. Oggetto della censura è la ritenuta integrità del contraddittorio con riferimento al giudizio di gravame, benchè P.A., madre dell’opponente, fosse deceduta prima della proposizione dell’atto di appello, di talchè l’impugnazione, e la sua notificazione, effettuata nei confronti della parte defunta, anzichè degli eredi, a norma dell’art. 330 cod. proc. civ., era affetta da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.

1.2 Con il secondo mezzo denuncia vizi motivazionali perchè il giudice di merito, dopo avere riconosciuto che l’atto di appello notificato al procuratore della già deceduta P.A. era inidoneo a costituire un valido rapporto processuale, aveva affermato apoditticamente che l’appellante aveva proseguito il giudizio anche in veste di erede, laddove P.M. non si era mai costituito in tale qualità, nè era dato sapere se fosse o meno l’unico erede della debitrice esecutata.

1.3 Con il terzo motivo la ricorrente deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione per avere il decidente accolto il gravame, senza considerare che, per effetto del decesso della P. e della ritenuta qualità di erede di P.M., si era verificata la confusione dei patrimoni dell’una e dell’altro, con conseguente riunificazione in capo all’avente causa della titolarità dei beni staggiti.

1.4 Con il quarto e con il quinto motivo lamenta vizi motivazionali in relazione alla ritenuta inapplicabilità della presunzione dell’appartenenza al debitore dei beni sottoposti ad esecuzione e alla conseguente, affermata nullità del pignoramento.

2. Nell’unico motivo del ricorso incidentale P.M. lamenta l’omessa pronunzia della Corte d’appello sulla domanda di risarcimento dei danni a lui derivati dalla procedura esecutiva.

3. E’ pregiudiziale l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente, sia per pretesa inottemperanza al disposto dell’art. 360 bis cod. proc. civ., sia per asserita acquiescenza alla sentenza appellata. Quest’ultima deduzione si fonda sulla dichiarata volontà dell’avvocato C.R. di voler compensare le somme poste a suo carico dalla sentenza impugnata a titolo di spese, con altre di cui la stessa sarebbe creditrice nei confronti di P.M., quale erede di P.A..

4. L’eccezione è infondata sotto entrambi i profili. In relazione al primo, è sufficiente evidenziare che, per quanto di qui a poco meglio si dirà, il ricorso, contrariamente all’assunto dell’intimato, appare articolato proprio sul malgoverno della giurisprudenza di legittimità, da parte del giudice di merito.

Con riferimento al secondo aspetto, merita ricordare che l’acquiescenza preclusiva dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 329 cod. proc. civ., consiste nell’accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita, con la precisazione che, in quest’ultimo caso, l’acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione. Ma l’adeguamento alle statuizioni di una sentenza esecutiva – come è avvenuto nella specie – non costituisce acquiescenza alla stessa nè si configura come comportamento idoneo ad escludere l’ammissibilità dell’impugnazione.

Ne consegue che deve ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione della parte soccombente in grado d’appello, che abbia ottemperato alla sentenza di condanna al pagamento di somme, dovendosi presumere da tale comportamento unicamente la finalità di evitare l’esecuzione forzata ed altri più gravi pregiudizi (confr. Cass. civ., 28 agosto 2007, n. 18187).

8. In ordine al merito del ricorso principale, si osserva quanto segue.

In disparte ogni questione relativa alla corretta instaurazione del contraddittorio nel giudizio di secondo grado, in ragione, da un lato, dell’omessa specificazione, nel libello introduttivo dello stesso, che il gravame veniva proposto da P.M. anche quale erede di P.A. e, dall’altro, della notifica dell’atto di appello al procuratore della madre, di cui al notificante era certamente noto l’avvenuto decesso, è fondato il terzo motivo del ricorso principale.

Mette conto sul punto evidenziare che sin dalla memoria ex art. 378 cod. proc. civ. depositata dal resistente, a seguito della notifica della relazione, ex artt. 375, 376 e 380 bis cod. proc. civ., P.M. ha precisato di essere l’unico erede di P. A.. Ma se così è, non si vede quale interesse giuridicamente rilevante e meritevole di tutela, abbia l’opponente all’accertamento della titolarità, in capo a lui medesimo, del diritto di proprietà sui beni staggiti, una volta appurato che il debito azionato in executivis è ormai entrato a far parte del suo patrimonio, di talchè egli ne deve, comunque, rispondere. Si ricorda che l’interesse ad agire, in quanto collegato all’esigenza della parte di ottenere un risultato utile non conseguibile senza l’intervento del giudice (confr. Cass. civ. 4 maggio 2012, n. 6749; Cass. civ. 10 aprile 2012, n. 5656) non può consistere in un mero interesse astratto alla corretta soluzione di una questione giuridica, anche quando questa, per l’evolversi dei fatti nel corso del processo, abbia perso ogni attualità.

9. Nella fattispecie, l’avvenuta confusione tra il patrimonio del debitore e quello dell’opponente, segnatamente evidenziata nel terzo motivo di ricorso, devitalizza completamente il mezzo azionato.

Nè è superfluo aggiungere, per puro scrupolo di completezza, che la stessa, eventuale limitazione intra vires hereditatis – e cioè la limitazione della responsabilità dell’erede entro il valore dei beni ereditari, per avere il chiamato accettato con beneficio d’inventario – avrebbe dovuto, in tesi, essere tempestivamente dedotta e provata dall’interessato, non potendo essere rilevata d’ufficio dal giudice (confr. Cass. civ. 26 giugno 2007, n. 14766; Cass. civ. 14 marzo 2003, n. 3791).

Ne deriva che, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, nel quale resta assorbito l’esame degli altri nonchè del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, decidendo nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., rigetta l’opposizione.

La difficoltà delle questioni e l’esito complessivo della lite, inducono il collegio a compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di appello nonchè quelle del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, accoglie il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e il ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di appello e quelle del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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