T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 21-01-2011, n. 686

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Alcune delle società ricorrenti agisco in giudizio in qualità di proprietarie di una vasta porzione di territorio in località "la T.T." al Km 12.800 della via Laurentina, circa a tre Km oltre il GRA, avente, secondo il nuovo PRG destinazione a "zona in corso di convenzione" ed "Ambito di trasformazione ordinaria- R8". La società B. era invece titolare dei diritti di compensazione in quanto proprietaria di alcune aree site nel Comune di Roma, a nord della città, località S. Cornelia di circa 139.428 mq, comprese dapprima a sottozona G3, poi ad Agro Romano vincolato e, secondo la variante delle certezze, nel perimetro del Parco di Vejo". Alla stessa sono stati riconosciuti diritti edificatori per circa 15.000 mq. Le ricorrenti nell’agosto del 2002 hanno manifestato al Comune l’interesse di aderire alla procedura di compensazione ed a tale fine hanno acquisito il capitale della B. per godere dei diritti edificatori della stessa.

Il compendio immobiliare in questione è oggetto di un Programma urbanistico denominato "La T." definitivamente approvato, dopo l’acquisizione dei necessari pareri anche in tema paesaggistico ed archeologico, ed oggetto di convenzione urbanistica con il comune di Roma stipulata in data 16 luglio 2009 (poco dopo l’adozione della proposta). Le vicende che si sono concluse con tale convenzione sono ampiamente illustrate nel ricorso e testimoniano un lungo ed articolato procedimento, che può dirsi iniziato nel "93 con la presentazione di un piano di lottizzazione, ampiamente rivisto nel 2003 a seguito della deliberazione n. 42 del Comune, di approvazione del " programma Urbanistico La T.T.", passato al vaglio di due conferenze di servizi (6/5/2005 e 27/7/2005), di una V.I.A. regionale nel 2007 con acquisizione di molteplici pareri favorevoli all’intervento. Con la stipula della convenzione, affermano le ricorrenti, sono state definitivamente acquisite in proprietà dal Comune di Roma sia le aree di s. Cornelia (per mq.138.526) oggetto della compensazione, sia le aree pubbliche occorrenti per le opere di urbanizzazione del "Programma".

Ciò posto, con espresso riferimento agli atti impugnati, le ricorrenti riferiscono che, ritenendo illegittima la "Proposta di perimetrazione" nella parte in cui le aree di loro proprietà sono state incluse nella categoria del "Paesaggio agrario di valore" (volta "al mantenimento della qualità del paesaggio rurale mediante la conservazione e la valorizzazione dell’uso agricolo e di quello produttivo compatibile"), con preclusione di ogni possibilità di avviare e realizzare il Programma urbanistico di cui sono titolari, hanno formulato le proprie osservazioni.

In particolare, tra l’altro, hanno dedotto che, ai sensi dell’art. 3 delle NTA dell’atto di vincolo, l’intervento doveva ritenersi già assentito dagli enti preposti alla tutela paesaggistica ed autorizzato nel suo complesso.

Il Ministero, con il provvedimento impugnato, nel procedere all’adozione del vincolo, ha respinto le osservazioni " con riserva di successivo riesame a seguito della presentazione di un progetto" da redigersi ai sensi dell’art. 28 e segg. della legge reg.Lazio 24/98, con particolare riferimento alla collaborazione interistituzionale.

Il ricorso è sorretto da due gruppi di motivi, i primi tre diretti a contestare il provvedimento rispetto alle autorizzazioni pregresse già ottenute dal "Programma Urbanistico la T.T." e gli altri rivolti contro il provvedimento di vincolo in generale ed in subordine a sollevare eccezione di illegittimità costituzionale con riferimento alla violazione dei principi di ripartizione delle competenze legislative in materia di paesaggio, così nel complesso epigrafati:

Violazione degli artt. 97, 113, 114 e 118 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione di legge. Violazione del principio di non aggravamento del procedimento, di cui all’art. 1 comma 2 della legge 241/90. Violazione e falsa applicazione degli artt.131 e segg. del d.lgs. n. 42/2004. Violazione dell’art. 21 legge 1034/71. Violazione e falsa applicazione della l.r. 24/98 art. 27. Eccesso di potere sotto i profili sintomatico della contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa, dell’erronea applicazione dei presupposti di fatto e di diritto, del travisamento dei fatti e dello sviamento.

Contraddittorietà in parte qua del vincolo per insussistenza dei presupposti. Violazione e falsa applicazione di legge sotto altro profilo, degli artt. 131 del d. lgs. 42/2004, della legge n. 241/90 carenza ed insufficienza della motivazione contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa e sviamento.

Assenza delle condizioni di tutelabilità specifica del sito. Violazione di legge, difetto di motivazione e carenza di istruttoria, contraddittorietà perplessità sviamento.

In via subordinata sul provvedimento di vincolo in generale.Insussistenza in capo al MIBAC di un potere di pianificazione paesaggistica, violazione e falsa applicazione di legge sotto altro profilo, degli artt. 131 e segg. del d.lgs 42/2004. Incompetenza per difetto di attribuzione, contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa e sviamento.

In via subordinata Eccezione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 53 della legge 11 marzo 1953 n. 87.

Rinviando al ricorso per una maggiore e più diffusa esposizione e volendo sintetizzare gli elementi salienti di contestazione, si sostiene che la disposizione delle norme tecniche di attuazione allegate al provvedimento, che dispone la salvaguardia delle autorizzazioni già rilasciate, art. 3, dovrebbe essere interpretata in modo sistematico, facendo salve le autorizzazioni rilasciate, non solo su beni paesaggistici già vincolati, ma anche su qualunque porzione di terreno e su qualunque intervento già valutati dalla stessa autorità come compatibili con una valida tutela del paesaggio, in special modo nei casi in cui non si sia verificato o non sia emerso alcun elemento di novità o diversità rispetto allo stato dei luoghi in precedenza preso in esame e posto a base delle autorizzazioni.

Nella specie si tratterebbe di un intervento urbanistico ormai cristallizzato per effetto delle leggi regionali 35/78 e 24/98, compreso tra quelli trasmessi alla regione quale proposta di modifica al PTP vigente "CecchignolaVallerano",- che considerava l’area un interessante elemento ambientale (parte tutela integrale TI /4 per la presenza del Fosso c.d. Rio Petroso, parte tutela paesaggistica TP b/6 parte fascia di rispetto del fosso) – oggetto di positivo giudizio di compatibilità paesaggistica in sede di conferenza di copianificazione del NPRG e successivamente approvato. In sede di redazione del NPRG il Ministero avrebbe avuto modo di conoscere la destinazione urbanistica dell’area e di esprimersi su di essa nella fase istruttoria propedeutica alla relativa adozione, mentre sarebbe stata accolta l’osservazione del comune al PTPR e si sarebbe convenuta la corrispondenza tra gli "ambiti di trasformazione ordinaria" del nprg e i " paesaggi degli insediamenti in evoluzione" del PTPR, con parere favorevole anche del Comitato tecnico scientifico sul punto. Il Casale "Rio Petroso" già tipizzato nel PTP, con conferma nel PTPR, sarebbe escluso del tutto dal complesso lottizzatorio.

In definitiva rispetto alle aspettative qualificate maturate dalle ricorrenti il provvedimento, divergendo dalla sua funzione istituzionale, rappresenterebbe un tardivo rimedio alle decisioni prese in altri procedimenti, in elusione all’acquiescenza per mancata tempestiva impugnazione giurisdizionale, con ingiusto aggravio del procedimento.

Non sarebbero inoltre dimostrate e motivate le ragioni della scelta di aggravare il vincolo, tanto più che il sito, a margine del vincolo, è intercluso per tre lati dall’edificato degli insediamenti edilizi di Trigoria e Panseroni, non integro e non qualificabile come paesaggio agrario di rilevante valore, privo quindi dei caratteri di omogeneità ed immediata riconoscibilità. Non essendo l’area identitaria l’osservazione andava accolta.

In merito al provvedimento di vincolo in generale, i principi affermati dal Ministero in ordine alla preminenza assoluta del vincolo sulle previsioni del piano paesaggistico sarebbero in contrasto con la nuova impostazione del Codice dei beni culturali che si ispira al principio cooperativo. Posta la riconosciuta preminenza dell’interesse pubblico paesaggistico sull’ordinato sviluppo urbanistico, il rapporto tra vincolo puntuale e piano paesaggistico sarebbe

molto più articolato di quello prefigurato dal ministero.

L’ampiezza dell’area, e la disomogeneità del territorio impedirebbero di ricondurre l’area tra le tipologie dei beni elencate dal codice e configurerebbero il provvedimento come un piano stralcio, in sostituzione e modifica del piano paesaggistico regionale in via di approvazione, con invasione della funzione, senza che la regione risultasse inadempiente.

In via subordinata, ove fosse ritenuta legittima l’interpretazione delle norme del codice in materia di tutela del paesaggio come attributiva al Ministero di potestà amministrativa e del potere di pianificazione paesaggistica, vi sarebbe la violazione degli art. 117 della Costituzione con particolare riferimento all’art. 3 e 118 e contrasto con il principio di certezza del diritto.

Il ricorso si conclude con un’istanza risarcitoria collegabile all’impossibilità di realizzare l’intervento edificatorio o comunque al ritardo rispetto alla tempistica prevista.

Si è costituita in giudizio, per resistere, l’Amministrazione intimata con memoria scritta a sostegno del proprio operato.

Con memoria conclusionale la ricorrente ha replicato alle difese della parte avversa, soffermandosi in particolare, nelle note per l’udienza pubblica, sul contenuto di alcuni documenti depositati dall’amministrazione (parere del Comitato tecnico scientifico, relazione della riunione del CORECO del 14/1/2010, mancata intesa e mancata copianificazione), nota SBAP al NPRG del 10 novembre 2003).

L’Amministrazione ha prodotto ulteriori controdeduzioni in vista dell’udienza.

All’udienza pubblica odierna il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

I presupposti di fatto e di diritto che hanno preceduto l’adozione del provvedimento impugnato sono già stati sintetizzati.

La specifica posizione giuridica delle ricorrenti, se inquadrata nell’ambito della normativa urbanistica, assume i connotati di un’aspettativa, qualificata dal grado di approfondimento ormai raggiunto da un’annosa istruttoria che appare conclusa nei suoi elementi portanti con la stipula della convenzione e con la cessione dei terreni al Comune in compensazione.

La ricorrente, rispetto al provvedimento impugnato, ha visto la sua osservazione, " rigettata con riserva di successivo riesame". Si tratta in effetti di una formula alquanto singolare, ma non incomprensibile, quanto meno se valutata alla luce delle generali indicazioni di lettura fornite negli allegati.

E’ indubbio che l’area resta per il momento compresa nel perimetro del vincolo, ma le considerazioni svolte nelle controdeduzioni- in merito alla posizione soggettiva delle ricorrenti (si riconosce che il procedimento è compiuto, e che è mancato solo l’avvio dei lavori), in ordine al reale stato dei luoghi (la non integrità del contesto paesaggistico, la presenza di recenti opere di urbanizzazione primaria di rete infrastrutturale ecc.) e soprattutto quanto all’ammissione di un dovere di "particolare riconsiderazione del perimetro dell’area"- portano a ritenere che in effetti le ragioni della ricorrente saranno, anzi dovranno essere in breve tempo materializzate in una modifica del perimetro od almeno in una diversa qualificazione dell’area compatibile con uno sviluppo edilizio. Solo se interpretato in questo modo può sostenersi la legittimità del provvedimento in questa sua parte. Certo la realizzazione dei progettati interventi di edilizia residenziale nell’area, che in un primo tempo poteva ritenersi esclusa a causa della qualificazione data all’area stessa, è ora ammissibile, sia perchè è stata riconosciuta la peculiare e differente qualificazione della posizione giuridica propria delle ricorrenti (tra l’altro ammesse in parte a compensazione), sia perché il terreno, pur essendo ancora inserito nell’ambito del perimetro del vincolo, è destinato ad avere quanto meno una diversa e più favorevole tipizzazione, coincidente con quella attribuitale da sempre, anche se la concreta possibilità di edificare, non esclusa dal Ministero, è stata subordinata ad un "riesame" del progetto da redigersi con forme diverse.

Queste considerazioni valgono a rigettare le censure con le quali si contesta il provvedimento perché il potere del Ministero si sarebbe già esaurito nell’ambito dei distinti procedimenti urbanistici e paesaggistici.

I pareri e le autorizzazioni acquisite in tali sedi rappresentano l’esercizio di attribuzioni e competenze diverse espresse tra l’altro quando l’area, nel suo complesso, non aveva evidenziato le caratteristiche di bene identitario, da sottoporre a particolari cautele sia per alcuni ambiti di pregio, sia per le potenzialità di sviluppo sostenibile ammesso, che per le ipotesi di riqualificazione.

Con il provvedimento impugnato, come si dirà appresso, il ministero ha svolto un’autonoma istruttoria rivalutando nell’esercizio di un distinto e legittimo potere i presupposti per il riconoscimento di valori identitari, sicchè le precedenti espressioni di giudizi positivi sul programma delle ricorrenti, pur non perdendo efficacia, vanno ricondotte nei rispettivi ambiti di pianificazione comunale e regionale e potranno valere, al limite, in sede di riesame del progetto proposto nelle controdeduzioni, come limiti al potere discrezionale rispetto a singoli profili dell’edificabilità.

Le ricorrenti ritengono comunque il provvedimento illegittimo, in generale, perché l’amministrazione dello Stato, nel dichiarare il notevole interesse pubblico di una vasta area dell’"Agro Romano" avrebbe in sostanza pianificato, agendo in violazione dei principi di leale collaborazione, incidendo sulle previsioni del piano regolatore approvato e di un Piano paesaggistico regionale già adottato e corredato di specifiche norme d’uso per ogni parte del territorio, avrebbe esorbitato dai limiti di esercizio di un potere, a loro avviso, per sua natura eccezionale e comunque integrativo e sostitutivo, da attivare per aree prive di disciplina paesaggistica, avrebbe vincolato aree non omogenee e prive dei valori tipici delle bellezze d’insieme, alla fine non avrebbe stralciato l’area delle ricorrenti dal perimetro, pur avendo in sostanza ammesso la trasformazione del terreno della ricorrente e dell’ambito in cui è inserita, gia riconosciuta nel tempo dal Comune e dalla Regione nel PTPR (nella sua ultima versione precedente l’adozione), in realtà pianificando ed invadendo la potestà riservata dalla legge e dalla Costituzione alla Regione.

In sintesi, sempre secondo la ricorrente, il codice Urbani si limiterebbe a disciplinare la mera possibilità del Ministero di intervenire in via integrativa od in sostituzione della Regione, per il caso di inerzia del competente organo regionale, e non costituirebbe alcun potere autonomo e concorrente dell’autorità statale.Ogni diversa interpretazione renderebbe la norma illegittima perché contraria alla divisione dei poteri stabilita dalla costituzione.

Secondo l’Avvocatura dello Stato, invece, l’art. 138, all’ultimo comma, avrebbe introdotto il potere autonomo e concorrente dello Stato di imporre i vincoli in questione, comportanti specifica disciplina d’uso delle aree interessate, prevalente su quella del Piano paesistico regionale, anche in assenza di previa intesa con la Regione, titolare del potere di governo del territorio, in tal modo sancendo la prevalenza dell’interesse alla salvaguardia dei valori di identità rispetto a quella di autodeterminazione degli enti esponenziali delle comunità territoriali.

La tesi della ricorrente, come già in più occasioni affermato da questa stessa sezione, non ha fondamento.

Al fine di meglio inquadrare la questione sottoposta all’esame del Collegio, è necessario operare una ricostruzione della materia alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale ed in particolare della novella successivamente introdotta al Codice dei BB.CC.PP., con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63.

Il Codice dei Beni Culturali, all’art. 131, nella versione vigente, modificato anche in questa parte, prevede in linea generale che:

"1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.

2. Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità" nazionale, in quanto espressione di valori culturali.

3. Salva la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio quale limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni (e delle province autonome di Trento e di Bolzano cfr. corte cost. 29 luglio 2009 n. 226) sul territorio, le norme del presente Codice definiscono i principi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici."

Pertanto se, in via ordinaria, ai sensi dell’art. 135 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i., in conformità ai principi costituzionali e con riguardo all’applicazione della Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000 dall’art. 5 del cit, d.lgs, la conoscenza, tutela e valorizzazione del paesaggio è assicurata tramite la pianificazione paesaggistica e a tale fine le Regioni, anche in collaborazione con lo Stato, nelle forme previste dall’articolo 143 d.lgs. 42/04 e s.m.i., sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico – territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale, tuttavia tale assetto ordinario delle competenze trova un limite, ai sensi del terzo comma dell’art. 131 del Codice, nella ricordata "… potestà esclusiva" dello Stato di tutela del paesaggio che si pone come preciso limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni sul territorio.

Va evidenziato che l’art. 131, nella sua nuova versione introdotta dalla novella del 2008, insiste nell’affermare che tutti i soggetti che intervengano sul paesaggio e quindi anche le regioni devono assicurare " la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari", mentre è sancito che gli interventi sul territorio devono essere informati ad un " uso consapevole e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti ai criteri di qualità e sostenibilità".

Il potere esclusivo di intervento dello Stato è stato specificato proprio nell’articolo 138 comma 3° (nel testo introdotto dall’articolo 2, comma 1, lettera h) del d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63) del codice dei Beni Culturali per cui:

"E’ fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all’articolo 136.".

E’ evidente dalla sua stessa costruzione letterale, che non prevede limiti d’intervento, che non si tratta né di una potestà, né concorrente, né sussidiaria, e né suppletiva, ma di uno speciale ed autonomo potere dovere di intervento, caratterizzato da un procedimento in parte differenziato da quello previsto dai primi due commi della stessa norma, che l’ordinamento giuridico ha istituito, attivabile nei casi nei quali, in base a valutazioni anche di discrezionalità tecnica, possa essere concretamente a rischio l’interesse costituzionalmente affidato allo Stato. Ed è significativo che il legislatore abbia introdotto tale modifica in aggiunta al già disciplinato potere sostitutivo in materia di pianificazione paesaggistica disciplinato dagli art. 156, terzo comma e 143, secondo comma. Si è voluta in tal modo ribadire la coesistenza di un duplice e distinto potere attribuito all’amministrazione centrale, il primo attribuito in via diretta sulla base dei principi costituzionali ed il secondo, funzionale alla valorizzazione del paesaggio,in via sostitutiva.

Si tratta manifestamente dell’introduzione di una norma "di chiusura" del sistema per porre una garanzia di una tutela effettiva del paesaggio come valore costituzionale (nel momento in cui si è modificato il procedimento paesistico) e di una riappropriazione, non incostituzionale, di potere rispetto all’originaria impronta del codice che lasciava ampio spazio alle regioni, sia nell’autonoma individuazione dei "beni paesaggistici", sia nella gestione di quella parte del paesaggio da recuperare o sviluppare attraverso i piani paesaggistici estesi a tutto il territorio regionale.

Come ricordato anche dalla relazione allo schema di decreto legislativo, con la novella – previo parere della Conferenza Unificata StatoRegioni — è stato riconosciuto, e disciplinato, "… il potere dello Stato di proporre vincoli paesaggistici, indipendentemente dal concomitante esercizio della medesima attività da parte delle regioni, in conformità, peraltro, a quanto già da tempo stabilito in materia dalla corte Costituzionale con la sentenza 1424 luglio 1998 n.334…"

Il potere è, quindi legittimamente esercitato, come nella specie, quando, il "munus patrum" da tramandare alle generazioni future può apparire pregiudicato da scelte effettuate dagli enti locali, anche se nel corretto esercizio del distinto potere di gestione del territorio e del suo sfruttamento a fini edificatori o di sviluppo delle città. La tutela del bene paesaggistico infatti prevale, per scelta del costituente, sulla realizzazione degli altri interessi economici.

Quando, nell’ambito del distinto procedimento di pianificazione paesaggistica e nell’esercizio dei poteri che in tali ipotesi ed in tali fasi la legge attribuisce al Ministero (intese, osservazioni..), si determini una divergenza di valutazioni sulla conservazione di oggettivi valori insiti in specifiche aree e si verifichi la prevalenza di scelte finalizzate alla gestione del territorio a fini di sviluppo edilizio ed urbanistico che appaia oggettivamente incompatibile con la tutela di valori costituzionali primari e sia quindi impossibile un’azione condivisa, la preminenza del valore "paesaggio" implica che debba esser "…fatto salvo il potere del Ministero…" (così la norma) di cui all’art. 138, 3° co. di imporre autonomi vincoli, se ciò è ritenuto necessario in rapporto alla messa in pericolo dei valori paesaggistici del territorio, previo procedimento, sia pure differenziato nelle modalità di avvio e di partecipazione, sia della regione (che deve esprimere un parere),che dei comuni (che possono presentare osservazioni).

E’ stato già chiarito che tali norme non si riferiscono al potere di pianificazione paesaggistica, che resta attribuito alla Regione, la quale in sede di pianificazione, dopo aver recepito i vari vincoli e le relative norme d’uso, ove formulate, resta libera di tipizzare a sua volta altre porzioni di territorio e comunque di regolare il restante territorio non vincolato, di delinearne la valorizzazione e gestione secondo criteri sempre rispettosi dei valori costituzionali. La disposizione conferma e riconosce allo Stato il superiore potere di individuare i beni paesaggistici, da sottoporre a specifica tutela anche, per scongiurare ogni equivoco, attraverso l’indicazione di norme d’uso e di indirizzi finalizzati alla conservazione non degli immobili e delle aree in sé considerati, ma "dei valori"espressi dal loro insieme in un dato luogo, espressione questa che non esclude dunque la possibilità di disciplinare interventi di recupero e trasformazione delle varie componenti il bene paesaggistico – nella loro individualità od in complessi ben definiti- purchè ispirati ai principi chiaramente espressi dall’art. 138 secondo periodo.

Tale nuova suddivisione del potere è tuttora coerente con la cornice delineata dalla Costituzione.

Come già più volte affermato in casi simili, sotto il profilo costituzionale, la "…tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali…" è affidata in primo luogo alla competenza esclusiva dello Stato, mentre è attribuita alla legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.) la "valorizzazione dei beni ambientali". L’art. 117 della Costituzione, in realtà non menziona direttamente tra le materie nominate "il paesaggio", ma la predetta disposizione deve essere coordinata con l’art. 9 Cost. che, con una delle disposizioni fondamentali, assegna la "tutela del paesaggio alla Repubblica, e quindi,quando siano in gioco interessi nazionali, allo Stato.

Il termine "paesaggio" indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato come bene "primario" ed "assoluto" (arg. ex Corte cost., 5 maggio 2006, nn. 182, 183). In tale prospettazione è dunque evidente che il "paesaggio", attenendo ad un valore costituzionalmente protetto necessita di una tutela che non può che essere unitaria; e supporta anche competenze regionali, nell’ambito degli standard di tutela stabiliti dallo Stato (arg. ex Corte Cost., 22 luglio 2004 n. 259).

La tutela ambientale deve infatti essere considerata come una tutela "d’insieme", e non concerne solamente i singoli elementi che la compongono, in quanto attraverso l’imposizione dei vincoli paesistici, si salvaguarda il bene paesaggio, ed al contempo, anche l’ambiente (cfr. Cons. Stato VI, 22 marzo 2005, n. 1186).

Il paesaggio oggi non deve essere limitato al significato, meramente estetico, di bellezza naturale, ma deve essere inteso come "complesso dei valori inerenti il territorio" (cfr. Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379).

E’ ormai opinione comune e condivisa che il paesaggio, valore primario ed assoluto, non è infatti un valore immateriale e non è frutto di una pura percezione soggettiva, priva di elementi oggettivi, ma rappresenta una concreta rappresentazione della struttura del territorio, che deve godere di una considerazione acquisita nel tempo, frutto di una maturazione culturale.

Secondo la dottrina più accorta quindi, la salvaguardia del paesaggio non può più consistere unicamente nella ricerca e "cristallizzazione" del più alto grado di "naturalità", ma piuttosto nel mantenimento del rapporto uomoambiente, tipico dell’identità culturale che il paesaggio rappresenta: i beni paesaggistici costituiscono infatti parte del "patrimonio culturale".

Il sistema di tutela del paesaggio, dunque, rende legittime le limitazioni all’uso della proprietà dei beni tipizzati ed individuati "senza limitarne, peraltro la commerciabilità od una redditività diversa da quella dello sfruttamento edilizio, alla luce dell’equilibrio costituzionale tra gli interessi in gioco, che vede alcune facoltà del diritto dominicale recessive di fronte all’esigenza di salvaguardia dei valori culturali ed ambientali (art. 9 cost.) in attuazione della funzione sociale della proprietà"(Cass. 19/07/2002, n. 10542).

Nella specie, quindi, secondo i canoni indicati dall’art. 138 del Codice Urbani, il vincolo può ritenersi legittimamente imposto se formulato "con riferimento ai valori storici, culturali, naturali, morfologici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono".

Ciò vale contrastare le censure volte contro il provvedimento nella sua impostazione generale.

Si è già in parte affrontata la questione relativa alla porzione di area su cui incidono gli interessi delle ricorrenti e si è verificato che, nei limiti della sindacabilità, assai esigua, in sede giurisdizionale del potere ampiamente discrezionale esercitato, la disciplina d’uso prescelta per tale area può ritenersi coerente con i principi generali ispiratori del provvedimento, con le precisazioni già rimarcate.

Volendo riassumere, dunque, sul territorio gravano più interessi pubblici (che pur potendo essere naturalmente antinomici, proprio per effetto della previsione della pianificazione paesistica, sono destinati a trovare un condiviso contemperamento) quali quelli concernenti in particolare:

– la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura, secondo le modifiche recenti al codice, è stata di nuovo riservata in via esclusiva allo Stato, e che attiene — come obbligo morale verso le generazioni future e come legame fra la salvaguardia della natura e l’identità nazionale — al profilo della conservazione di una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento: il territorio naturale;

– il governo, l’utilizzo e la valorizzazione dei beni ambientali, intesi essenzialmente come fruizione e sfruttamento del territorio medesimo che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, fatta salva l’autonoma potestà tuttora riconosciuta alle Regioni di individuare, con lo specifico procedimento previsto dall’art. 138 comma 1, "beni paesaggistici" ovvero aree aventi le caratteristiche di notevole interesse pubblico (cfr. Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 180).

Il riconoscimento del notevole interesse pubblico di una porzione dell’ "Agro romano"qui impugnato (come sarà più evidente in seguito) è coerente, in linea generale, con tali principi, garantisce la conservazione dei valori paesistici anche attraverso la indicazione delle relative modalità d’uso e di trasformabilità, e può essere dunque considerato un legittimo esercizio dello speciale potere di intervento in aggiunta alle ordinarie competenze di tutela e di valorizzazione che la legge riconosce alla regione.

Ciò posto, erroneamente la parte ricorrente lamenta che vi sia stata un’indebita pianificazione del territorio in quanto, per effetto del richiamo contenuto nell’art. 141 primo comma, anche per l’esercizio del potere del Ministero (art. 138 comma3), la proposta motivata del Soprintendente, deve contenere "… prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi"; e "la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerata"(art. 140, comma 2 rich).

Tali norme giustificano sul piano costituzionale l’apparente ingerenza del ministero sulle tipologie edilizie da realizzare, sulle limitazioni all’edificabilità e sulla gestione della trasformazione di aree comunque da preservare, anche solo perché formanti la cornice di ambiti di maggior pregio.

Per questo l’ampia estensione delle aree vincolate appare assolutamente irrilevante, in quanto una volta riconosciuta l’esistenza dei presupposti per sottoporre a tutela una parte significativa della campagna romana, proprio in quanto avente le caratteristiche del richiamo identitario, il vincolo sull’agro romano non può che corrispondere alle dimensioni del territorio che presentano le corrispondenti caratteristiche, nell’area tra la Laurentina e l’Ardeatina.

.In tale prospettiva anche la presenza di aree degradate o già trasformate (nella specie presenza di strutture viarie ed urbanizzazioni) può di per sé non aver alcun significato e non dimostra assolutamente un’insufficiente istruttoria ed una carenza di presupposti per classificare l’area tra i "beni paesaggistici" da sottoporre a tutela, qualificando anzi peculiarmente sotto il profilo dell’interesse pubblico l’intervento della Soprintendenza, alla quale spetta il compito di garantire in tali casi uno sviluppo sostenibile ed una edificazione corrispondente il più possibile alle aspettative dei privati.

Anche il profilo relativo alla violazione del principio di leale collaborazione ed il richiamo all’accordo del 1999, non può essere condiviso in quanto è evidente dalla ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato i rapporti successivi tra Regione e Ministero, come tale tentativo si sia rivelato assolutamente infruttuoso in quanto il limite di garanzia del bene, ritenuto idoneo e sufficiente dalla regione in sede di pianificazione, autonoma imposizione di vincoli e valorizzazione, e soprattutto in sede di modificazione dei PTP vigenti con la condivisione delle scelte edificatorie del comune, non è stato ritenuto idoneo a garantire il ragionevole mantenimento dei valori intrinseci del bene dal titolare dell’autonomo e prevalente potere di tutela.

Esattamente l’avvocatura ha invocato il principio, affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 88 del 2009, per cui quando la legge prevede una partecipazione procedimentale della regione, nelle forme,come nel caso, del "previo parere", l’acquisizione del predetto avviso ponga al riparo il provvedimento dalle denunce di violazione della leale collaborazione, non essendo tale parere vincolante ed essendo tale forma di collaborazione distinta e meno "forte"della previa intesa.

Ad avviso del Collegio, inoltre i principi di leale collaborazione e cooperazione conseguenti alla riforma del Titolo V Cost. (art. 114 e ss.), impongono adeguate consultazioni delle Autonomie locali coinvolte per l’imposizione di un vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 136 e ss. d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42 e s.m.i.. Queste consultazioni volutamente e legittimamente sono garantite dal legislatore solo nel corso del procedimento disciplinato dal primo comma dell’art. 138, mentre sono attenuate, ma non escluse, con salvaguardia quindi del principio, nel distinto caso di iniziativa ministeriale proprio perché la norma, già definita " di chiusura", tende a far prevalere le esigenze di tutela del paesaggio su scelte di pianificazione urbanistica non condivise a livello statale proprio perché contrarie alla conservazione di valori primari.

A parte l’assorbenza del precedente rilievo, si deve osservare, alla luce delle allegazioni documentali versate in giudizio dall’avvocatura, come la Soprintendenza non si sia assolutamente sottratta al suo dovere di interloquire con le Amministrazioni Locali coinvolte né relativamente ai procedimenti di pianificazione urbanistica, né a maggior ragione, in fase di adozione del piano paesaggistico, anche se in questa sede non è in discussione la regolarità dei rispettivi procedimenti.

Gli atti depositati in questa sede, in cui non si discute sulla legittimità del piano regolatore, sono sufficienti a dimostrare che il ministero già nel 2003 aveva espresso, sia pure in modo generico, nell’esercizio di un distinto potere e nell’ambito di un diverso procedimento, il proprio avviso non coincidente con alcune scelte urbanistiche operate dal comune.

Va peraltro ribadito che il potere esercitato con il provvedimento impugnato va tenuto ben distinto per presupposti e finalità da quello attribuito all’amministrazione dei beni culturali con la presentazione di osservazioni agli strumenti pianificatori comunali.

E’ inoltre irrilevante anche la circostanza che il PTPR sia stato concepito sulla base di un tavolo di lavoro comune. L’amministrazione non ha infatti nascosto che dopo la prima convocazione non vi siano state più riunioni a dimostrazione che, evidentemente, le posizioni assunte dai rappresentati della Regione e del Comune avevano immediatamente rivelato la manifesta impossibilità di giungere a soluzioni condivise, giustificando quindi l’esercizio da parte del Ministero degli speciali poteri di tutela del paesaggio.

Sono stati inoltre prodotti:

– le sette note con cui, dal 30 maggio 2007 al 20 luglio 2007, la Soprintendenza aveva puntualmente controdedotto alle osservazioni del Comune di Roma contenenti le proposte di modifica dei vigenti Piani Territoriali Paesistici ai sensi dell’articolo 23, comma primo della legge regione Lazio 204 / 1998, nell’ambito della procedura di elaborazione del nuovo PTPR;

– la nota riepilogativa in data 10 agosto 2007 con cui la Soprintendenza aveva riassunto le 120 problematiche e fornito le motivazioni per il mancato raggiungimento dell’accordo in materia paesistica tra il MIBAC e la regione Lazio. Anche se nella specie non è in discussione la legittimità del procedimento di approvazione del PTPR, è un fatto non controverso, almeno in questa sede, che di tali controdeduzioni la Regione non ha tenuto conto, quanto meno nella misura segnalata dal Ministero, né in via istruttoria e né in fase decisoria come risulta evidente proprio dalla stessa delibera del Consiglio Regionale n.41 del 31 luglio 2007, con la quale, sostanzialmente, si facevano quasi integralmente proprie le indicazioni espansive della pianificazione comunale, "adeguando" i precedenti Piani Territoriali Paesistici alle nuove linee di espansione urbanistica anche in aree in precedenza qualificate come meritevoli di specifica conservazione da parte della stessa regione e densificando in misura importante, in recepimento della compensazione, le inferiori potenzialità edificatorie, riconosciute compatibili, sul piano della tutela del paesaggio, in precedenti piani attuativi. Tali produzioni dimostrano ulteriormente come vi sia stato da parte del Ministero nelle distinte sedi comunali e regionali un tentativo di avviare la leale collaborazione, di cui ora si lamenta la mancanza.

La Soprintendenza, a norma del citato articolo 138 terzo comma, ha ritualmente acquisito il parere della Regione Lazio (espresso nella nota protocollo n.13098 il 1 luglio 2009) motivando il proprio dissenso dai rilievi in esso contenuti; il parere del Comitato Regionale di Coordinamento in data 14 gennaio del 2009, il Parere del Comitato Tecnico Scientifico del Ministero, che seppure succintamente esprime giudizio favorevole, ed ha ritualmente inoltrato al Comune di Roma la proposta di vincolo in data 3 luglio 2009 ed alla Provincia di Roma in data 8 luglio 2009.

Dunque deve concludersi che il provvedimento impugnato non è un’estemporanea iniziativa del Ministero, ma si inserisce nell’ambito di una dialettica e di una contrapposizione istituzionale estremamente articolata.

E’ evidente quindi non solo che l’affermazione secondo cui sarebbe mancata la collaborazione non appare dimostrata, ma anche che la scelta di adozione del provvedimento è stata cagionata da una frattura insanabile -di carattere politicoamministrativo – che ha visto, da un lato, la Soprintendenza che ha agito con il fine di assicurare la conservazione dei valori identitari di una vasta area di agro romano, altrimenti soggetta, con effetto immediato, a causa del metodo seguito per localizzare vasti interventi edificatori, ad una trasformazione urbanistico edilizia snaturante, soprattutto se colta nel suo complesso, e, dall’altro, il Comune e la Regione determinati ad allocare nuovi, e consistenti, interventi edilizi sulle aree dell’agro romano con il nuovo PRG e con le modifiche dei PTP vigenti, anticipando la conclusione del procedimento di approvazione del nuovo PTPR.

Il vincolo si pone allora in una linea di perfetta continuità con le Osservazioni al progetto di Piano Territoriale Paesistico Regionale" (PTPR) della Soprintendenza, come dimostrano le numerose fotografie allegate alle medesime, che restituiscono, in maniera plastica, la bellezza e la storicità e la particolarità di un territorio unico sotto il profilo estetico, storico, culturale e paesaggistico la cui alterazione in funzione di sviluppo edilizio massiccio avrebbe costituito un vulnus non solo ai cittadini romani ma all’intera comunità nazionale.

Il motivo va dunque complessivamente respinto.

Medesima sorte merita la doglianza relativa alla natura del potere esercitato con l’atto impugnato, che, secondo parte ricorrente, configurerebbe piuttosto un atto di pianificazione generale concretatosi in una sorta di piano stralcio, travalicante i limiti propri delle competenze attribuite dal sistema all’autorità centrale. Come dimostrerebbe la Relazione di sintesi, il Ministero avrebbe valutato unitariamente realtà difficilmente coniugabili senza alcuna motivazione, ed in difetto di un’adeguata attività conoscitiva.

Anche tale censura non convince.

Del tutto erroneamente la parte ricorrente lamenta che vi sia stata un’indebita pianificazione del territorio in quanto la presenza di norme di attuazione del vincolo costituiva un preciso dovere di legge. Tali norme "sostituiscono" le previsioni del piano non perché il Ministero ha inteso pianificare in sostituzione della regione, ma perché l’individuazione dei beni paesaggistici meritevoli di tutela si impone e prevale sul potere pianificatorio regionale, a prescindere dal tempo in cui tale esigenza si sia manifestata. In altri termini pur dopo l’adozione del piano paesaggistico ed anche dopo la sua approvazione, laddove si manifestino nuove esigenze di tutela del paesaggio, sia la regione, sia l’amministrazione centrale possono continuare ad agire, ovviamente se ne sussistano i presupposti, ed i relativi provvedimenti, compresa la disciplina d’uso, " sostituiscono" le previsioni pianificatorie semplicemente per effetto della supremazia, sancita dalla costituzione e dal Codice, del relativo potere di conservazione e tutela su quello di pianificazione ad ogni livello esercitato.

Infatti l’ articolo 140, secondo co., applicabile anche al procedimento di cui all’art. 138 terzo comma per effetto dell’art. 141, espressamente impone che "la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerata".

Al riguardo è evidente che non erano configurabili "limiti spaziali" in quanto il Codice vuole assicurare la conservazione del territorio nella massima misura compatibile con l’esigenza del mantenimento degli elementi costituenti l’essenza stessa del "richiamo identitario".

Il Giudice delle Leggi al riguardo ha affermato che:

– il piano paesistico regionale e la pianificazione urbanistica comunale, sotto il profilo temporale e procedimentale, attengono dunque ad una fase successiva e recessiva rispetto a quella di imposizione del vincolo paesaggistico;

– la tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanistica comunale, deve cioè precedere, ed orientare, le scelte urbanistico – edilizie locali.

In conseguenza, ha affermato la "separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro, prevalendo, comunque, l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica. Le disposizioni paesaggistiche quindi "…sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette" (cfr. Corte costituzionale, n. 180/2008 cit.).

Il carattere di autonomia e specialità del potere di cui all’articolo 138 terzo comma implica in conseguenza che questo possa essere esercitato senza che il Ministero sia vincolato dalla pianificazione locale in quanto la norma, se prevede il parere della regione, non impone assolutamente di procedere "previa intesa" con la stessa.

Il principio della prevalenza della tutela si ritrova anche nell’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004 e s.m.i. (non modificato in modo significativo dal d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 per quanto interessa il presente problema), nella parte in cui prevede che: "Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette".D’altra parte a loro volta le previsioni allegate alla dichiarazione di notevole interesse pubblico (ovvero la specifica disciplina di cui all’art. 140 cit.) costituiscono " parte integrante del piano paesaggistico" non "suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo".

Né può condividersi l’affermazione per cui il compendio individuato non avrebbe costituito né un circoscritto, ed individuato, "complesso di beni" e nemmeno un "quadro panoramico" omogeneo.

La lettera attuale dell’articolo 136 (come modificata di recente) infatti non pone limiti quando individua la possibilità di vincolo con riferimento a:

"c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici;

d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze".

L’espressione "complesso di cose immobili" richiede la relativa contiguità o, per lo meno, la vicinanza delle aree interessate le quali, seppur differenziate al loro interno, e seppure non omogenee, costituiscono nel loro insieme inscindibile,un unico complesso paesaggistico. Per questo la varietà degli ambiti interessati pianori, filari di pini marittimi, poggi, valli, forre, campi, rii e torrenti, così come sono incorniciate dal profilo dei Colli Albani, non fanno affatto venir meno quelle caratteristiche di unitarietà e di unicità sul piano paesaggistico ambientale.

Sul piano del vizio funzionale dell’atto, l’intervento ministeriale appare legittimamente ancorato assumendo, a presupposto di fatto, l’insufficiente tutela del paesaggio operata dalla pianificazione comunale (peraltro recepita acriticamente dalla regione in sede di PTPR).E ciò è dimostrato dalle osservazioni dei cittadini singoli ed associati, con la richiesta alla stessa Soprintendenza di estendere, e non diminuire, l’area vincolata.

Come si diceva è una scelta discrezionale afferente allo stretto merito amministrativo ispirata ad un interesse pubblico dell’intera collettività, rispetto alla quale non emergono evidenti ragioni di illogicità o di arbitrarietà.

Le ragioni addotte dal Ministero — sia nelle pregresse corrispondenze e negli atti istruttoria, e sia nel provvedimento impugnato — si sono sempre poste su di una linea di costante coerenza, per cui la dichiarazione del notevole interesse pubblico dei beni in questione appare puntualmente motivata, sia nelle sue linee generali di intervento che con riferimento alle specifiche aree interessate.

Anche sotto il profilo della correttezza e della sussistenza dei presupposti di fatto gli obiettivi di tutela individuati appaiono corrispondenti alla situazione concreta.

Nella relazione allegata alla proposta di dichiarazioni di notevole interesse pubblico si afferma giustamente che si tratta di un ampio territorio che mantiene ancora l’alta qualità paesaggistica della campagna romana sia sotto il profilo paesaggistico che per la presenza di antichi casali, rustici e vetuste fortificazioni.

Inoltre nella relazione di sintesi (pag. 9) il sito in cui ricade l’area delle ricorrenti è espressamente preso in considerazione e descritto nei suoi elementi costitutivi (assetto orografico, presenza di fossi e di casali, conseguente straordinaria valenza percettiva di ogni emergenza..) che ne giustificano la particolare tutela.

Si tratta, in effetti, di affermare che la campagna romana è un luogo riconosciuto dalla memoria collettiva proprio perché ha mantenuto attraverso i secoli i suoi lineamenti fisici ed insediativi come provato dalle tracce di secoli di produzione artistica e letteraria (ed alla documentazione amministrativa descrittiva del territorio (mappe catastali e censuarie, ecc.).

Nonostante le alterazioni cagionate dell’edilizia spontanea, si tratta di un terreno che ancora conserva i tratti tipici del paesaggio agrario romano", "…caratterizzato dall’ampiezza dei quadri panoramici oltre che dalla ricca e stratificata articolazione del sistema insediativo storico, con notevole diffusione tanto di beni archeologici che architettonici…., con filari di e/o gruppi arborei di notevole consistenza e di grande rilevanza ai fini della costruzione dell’immagine paesaggistica tipica dei luoghi"(così la Relazione).

Perfettamente coerente con le risultanze istruttorie ed i precedenti comportamenti, il dichiarato obiettivo del vincolo, relativo all’esigenza "…di salvaguardare le caratteristiche paesaggistiche degli ambiti territoriali assicurando, al contempo il minor consumo possibile del territorio".

La finalità del provvedimento di tutela – l’arresto o la guidata trasformazione e riqualificazione mirante a scongiurare l’indiscriminato consumo del territorio- appare del tutto legittima sul piano degli interessi pubblici generali, in quanto l’ulteriore espansione edilizia in periferia, così come configurata se si tengono presenti tutti gli interventi resi realizzabili dalla regione con le modifiche dei PTP, consumerebbe enormi quantità di terreno agricolo di notevole pregio, e secolare grande valore, mentre il riconoscimento del valore intrinseco del bene che giustifica il vincolo garantisce la conservazione di un ambito finora non compromesso da scelte pianificatorie o di sviluppo urbanistico.

Quanto al lamentato difetto di istruttoria e di motivazione, la corposità e la puntualità della "Relazione istruttoria alla proposta" e soprattutto dalla "Relazione di sintesi dell’istruttoria" allegate al provvedimento ripercorrono analiticamente i caratteri geomorfologici, i profili storici e culturali, i singoli sistemi paesaggistici che fanno capo agli scenari interessati comprendendovi anche le zone edificate che comunque sono tutte marginali. Da conto, sia complessivamente che analiticamente delle osservazioni dei privati e puntualizza le ragioni che si contrappongono al parere della regione. Le motivazioni tecnico scientifiche e le considerazioni dell’interesse pubblico perseguito che sono state poste a base del provvedimento, appaiono del tutto sufficienti sul piano della logica e della razionalità soprattutto per la puntualità e coerenza delle analisi concernenti i singoli ambiti interessati al provvedimento.

In definitiva sotto il profilo funzionale il provvedimento appare coerente con le risultanze delle istruttorie e con le vicende che l’hanno preceduto e non indicativo di alcun sintomo di eccesso di potere né per sviamento né per errore sui presupposti.

La scelta assolutamente necessitata in rapporto all’esigenza di tutela dell’agro romano appare congruamente motivata e razionalmente coerente con l’esigenza di tutelare gli ultimi spazi rimasti di un territorio che senza il provvedimento sarebbe stato irrimediabilmente compromesso, quanto meno nell’ottica di una tutela seria e ragionevole non scevra dalla considerazione degli interessi dei privati ai quali anziché precludere ogni intervento, nei casi di situazioni consolidate di aspettativa qualificata, si è solo richiesto di procedere ad un ridimensionamento condiviso degli interventi in via di assentimento o si è assicurato il riesame.

D’altro canto sarà in sede di rinnovata valutazione dell’edificazione ritenuta compatibile con il vincolo, come è desumibile dal caso di specie, che i diretti interessati potranno far valere eventuali incongruenze o l’illegittimità di scelte eccessivamente penalizzanti od incoerenti con l’ambito in cui ricadono.

Resta da esaminare la censura di contraddittorietà che sarebbe deducibile dall’analisi delle controdeduzioni alle osservazioni da cui si ricaverebbe che rispetto alla proposta originaria, in sede di approvazione, il Ministero pur ammettendo una non corrispondenza sostanziale del sito, almeno in parte, alle caratteristiche della zona in cui è stato inserito " paesaggio agrario di valore", ha respinto la proposta di stralcio, almeno in prima istanza, ma vincolandosi ad un riesame seppure condizionato alla presentazione dei progetti, e riservandosi conseguentemente una discrezionalità elevatissima al di fuori di ogni regola urbanistica.

Pur dandosi atto che questo profilo resta il più delicato della vicenda, in quanto le scelte operate si configurano come esercizio di una ampia discrezionalità, il collegio attenendosi ai limiti esigui della sindacabilità di tali scelte, ritiene la censura infondata, ciò sia in base alle considerazioni già svolte in precedenza sul punto specifico, sia per la natura del potere esercitato e per il fatto che l’asserita indeterminatezza dei poteri che il ministero si sarebbe riservato nell’esaminare le potenzialità edificatorie fonte di aspettative qualificate, allo stato non appare evidente, essendovi comunque un riferimento normativo al procedimento da seguire.

In ogni caso, il potere di rivalutare progetti già approvati, che resta eccezionale per estensione e modalità di esercizio, trova un limite oggettivo nelle valutazioni già espresse seppure in altra sede dall’amministrazione. E’ indubbio infatti che, nei casi in cui, come nella specie, il Ministero ha ritenuto ammissibili e condivisibili, per determinate aree le scelte pianificatorie del Comune e della regione – riconoscendo nella sostanza, a parte i modi ed i tempi, come non esistenti i presupposti di fatto per l’imposizione di un vincolo di assoluta inedificailità, anche con riferimento alla possibilità di procedere alla compensazione – il suo intervento dovrà essere contenuto, nell’esaminare i progetti, frutto tra l’altro di approfondite istruttorie, già redatti ed approvati nelle sedi appropriate, nei limiti dell’imposizione di prescrizioni d’uso sufficienti a garantire la conservazione dai caratteri peculiari del territorio, per non sfociare, in caso contrario, nell’abuso di un potere di pianificazione e di gestione del territorio che ovviamente non gli appartiene.

D’altro canto le norme tecniche di attuazione appaiono sufficientemente precise nel delineare i limiti ed i vincoli ai futuri interventi per la stessa Soprintendenza

Si tratta di elementi che rappresentano un oggettiva autolimitazione al potere discrezionale che il ministero si è riservato per consentire il riavvio del programma.

In altri termini il provvedimento non è finalizzato ad impedire, per principio, la "compensazione" come strumento legittimo, diretto alla realizzazione di validi e distinti interessi collegabili alla gestione del territorio. Gli effetti che vengono prodotti sulle situazioni consolidate infatti sono gli stessi che si realizzano ogni volta che si adottino su date aree provvedimenti di dichiarazione di notevole interesse pubblico, effetti ritenuti giustificati e coerenti con la Costituzione anche dal giudice delle leggi. Ovviamente sul diverso piano dei rapporti tra comune e privati, che peraltro non trova ingresso in questa sede, dovranno essere assunte le iniziative idonee a garantire la compiuta realizzazione del rapporto sinallagmatico, non potendo ritenersi legittimo un ingiusto arricchimento del comune a spese dei privati.

Da tutte le considerazioni espresse nella motivazione che precede si deduce che l’eccezione di incostituzionalità non ha fondamento.

Disattesa anche l’ultima censura, il ricorso va respinto in quanto complessivamente infondato, con conseguente reiezione della domanda di risarcimento.

Le spese tuttavia in relazione all’assoluta novità delle questioni trattate possono essere compensate fra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo regionale del Lazio, sezione seconda Quater, rigetta il ricorso in epigrafe e la domanda risarcitoria, con compensazione delle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Lucia Tosti, Presidente, Estensore

Umberto Realfonzo, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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