Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-01-2013) 20-02-2013, n. 8128

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ordinanza del 22.7.2012, il Tribunale di Milano dispose la custodia cautelare in carcere di W.C.N. indagato per il reato di cui all’art. 628 cod. pen..

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame ed il Tribunale di Milano, con ordinanza del 25.9.2012, confermò il provvedimento impugnato.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo violazione dell’art. 292 cod. proc. pen., con particolare riferimento alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza della misura della custodia in carcere, motivate con clausole di stile e su modulo prestampato.

In particolare, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza di custodia, W. disponeva di un alloggio dove era possibile eseguire la misura degli arresti domiciliari e l’indagato aveva già trascorso un anno in tale regime senza violare le prescrizioni.

Il Tribunale del riesame non potrebbe sostituirsi del tutto al primo giudice quando la motivazione sia mancante o apparente.

Peraltro nel caso in esame il Tribunale del riesame avrebbe sostituito una motivazione apparente con un’altra. In ogni caso l’integrazione non varrebbe a sanare quella dell’ordinanza cautelare posto che i dati di fatto posti a base della stessa sono smentiti dalla disponibilità di un alloggio e dalla precedente osservanza delle prescrizioni.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e svolge in realtà censure di merito.

Il tribunale del riesame, a fronte di un difetto di motivazione del provvedimento applicativo della misura coercitiva, deve porvi rimedio con le necessario integrazioni e non annullare il provvedimento, perchè solo al giudice di legittimità è dato il potere di pronunciare l’annullamento per difetto di motivazione. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15416 del 02/02/2011 dep. 15/04/2011 Rv. 250306. Conf., sentenze da n. 15417 a n. 15433 del 2 febbraio 2011, dep. 15/04/2011, non massimate).

Il Tribunale di riesame ha ravvisato "una allarmante propensione verso fatti di violenza personale a sfondo sessuale" e "la rivelata incapacità di autocontrollo e di gestione dei propri stimoli", sicchè ha escluso che emergessero "concreti elementi di affidabilità e di autocontrollo capaci di consentire l’applicazione di una misura più attenuata", (p. 3 ordinanza impugnata).

Si tratta di una valutazione di merito motivata in maniera non manifestamente illogica.

Tale motivazione appare adeguata a spiegare la scelta della custodia cautelare in carcere quale unica misura idonea a prevenire il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie alla luce dell’orientamento di questa corte, condiviso dal Collegio, secondo il quale in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonchè dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo superata e assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle subordinate misure cautelari. (Cass. Sez. 1^ sent. n. 45011 del 26.9.2003 dep. 21.11.2003 rv 227304).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen..

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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