Cass. civ. Sez. III, Sent., 31-07-2012, n. 13663

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Svolgimento del processo
1. La C. T. & C. snc otteneva decreto ingiuntivo di condanna del Comune di Arpino al pagamento della somma (circa 176 milioni di lire) risultante da fatture dell’anno 1993, rimaste insolute, relative all’attività di smaltimento di rifiuti, regolata dal contratto di appalto esistente tra le parti.
Opponendosi (nel 1999), il Comune deduceva che le somme non erano dovute sulla base del contratto, perchè relative ai costi delle maggiori percorrenze effettuate dalla società per raggiungere una discarica sita fuori dal Lazio (Lecce), effettuate senza autorizzazione. La società creditrice sosteneva la debenza dei compensi ai sensi del contratto, stante la necessità di continuare a smaltire i rifiuti, nonostante la mancanza di risposta da parte del Comune alla lettera con cui era stata chiesta l’autorizzazione allo smaltimento fuori dalla Regione, a causa della chiusura temporanea di tutte le discariche regionali. In subordine, avanzava domanda riconvenzionale di pagamento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento.
Il Tribunale di Cassino, respinte le richieste istruttorie articolate dalle parti, rigettava l’opposizione.
2. La Corte di appello di Roma, adita dal Comune in via principale, accoglieva l’impugnazione e revocava il decreto ingiuntivo. Rigettava l’appello incidentale condizionato proposto dalla società C., relativo alla domanda di indebito arricchimento (sentenza del 23 gennaio 2006).
2, Avverso la suddetta sentenza, la società creditrice propone ricorso per cassazione con tre motivi.
Resiste con controricorso il Comune, che deposita memoria.
Motivi della decisione
1. La Corte di merito ha motivato la propria decisione con i seguenti argomenti.
La fattispecie trova disciplina nel contratto stipulato tra le parti, secondo il quale: la società appaltatrice ha il diritto si scegliere la discarica idonea allo smaltimento dei rifiuti e le maggiori percorrenze non la autorizzano a richiedere maggiori compensi (art. 7); eventuali variazioni devono essere autorizzate per iscritto e non è consentito l’espletamento del servizio senza preventivo accordo (art. 12); non rileva l’art. 18, invocato dalla società creditrice (che prevede l’accettazione tacita della revisione prezzi richiesta dall’impresa, ove non contestata dall’Amministrazione entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata con la richiesta), riferendosi lo stesso alla variazione dei prezzi di mercato e non alle variazioni legate alla diversa destinazione dei rifiuti, disciplinate dall’art. 7.
La suddetta disciplina contrattuale esclude, sia l’applicabilità delle norme del codice civile, specie dell’art. 1664, sia della disciplina del silenzio/assenso, di cui alla L. n. 241 del 1990, ritenuta applicabile dal primo giudice.
Quanto a quest’ultimo profilo, va aggiunto che avrebbe avuto rilievo il silenzio/rifiuto, con conseguente possibilità di messa in mora e diffida dell’Amministrazione, e azione in sede amministrativa per tutelare i propri interessi.
In ogni caso, manca la prova dell’assenza di altra discarica nel Lazio e della necessità di trasportare i rifiuti in località molto distante (Lecce).
La domanda sussidiaria di indebito arricchimento proposta dall’impresa va disattesa, "non essendosi verificato alcun arricchimento in capo all’ente committente in concreto".
2. Con il primo motivo di ricorso la società appaltatrice deduce la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale nell’interpretazione del contratto di appalto (artt. 1362, 1363, 1364 e 1366 cod. civ.).
2.1. In particolare, sarebbe leso l’art. 1366 cod. civ., in base al quale il contratto deve essere interpretato secondo buona fede.
L’art. 7 disciplinerebbe solo il normale e ordinato svolgimento del rapporto e non il caso eccezionale della momentanea chiusura di tutte le discariche della Regione Lazio, con conseguente impossibilità di provvedere alla prestazione dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, oggetto del contratto. Conferma di tale interpretazione si avrebbe nell’art. 6, che fa gravare sull’impresa i rischi economici collegati alle modalità più gravose di esecuzione nel caso di eventi, quali piogge, grandini, nevicate, restando escluse le cause imprevedibili che impedirebbero l’esecuzione dello stesso contratto.
Una diversa interpretazione del contratto, che, come ha fatto il giudice del merito, estenda il rischio di impresa ad eventi eccezionali che ne impediscono l’esecuzione, senza ulteriori oneri per l’appaltante, determinando l’alterazione del sinallagma contrattuale a vantaggio del Comune, sarebbe contraria a buona fede, in violazione dell’art. 1366 cit.. Nella stessa ottica, l’art. 12 prevedrebbe la necessità di preventiva autorizzazione scritta solo per le variazioni contrattuali rimesse alla valutazione potestativa della ditta appaltatrice e non anche per le variazioni obbligate per poter eseguire il contratto.
Ed ancora, la Corte non avrebbe interpretato secondo buona fede l’art. 18 del contratto, che prevede l’accettazione tacita della revisione prezzi richiesta dall’impresa, ove non contestata dall’Amministrazione entro sessanta giorni dal ricevimento della raccomandata con la richiesta, riferendolo alla variazione dei prezzi di mercato e non alle variazioni legate alla diversa destinazione dei rifiuti.
Inoltre, la Corte di appello avrebbe errato a non interpretare le norme contrattuali integrandole con le norme generali civilistiche, in particolare con l’art. 1664 cod. civ.; se l’avesse fatto avrebbe dovuto dedurre che e parti non hanno disciplinato le circostanze imprevedibili.
2.2. Sotto un diverso ma collegato profilo, l’interpretazione della Corte di merito non terrebbe conto del comportamento complessivo delle parti, con conseguente violazione dell’art. 1362 cod. civ., non dando valore al comportamento dei Comune che, avvisato dell’emergenza (lettera dell’ottobre 1992), non dava alcuna risposta.
2.3. Infine, si censura la sentenza per aver ritenuto che l’impresa avrebbe dovuto impugnare il silenzio-rifiuto, previa messa in mora dell’Amministrazione, senza considerare che la L. n. 241 del 1990, art. 2 esclude, salvo deroghe specifiche, che si possa attribuire all’inerzia dell’Amministrazione un significato diverso da quello del mero inadempimento e senza considerare che la suddetta interpretazione avrebbe legittimato l’interruzione del pubblico servizio da parte dell’Impresa.
3. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e omessa pronuncia in ordine alle istanze istruttorie.
Si censura quella parte della sentenza di merito che ha valutato mancante la prova sulla effettiva chiusura temporanea di tutte le discariche del Lazio e sulla necessità di portare i rifiuti a Lecce.
Sotto un primo profilo, si sostiene che il giudice avrebbe violato l’art. 345 cod. proc. civ. esaminando una eccezione nuova, non rilevabile d’ufficio, proposta in appello dal Comune, che, mai in primo grado aveva contestato la chiusura delle discariche.
Sotto un secondo profilo si lamenta omessa motivazione sulle istanze istruttorie (concernenti interrogatorio formale del Sindaco e prove per testi, volte a dimostrare la chiusura delle discariche autorizzate nel Lazio e il trasporto a Lecce, mediante altra ditta), proposte tempestivamente in primo grado, ritenute non necessarie dal primo giudice e reiterate in appello.
4. Logicamente preliminare è il secondo motivo.
Il nucleo centrale di censura del primo motivo presuppone logicamente la condizione eccezionale di impossibilità di smaltimento dei rifiuti nella Regione, che costituisce l’oggetto del secondo motivo.
Infatti, nel primo motivo si lamenta, sostanzialmente, la mancata interpretazione secondo buona fede e il mancato rilievo alla comune intenzione delle parti rilevabile dal comportamento, anche successivo, nell’interpretazione del contratto; interpretazione che, se fosse stata compiuta, avrebbe condotto, secondo la ricorrente, a ritenere l’art. 7 riferibile solo all’ordinario svolgimento del rapporto contrattuale e l’art. 18 riferibile alle variazioni legate alla diversa destinazione dei rifiuti, dovute ad eventi eccezionali, quali quello dedotto della chiusura per alcuni mesi di tutte le discariche del Lazio e dell’impossibilità di smaltimento, se non a Lecce. In tal modo, presupposto logico dell’interpretazione proposta è che sia stata provata la condizione di fatto eccezionale; ma, tale presupposto è oggetto del secondo motivo.
5. Il secondo motivo, che per certi aspetti è inammissibile, va rigettato. L’impossibilità di reperire una discarica nella Regione Lazio era stata ritenuta "pacifica" dal giudice di primo grado, secondo anche quanto riferisce la sentenza della Corte di appello.
Tale statuizione è stata censurata in appello dal Comune, essendo ad esso sfavorevole. La società creditrice, che ne eccepisce la novità (primo profilo del motivo), per non essere mai stata contestata dal Comune in primo grado la situazione eccezionale delle discariche del Lazio, non offre alcun riferimento (attraverso l’indicazione degli atti del giudizio rilevanti e la riproduzione degli stessi) affinchè la Corte possa verificare al fine di decidere. Comunque, che la circostanza non fosse pacifica lo dimostra la stessa richiesta di prova da parte della società. Inoltre, privo di riscontri, risulta pure il riferimento che la ricorrente fa al "fatto notorio", quale sarebbe stato ritenuto dal giudice di primo grado la mancanza di discariche nella Regione Lazio.
Quanto alle prove articolate dalla società in primo grado, e ritenute non necessarie dal primo giudice, rispetto alle quali (con il secondo profilo) si deduce l’omessa motivazione da parte della Corte di appello, nonostante la reiterazione delle richieste, la ricorrente non dimostra di aver riproposto la richiesta delle prove nel giudizio di secondo grado. Nel ricorso, infatti, è omessa qualunque indicazione sui tempi e modi di tale richiesta (mediante precisa indicazione degli atti rilevanti e loro riproduzione). In tal modo questa Corte non è posta in grado di verificare la censura. In conclusione, il motivo va rigettato; con la conseguenza che la parte della sentenza che ha valutato mancante la prova sulla effettiva chiusura temporanea di tutte le discariche del Lazio e sulla necessità di portare i rifiuti a Lecce, non rimane scalfita dal ricorso.
6. Il primo motivo resta pesantemente condizionato dal rigetto del secondo.
6.1. Stante l’assenza di prova in ordine all’esistenza della situazione eccezionale (chiusura di tutte le discariche autorizzate nel Lazio per un certo periodo), è evidente che perde di rilievo il motivo di censura (cfr. 2.1.), con il quale si sostiene che se si fossero utilizzati nell’interpretazione del contratto i criteri della buona fede e della comune intenzione delle parti, anzichè quello letterale, si sarebbe pervenuti ad escludere l’idoneità degli artt. 7 e 12 a regolamentare la situazione speciale verificatesi e si sarebbe ritenuta l’applicabilità a tale fattispecie dell’art. 18, espressamente previsto solo per la variazione dei prezzi di mercato.
Non è provato, infatti, proprio il presupposto fattuale assunto a base dei criteri interpretativi, con conseguente inidoneità della censura. Va aggiunto che il riferimento all’art. 1664 cod. civ. (del quale non è invocata la diretta violazione) è, comunque, generico, non essendo chiaro neanche se il richiamo sia al comma 1 o al comma 2.
Quanto, poi, alla prospettata violazione dell’art. 1362 cod. civ., per non aver dato valore al comportamento del Comune che, avvisato dell’emergenza (con lettera dell’ottobre 1992) non aveva dato alcuna risposta (cfr. 2.2), deve aggiungersi che la società ricorrente non riproduce, nè indica dove la lettera sia reperibile negli atti processuali, con la conseguenza che la Corte non è posta in grado di valutarne la portata ai fini del comportamento del Comune.
Con riferimento, infine, al profilo del primo motivo, in cui si richiama la L. n. 241 del 1990, (cfr. 2.3.), lo stesso è irrilevante. Infatti, l’argomentazione spesa da giudice di secondo grado, richiamando la suddetta legge, è totalmente priva di incidenza rispetto alla decisione (cfr. sintesi della decisione 1).
In conclusione, il secondo motivo va rigettato.
7. Per completezza, va ricordato che la Corte ha costantemente affermato che, nell’interpretazione dei contratti, i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia, in forza del quale i canoni strettamente interpretativi – tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole – prevalgono su quelli interpretativi-integrativi. Ed, inoltre, che l’indagine sulla corretta applicazione di essi compete al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se correttamente motivata (ex multis Cass. 12 novembre 2008, n. 27021).
Nella specie, la Corte di merito, partendo dal quella letterale e dando rilievo a quella complessiva risultante da articoli diversi dal 7, ha interpretato il contratto senza incorrere in vizi logici.
8. Con il terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 cod. civ., censurando la parte della sentenza di merito che ha rigettato l’appello incidentale condizionato, con il quale si chiedeva il riconoscimento dell’indebito arricchimento da parte della Amministrazione.
8.1. Il motivo va rigettato.
La Corte di merito, sia pure in modo estremamente stringato, ha reso una pronuncia conforme a diritto.
Rileva il principio di diritto enunciato da Sez. Un. 27 dicembre 2010, n. 26128, secondo il quale, "Le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla causa petendi (esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione, nonchè, ove l’arricchito sia una P.A., il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente), sia quanto al petitum (pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo). Ne consegue che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale si devono applicare le norme del rito ordinario, ai sensi dell’art. 645 c.p.c., comma 2, e, dunque, anche l’art. 183 c.p.c., comma 5 o comma 4, nella versione anteriore alla novella del 2005 – è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa. In ogni altro caso, all’opposto non è consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un’autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilità è rilevabile d’ufficio dal giudice.".
In applicazione dello stesso, la domanda ex art. 2041 cod. civ., avanzata subordinatamente dalla società creditrice opposta in primo grado, è – prima che infondata – inammissibile, non essendo nemmeno dedotto che l’opponente Comune avesse introdotto nel giudizio un ulteriore tema di indagine, diverso dal contratto, tale da giustificare una domanda di arricchimento senza causa da parte dell’opposto.
9. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi; le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso. Condanna la C. T. & C. snc a pagamento, in favore del Comune di Arpino, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2012

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