Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-01-2013) 20-02-2013, n. 8116

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Bari, decidendo sull’impugnativa proposta da C.L. M. avverso l’ordinanza emessa dal GIP del medesimo Tribunale in data 06.7.2012 – che aveva applicato alla stessa la misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 rubricati al capi a), c) e d) della incolpazione, ha confermato la decisione.

2. Avverso detta pronunzia ricorre l’indagata contestando violazione di legge e vizio di motivazione.

In primo luogo, si lamenta vizio di motivazione riferendo che il Tribunale effettuando il rinvio per relationem alla motivazione resa dal GIP, nulla abbia argomentato con riguardo alla condivisibilità delle conclusioni raggiunte da quel Giudice, limitandosi ad un rinvio acritico come tale in violazione di legge.

In secondo luogo, e più in particolare, si contesta assenza di un valido schema motivazionale in ordine alla ricorrenza delle esigenze cautelari a fronte del tempus commissi delicti rilevando come, risalendo le condotte all’anno 2006, sarebbe apodittico affermare la permanenza della contestata associazione a delinquere a distanza di oltre cinque anni dai fatti; ciò detto per il pericolo di recidivanza si aggiunge come nemmeno risulterebbero ricorrere ulteriori esigenze cautelari, stigmatizzando infine la motivazione del Tribunale laddove nulla argomenta sulla necessità di applicare la misura cautelare più severa.

In terzo luogo si segnala come, per ulteriore conseguenza della carente tecnica motivazionale, in nessun modo emerga dal provvedimento alcunchè in ordine alla effettiva gravità indiziaria sulla sussistenza di una associazione per delinquere, sulla partecipazione alla stessa del T. (ndr. coniuge della indagata, coimputato nel processo) per di più in qualità di capo promotore ed organizzatore del sodalizio. Ancora si contesta la omessa motivazione in ordine alla sussistenza nel caso di specie dell’aggravante della ingente quantità, e ciò pur avendo la difesa svolta una specifica contestazione sul punto.

Infine, si contesta come il Tribunale non abbia in nessun modo argomentato sulla mancata presa in considerazione degli elementi di prova a discarico forniti dall’indagato affermando perciò, all’esito di un giudizio soltanto parziale ed incompleto, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Motivi della decisione

1. E’ anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

(Cass. Sez. 6A sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840). Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.

Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass. Sez. 1A sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).

Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309 c.p.p., comma 8 (v. Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).

Va ulteriormente chiarito come sia consolidato orientamento di questa Corte che la motivazione per relationem sia legittima "quando: 1) – faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) – fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) – l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione". (Cfr., per tutte, Cass. Sez. Un. Sentenza n. 17 del 21.6.2000 dep. 21.09.2000 Rv. 216664).

Nel caso di specie la Corte territoriale, nel confermare la decisione impugnata, ha prima rinviato alla esposizione dei fatti contenuta nella stessa, indicando partitamente dove nella corposa ordinanza del GIP sono analiticamente indicati i riscontri alle numerose contestazioni sollevate nel capo di incolpazione; ha poi puntualizzato che sulla ipotesi associativa e sul ruolo in essa ricoperto dalla ricorrente emergono nella ordinanza del GIP (a p. 1939 e ss.) dati fattuali, elementi di prova e conseguenti argomentazioni ritenute condivisibili; per di più fornito indicazioni sul rilievo formulato in questa sede, ma non formulato nei motivi di riesame, che contesta il dato della la ingente quantità di sostanza stupefacente di volta in volta trasportata (segnalandone in particolare l’oggettiva portata, in almeno un episodio, con riferimento alla quantità della sostanza trasportata, pari a 9 kg). Deve inoltre rilevarsi che tali conclusioni sono non solo motivatamente fatte proprie dal Tribunale, ma nemmeno risultano effettivamente criticate nel ricorso.

inoltre, nessuna importanza può assumere l’affermazione sulla mancata presa in considerazione degli elementi di prova a discarico forniti dall’indagata, attesa la sua insuperabile genericità.

Quanto alle riscontrate esigenze cautelari, le stesse si mostrano congruamente argomentate con riferimento alla negativa personalità dell’indagata, e alle caratteristiche di serialità e organizzazione delle condotte delittuose oggetto di inalazione; cosicchè l’avvenuto decorso di alcuni anni dai fatti non risulta sufficiente ad attenuare le esigenze cautelari in misura maggiore di quella necessaria a giustificare la misura comminata.

3. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

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