Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-01-2013) 20-02-2013, n. 8115

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Venezia, decidendo sull’impugnativa proposta da T.R. avverso l’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Treviso in data 11.8.2012 – che aveva applicato allo stesso la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di ricettazione e furto in abitazione aggravato, ha confermato la decisione.

2. Avverso detta pronunzia ricorre l’indagato contestando violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla nullità della ordinanza impugnata affermando che la stessa sarebbe stata emessa in violazione della prescrizione legale con riguardo alla traduzione del provvedimento in una lingua conosciuta dall’indagato.

Lamenta inoltre illogicità della motivazione con riguardo alle ritenute esigenze cautelari, segnalando come ricorrendo nel caso di specie la possibilità di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena a norma dell’art. 275 c.p.p., comma 2 bis la misura cautelare non avrebbe dovuto essere disposta.

Lamenta infine l’errata qualificazione in termini di ricettazione del fatto contestato nel capo b della incolpazione (possesso di tre passaporti non riferibili all’indagato e ai suoi complici) segnalando come lo stesso Tribunale, pur ritenendo di condividere allo stato le conclusioni del GIP, segnala come il breve tempo di permanenza dell’indagato sul territorio nazionale, e dunque la difficoltà di stringere rapporti necessari alla ricettazione di detti beni, potrebbe rendere maggiormente plausibile una ulteriore imputazione ai sensi dell’art. 624 bis c.p..

Motivi della decisione

1. E anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

(Cass. Sez. 6A sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840). Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.

Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass. Sez. 1A sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).

Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309 c.p.p., comma 8 (v. Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).

2. Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi che il ricorso è manifestamente infondato giacchè la il Tribunale ha, innanzitutto, applicato l’indirizzo di legittimità secondo cui quando, come nel caso di specie, è proposta istanza di riesame in cui, oltre alla lamentata nullità per omessa traduzione degli atti, si svolgono difese ulteriori, essendosi evidentemente raggiunto lo scopo dell’atto omesso, la nullità resta sanata (cfr. Cass. sez. 2, 7.6.2011, n. 32555); ha poi chiarito – con argomenti giuridicamente esatti e logicamente ineccepibili – perchè non sia adeguata al caso di specie la misura applicata e perchè non sia prevedibile l’applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena (tutto ciò in considerazione delle gravi modalità del fatto, della prognosi negativa sulla personalità dell’indagato, della irrilevanza della confessione resa su fatti già accertati); ha condiviso la esatta qualificazione del fatto (operata dal GIP) del possesso ingiustificato dei passaporti di provenienza delittuosa come ricettazione pur aggiungendo – senza ovviamente contraddirsi – che allo stato non potrebbe comunque escludersi la mera possibilità di una qualificazione diversa e più favorevole all’indagato (in termini di furto).

3. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013

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